Il leggendario estremo del Galles pigliatutto degli anni ’70, morto ieri a 74 anni, da junior era stato un tennista promettente. E nel 1968 si guadagnò un posto in tabellone a Bournemouth, il primo torneo dell’era Open

JPR Williams, uno degli immortali del rugby, estremo del leggendario Galles degli anni ’70 se ne è andato a 74 anni nello stesso giorno di Franz Beckenbauer, una coincidenza tragica e bizzarra perché i due giganti dello sport non potevano essere più diversi. Palla rotonda e palla ovale: cartesiano e lineare fino alla ferocia il Kaiser, romantico e tempestoso JPR, con i favoriti scolpiti come gradi di audacia sul volto, i capelli perennemente al vento, il jersey rosso largo e flottante come una vela, lontanissimo dalle maglie aderenti di oggi, a segnalare un’ebbrezza, un surplus di vita, l’istinto a sfidare la corrente come una nave corsara ubriacando di finte gli avversari.

Non molti sanno però che John Peter Ryhs Williams, nato a Brigend, in Galles, il 2 marzo del 49, prima di dedicarsi al rugby – e vincere ben tre Grand Slam nel Sei Nazioni trasformandosi probabilmente nel numero 15 più famoso della storia, il Goat degli estremi – era stato anche un buon giocatore di tennis.

Uno degli junior più forti degli anni ’60 a livello mondiale, nel ’66 si aggiudico i Campionati under 18 di Gran Bretagna, che si giocavano sui campi in terra battuta di Wimbledon e da non confondere con il torneo under 18 dei Championships – rifilando un doppio 6-4 a David Lloyd in finale. L’anno dopo, in Canada, supero Dick Stockton e Sandy Mayer, due futuri top ten. Nel 1968 si iscrisse alle qualificazioni del torneo di Bournemouth: il primo in assoluto dell’era Open. Non solo si iscrisse, ma le passò anche, guadagnandosi un posto fra i 32 del tabellone principale accanto a Rod Laver, Ken Rosewall, Pancho Gonzalez, Roy Emerson, Andres Gimeno e altri colossi che in quell’occasione uscirono dal lungo bando imposto ai professionisti.

Al primo turno Williams si trovò di fronte l’australiano Bob Howe, futuro numero 12 del mondo, e come raccontò qualche anno fa a Chris Bowers per il sito dell’All England Club, uscì deluso dal campo dopo aver perso 6-3 6-3 6-1, «perché Howe era conosciuto più come un doppista, ed ero convinto di poterlo battere. Ma fu un onore partecipare a quel torneo. Ripensandoci fu il vertice della mia carriera tennistica». E l’inizio di un viaggio straordinario nel rugby.

«Mio padre non amava lo sport professionistico, quindi la nascita del tennis open mi facilitò la decisione di iscrivermi a Medicina all’Università (dopo il ritiro, nel 1981, Williams ha esercitato per lunghi anni come chirurgo ortopedico, ndr) e a concentrarmi nel tempo libero sul rugby, che era molto più popolare dove vivevo. Se avessi dovuto scegliere oggi – confesso nel 2018 a Bowers – forse avrei scelto il tennis. Ero un buon giocatore all-around, ma non avevo un gran servizio, quindi sarei riuscito a cavarmela ma non a vincere tornei importanti».

Della partecipazione a Bournemouth, uno dei tornei che hanno segnato la storia del tennis, conservava un episodio divertente, significativo di quanto lo sport fosse diverso a quei tempi. «Dopo la sconfitta me ne tornai in macchina a Brigend e quella stessa sera giocai contro Newport. La spuntammo, quindi quel giorno potei dire di aver vinto almeno una partita. In compenso, il premio per aver passato le qualificazioni era di 20 sterline, ma tutti a Brigend si aspettavano che pagassi loro da bere, quindi alla fine mi ritrovai a tasche vuote…».

Una pinta, alla salute del grande JPR.