Neanche il torneo olimpico offre sorprese. In semifinale ci vanno i tre favoriti più Del Potro, unico vincitore Slam “extra” negli ultimi otto anni. Il più in forma sembra Federer.
Novak Djokovic sta giocando un’ottima Olimpiade

Di Riccardo Bisti – 2 agosto 2012

 
Non si poteva chiedere di meglio. In assenza di Rafael Nadal, le semifinali del torneo olimpico vedranno in campo i più forti. Federer, Djokovic e Murray hanno confermato i pronostici, mentre la classifica avrebbe conferito a David Ferrer il ruolo di quarto semifinalista. Lo spagnolo si è fatto sorprendere da Nishikori e il suo posto è stato preso da Juan Martin Del Potro. Forse avrebbe meritato di esserci Jo Wilfried Tsonga, ma in fondo va bene così: l’argentino è l’unico giocatore ad aver vinto uno Slam negli ultimi otto anni al di fuori dei Big Three. Nel suo impegno, l’argentino ha superato 6-4 7-6 Kei Nishikori e adesso si giocherà l’accesso in finale contro Roger Federer, vincitore con identico punteggio contro John Isner. Federer ha giocato una buon partita, attenta e precisa, concedendo una sola palla break. La stretta di mano si è vista 85 minuti dopo il primo punto. Nel primo set è bastato un break al nono game, mentre nel secondo Isner è rimasto attaccato fino al tie-break. Ci voleva il pizzico di fortuna, e Federer l’ha trovato proprio sul matchpoint. Sul 5-6, Isner ha messo una buona prima. La risposta in slice di rovescio, bloccata, ha baciato il nastro ed è finita nel campo dell’americano. John l’ha presa a ridere, ma c’era da prendere a testate il muro. Fosse riuscito a vincere il tie-break, avrebbe potuto mettere il match in bagarre. E quando c’è da lottare spalla a spalla, si sa, lo svizzero diventa più vulnerabile. E’ riuscito a evitare i fastidi e adesso è più che mai favorito per il titolo. Il motivo è semplice: contro Del Potro vanta un bilancio devastante (12-2) e non ci perde da tre anni, mentre Djokovic e Murray sono già stati battuti a Wimbledon, uno dopo l’altro, entrambi in quattro set. Senza l’impegno in doppio, Federer può concentrarsi sul singolare a caccia di un obiettivo che nella storia è stato raggiunto soltanto dai coniugi Agassi: vincere tutti gli Slam, l’oro olimpico e il Masters di fine anno.
 

Nella parte bassa, si “scanneranno” il serbo e lo scozzese nel 14esimo episodio di una rivalità non troppo sentita dai media, perché difficilmente i due danno vita a partite indimenticabili. Solo la semifinale dell’ultimo Australian Open è stata degna di nota. Per il resto, partite troppo uguali, troppo piatte. Diciamolo pure: noiose. Chissà se l’erba, superficie dove non hanno mai giocato, renderà la sfida più interessante. Murray è giunto tra i primi quattro superando senza problemi Nicolas Almagro, giunto nei quarti perché si è infilato nell’autostrada lasciata libera da Tomas Berdych. Lo spagnolo, inoltre, so trascina da un mese un fastidioso dolore alla spalla destra. Il match più interessante è stato quello tra Djokovic e Tsonga. Peccato per il francese, giunto troppo stanco dopo le maratone dei giorni scorsi. E’ finita 6-1 7-5 ma Djokovic è tornato sui livelli che gli avevano fatto spazzare via Roddick. Il serbo ha risposto bene, tirava grandi rovesci e trovava angoli impressionanti con dritto. E il servizio? Appena tre ace, ma un ottimo 75% di prime palle (con il 79% di trasformazione). Sul piano tattico, Djokovic cercava con frequenza il dritto del francese. Jo accorciava e veniva puntualmente infilato dai dritti “inside out” di Djokovic.
 
Il secondo set è stato più equilibrato. Tsonga è volato subito sul 3-0, aiutato da un pessimo turno di servizio di “Nole”. Ha messo in rete una smorzata (vizio che si porta dietro dal periodo junior) e altri due colpi da fondocampo. La tensione di Djokovic si misura dal numero di rimbalzi che fa fare alla palla prima di servire. Più è in difficoltà, più ne fa. Il commentatore della BBC ha osservato: “A volte Tsonga serve senza far rimbalzare la pallina. Djokovic la fa rimbalzare fino a quando non si sono addormentati tutti”. Il grande merito di Djokovic, come nel match contro Hewitt, è stato quello di tirarsi fuori dai guai al momento giusto. Ha trovato il controbreak, e da lì in poi ha ripreso in mano il gioco. Il break decisivo è giunto sul 5-5, sigillato da una bella volèe. Il Djokovic stellare del 2011 non si vede da un pezzo. Quest’anno, forse, è riapparso solo nella semifinale di Roma contro Federer. Però ha trovato la maturità che gli permette di vincere le partite anche quando gioca male. Ma contro Murray e 14.000 inglesi (pardon, britannici) indemoniati potrebbe non bastare.