Non solo i guai di Kyrgios e (soprattutto) Tomic: l'Australia riaccoglie il figliol prodigo Akira Santillan, che negli ultimi anni aveva giocato per il Giappone. “Mi sento più a mio agio” dice Akira, che aveva cambiato per assecondare i capricci del padre. Ma adesso, con Alexei Popyrin e Alex De Minaur, i canguri vogliono saltare ancora più in alto con la "Tripla A".

Non è un bel periodo per il tennis australiano. Alle dichiarazioni anti-tennis di Bernard Tomic si sono accompagnati gli infortuni di Nick Kyrgios (l'anca gli fa ancora male, niente difesa del titolo ad Atlanta) e la prematura morte di Peter Doohan, autore di una delle più grandi sorprese di sempre a Wimbledon (nel 1987 batté Boris Becker), scomparso ad appena 56 anni. I canguri, tuttavia, hanno nuove speranze. Hanno ricomposto lo slogan AAA, che non è un annuncio da Portobello, ma le iniziali di tre giovani promesse che puntano a rinverdire la grande tradizione aussie. Ad Alexei Popyrin ed Alex De Minaur, da qualche giorno si è aggiunto il figliol prodigo Akira Santillan. Classe 1997 (e dunque nel mirino del bombardamento mediatico detto “Next Gen”), ha scelto di tornare a rappresentare l'Australia dopo un paio d'anni in cui ha giocato per il Giappone. Lo ha fatto nel miglior momento della sua carriera, dopo il primo titolo Challenger a Winnetka e un turno passato nel circuito ATP (ha superato Michael Mmoh sull'erba di Newport). E' curiosa, la vicenda di Akira Santillan. Una vicenda figlia della globalizzazione, che mezzo secolo fa non avrebbe mai potuto esistere. Papà Dean è un sudafricano di origine spagnola, mentre mamma Harumi è giapponese. Akira è nato a Tokyo e vi è rimasto fino all'età di 7 anni, quando la famiglia si è trasferita a Gold Coast. Ha sempre giocato per l'Australia, laddove si è formato tennisticamente (anche se il padre è stato il suo unico coach fino ai 14 anni), ma una serie di contrasti con Tennis Australia avevano convinto papà Dean a dire: “Grazie, arrivederci, noi andiamo in Giappone”.

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AUSTRALIA NEL CUORE
“Potrei dire che vengo dall'Australia, ma che sono anche mezzo giapponese” diceva Akira qualche mese fa. Un modo gentile per far capire che la scelta di papà non gli era andata a genio. Lui si sente australiano, anche se il suo tennis non è esattamente nel solco della traduzione aussie. E così, durante Wimbledon, si è imposto e ha scelto di tornare all'ovile. “Ho giocato per il Giappone nell'ultimo anno e mezzo (in realtà sono due e mezzo, ndr) – ha detto dopo il successo a Winnetka – ma sento di essere soprattutto australiano. Sono cresciuto in Australia e parlo meglio l'inglese. Il giapponese è la mia prima lingua, ma la maggior parte dei miei amici sono australiani e mi sento più a io agio così. Ho preso la decisione a Wimbledon e ne sono pienamente convinto”. Noi lo abbiamo visto giocare l'anno scorso al Challenger di Manerbio: a parte il rovescio a una mano, non così usuale al giorno d'oggi, sembrò ancora un po' acerbo e perse subito contro Filip Krajinovic. Era una delle sue prime esperienze Challenger dopo tanti successi nei tornei Futures. A giudicare dai risultati, c'è voluto poco per effettuare il salto di qualità. Akira è seguito come un'ombra da coach Ricardo Sanchez, mano esperta, tornato nel circuito maschile dopo le importanti esperienze con Jelena Jankovic (portata al n.1 WTA), Nadia Petrova e la parentesi con Caroline Wozniacki. Hanno fatto base ad Almeria, poi a Benidorm (laddove Gianni Bugno vinse una splendida edizione dei Mondiali di ciclismo), adesso a Bangkok. Numero 160 ATP, sta crescendo in fretta e si è improvvisamente trovato in lotta per le Next Gen Finals di Milano. Difficilmente ce la farà, ma gli australiani sono contenti lo stesso. D'altra parte, si stanno specializzando in talenti d'importazione. Popyrin ha origini russe e ha passato tanti anni in Spagna, così come De Minaur, che è australiano principalmente per l'incuria della federazione spagnola. Senza dimenticare Daria Gavrilova, sulle cui spalle si appoggeranno le speranze del tennis femminile dopo il ritiro di Samantha Stosur: “Dasha” ha scelto l'Australia ma è russa.

I CONTRASTI DI PAPA'
Santillan si era fatto notare la prima volta nel 2015, quando colse la semifinale all'Australian Open Junior, ma proprio da lì partirono i contrasti tra la sua famiglia e la federazione. Per un po' ha tollerato i capricci del padre, ma adesso ha deciso di fare di testa sua. Grande amico di Nick Kyrgios, nel 2015 aveva patito la decisione del padre, seccato dal fatto che Tennis Australia – a suo dire – avesse provato a inserirsi nel rapporto professionale tra padre e figlio. “Prima dicono che lavoreranno con te, poi però portano gradualmente tuo figlio a schierarsi contro di te – disse papà Dean – da quando li ha lasciati, nell'agosto del 2014, abbiamo ritrovato il ragazzo che conosciamo”. Ma oggi, accanto al suo nome c'è di nuovo la bandiera australiana, paese scelto anni fa per ragioni esclusivamente tennistiche: non si è spostato perché i genitori lavoravano Down Under, ma solo perché in Giappone era difficile trovare campi dove allenarsi. “E' molto costoso e ci sono troppi praticanti in relazione al numero dei campi, mentre in Australia si può giocare dappertutto”. E poi c'è la questione linguistica: non è affatto vero, come ha detto nei giorni scorsi, che il giapponese è la sua prima lingua. La utilizza soltanto per parlare con la madre “Ma se devo fare un'intervista in giapponese mi si congela il cervello e non so cosa dire”. Da oggi, con la tripla A, l'Australia torna a sperare. Non soltanto a preoccuparsi.