Di Cino Marchese   Ho visto per la prima volta Adriano in una finale di Coppa Croce ad Alessandria, in quello che è stato anche per diversi anni il mio Circolo. Credo fosse il 1967 e Adriano ricevette un premio per il miglior giovane di quel concentramento finale vinto dal T.C. Parioli, il club per cui giocava questo giovane interessante e dotato di una classe pura e genuina. Fisicamente non era un granché, aveva i fianchi larghi, le gambe storte, ma si muoveva benissimo ed era elegante e armonioso. Toccava la palla come pochi e aveva una sensibilità incredibile. Era anche potente, con un’apertura alare rimarchevole e si vedeva che, messo insieme un po’ di muscoli, avrebbe servito benissimo. Poi era un bel ragazzo con quel sorriso naturale e ironico e un viso bellissimo. In poche parole, aveva tutto per diventare un campione e un personaggio. Dopo un paio d’anni mi sono trasferito a Roma e Adriano non aveva tradito le attese: nel 1970 si era aggiudicato il titolo italiano in una finale storica a Bologna contro Nicola Pietrangeli, successo che ripeté l’anno dopo a Firenze. Ormai era una star dello sport italiano. In più, quella sua aria scanzonata lo aveva consacrato come un beniamino del pubblico. A Roma impazzava ancora la Dolce Vita e Adriano aveva molto successo con le donne: i suoi flirt con Mita Medici e Loredana Bertè erano una delle materie preferite dei settimanali pettegoli. Tutto ciò era anche il cruccio di Mario Belardinelli, suo grande profeta e maestro di vita. Mario non si dava pace per il rendimento di Adriano, fortemente altalenante, capace di exploit fantastici ma anche di cocenti disfatte. Dopo alcuni mesi di ambientamento nella mia nuova residenza romana, mi sono iscritto al C.T. Fleming, un circolo in quegli anni particolarmente di moda e frequentato da personaggi dello spettacolo, dai calciatori della Lazio di Maestrelli, Chinaglia in testa, e da quella gioventù dorata sempre in vista nei locali notturni e nei luoghi di vacanza più esclusivi.   Per leggere il resto dell’articolo, acquistate la rivista TENNISBEST Magazine attualmente in edicola
 
Ho visto per la prima volta Adriano in una finale di Coppa Croce ad Alessandria, in quello che è stato anche per diversi anni il mio Circolo. Credo fosse il 1967 e Adriano ricevette un premio per il miglior giovane di quel concentramento finale vinto dal T.C. Parioli, il club per cui giocava questo giovane interessante e dotato di una classe pura e genuina. Fisicamente non era un granché, aveva i fianchi larghi, le gambe storte, ma si muoveva benissimo ed era elegante e armonioso. Toccava la palla come pochi e aveva una sensibilità incredibile. Era anche potente, con un’apertura alare rimarchevole e si vedeva che, messo insieme un po’ di muscoli, avrebbe servito benissimo. Poi era un bel ragazzo con quel sorriso naturale e ironico e un viso bellissimo. In poche parole, aveva tutto per diventare un campione e un personaggio. Dopo un paio d’anni mi sono trasferito a Roma e Adriano non aveva tradito le attese: nel 1970 si era aggiudicato il titolo italiano in una finale storica a Bologna contro Nicola Pietrangeli, successo che ripeté l’anno dopo a Firenze. Ormai era una star dello sport italiano. In più, quella sua aria scanzonata lo aveva consacrato come un beniamino del pubblico. A Roma impazzava ancora la Dolce Vita e Adriano aveva molto successo con le donne: i suoi flirt con Mita Medici e Loredana Bertè erano una delle materie preferite dei settimanali pettegoli. Tutto ciò era anche il cruccio di Mario Belardinelli, suo grande profeta e maestro di vita. Mario non si dava pace per il rendimento di Adriano, fortemente altalenante, capace di exploit fantastici ma anche di cocenti disfatte. Dopo alcuni mesi di ambientamento nella mia nuova residenza romana, mi sono iscritto al C.T. Fleming, un circolo in quegli anni particolarmente di moda e frequentato da personaggi dello spettacolo, dai calciatori della Lazio di Maestrelli, Chinaglia in testa, e da quella gioventù dorata sempre in vista nei locali notturni e nei luoghi di vacanza più esclusivi.
 
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