Federer si è ritirato, ora inizia un nuovo capitolo della storia del tennis. Che non potrà che che essere influenzato dalla straordinaria avventura del campione svizzero
In bici, fermo a un semaforo, con uno sguardo distratto a Whatsapp. Così mi ha colto la notizia del ritiro di King Roger, e gli occhi si sono inumiditi. Uno di quegli eventi per i quali ti ricordi dov’eri quando lo hai saputo. Uno di quegli eventi per cui non si è mai pronti. Lo sapevamo tutti, era imminente, inevitabile. Ma è arrivato all’improvviso. Ancora in campo solo per un’esibizione, la Laver Cup, poi nulla più.
Il suo messaggio di congedo lo avrete letto. Regale, toccante, così come le reazioni da tutto il mondo, in primis quella di Rafa, la metà restante (ancora per non molto) del Fedal, arte non riproducibile nell’era della tecnica, passione, emozione… Mentre scrivo, a caldo, posso solo immaginare il diluvio di commenti giornalistici che seguiranno, e so che il Direttore è sommerso di lavoro. Cosa aggiungere?
Una lista di spunti per altrettanti articoli sul Re, che non scriverò più. Perché oggi finisce un’epoca, e solo il silenzio è all’altezza. Il sipario si chiude. Dietro le quinte restano pagine e pagine bianche, mosse dal vento, che vorrebbero riempirsi di riflessioni
- sulle più straordinarie e indimenticabili vittorie di Roger;
- sulle sue più epiche e lancinanti sconfitte;
- sull’eredità lasciata al gioco del tennis, a cui lui si rivolge a conclusione della sua lettera (“Infine, al gioco del tennis: ti amo e non ti lascerò mai”);
- sul canto alla bellezza, all’arte in movimento che sua Talentuosità ha rappresentato;
- sulle emozioni provate nel vederlo dal vivo, e poi sempre rimeditate.
E molto, troppo altro. Quante volte – si spera – diremo che il tal giocatore ha fatto un colpo alla Federer, eccezione allo sfoggio di potenza e atletismo che oggi va per la maggiore. Quante volte riandremo a vedere i dieci, venti, cento migliori colpi di Roger…
Ma dal momento che oggi finisce per sempre qualcosa, concentriamoci sulla fine, dimensione inerente alla vita, dunque non estranea neppure alla Bibbia. “C’è un tempo per vincere e un tempo per finire”, potremmo parafrasare il sapiente Qohelet. Quasi tre anni fa così aprivo i miei Atti di Federer: “‘Vivo con il pensiero della fine’, parola di Roger, in un’intervista … Federer, o il pensiero della fine. Sempre più vicina, ormai, forse alla fine del 2020, o poco oltre”. Il pensiero è divenuto realtà. Ma possiamo dare credito al poeta, quando afferma: “Nella mia fine è il mio inizio”? Cosa inizia oggi? Qualcosa, non sappiamo ancora cosa: per il tennis senza Roger, per noi senza più la consolazione, anche solo il sogno, di rivederlo cesellare.
Quanto è difficile cogliere nell’imbrunire del congedo la luce di una nuova alba. Quanto impervio credere che si possa aspirare la vita da dentro la morte, come annotava con folle audacia un grande mistico. In fondo, siamo sempre all’altezza dell’infinita questione: cosa significa risorgere? Gli umani se lo chiedono dalla notte nei tempi. Salvo poi scoprire che neanche la fede nella resurrezione risolve fino in fondo l’aporia della morte (qui il copyright spetta a un asso della teologia fatta vita, Dietrich Bonhoeffer). Perché solo la fine assunta fino in fondo si sporge su un nuovo inizio. Inedito, misterioso. Ma possibile. Dopo una fine, di cui non sappiamo molto. Ma cosa importa? Concentriamoci sull’oggi, a cui basta ogni sua pena e ogni sua gioia. Roger con la sua presenza in campo per più di vent’anni ci ha insegnato ad aderire al qui e ora, a essere consapevoli di dove siamo, a renderci conto che la vita eterna comincia qui. Come poetizzava un grande pensatore del ’900: “La vita eterna è prima di tutto una categoria del presente. Io credo che facciamo delle esperienze di eternità, tutte le volte che viviamo un’esperienza che ci sembra fondatrice. Ci sono degli istanti di una qualità talmente intensa, che sono dei granelli di eternità in un tempo che passa. Questo ci permette di rivolgerci, a posteriori, verso la morte, dicendo: ‘Forse l’evento della mia morte può essere una sorta di porta su un’eternità, che però in primo luogo si radica nel presente e nella vita. Non è la sopravvivenza (survie) ma la vita (vie)’”. I Federer moments sono (stati) forse altro? Li abbiamo vissuti… lo abbiamo visto!
Pensieri confusi, velati di radiosa malinconia. Da domani il tennis continuerà, ovviamente, anche se il cuore è tentato di dare ragione a Panatta: “Oggi non si è ritirato Roger Federer, si è ritirato IL TENNIS”. C’è un prima e un dopo. Ovunque vedremo un pallina colpita da due umani, sentiremo sempre di nuovo salire dal cuore un mormorio: “Grazie alla vita di averci concesso di ammirare Roger”. Il suo tennis è per sempre: così osiamo riscrivere il ritornello di un famoso Salmo. Grazie Roger, ci hai cambiato la vita. Grazie, Roger: ti amiamo, per questo ti lasciamo andare…