WIMBLEDON – Federer demolisce Murray con 56 vincenti in tre set, prendendosi la decima finale a Church Road. Ci si aspettava la battaglia, è arrivato l’ennesimo show di un campione che non conosce limiti. In queste condizioni può battere Djokovic.L’unico rammarico? Che non sia stata questa la finale. Non tanto per il titolo in palio, ma perché una prestazione simile di Roger Federer avrebbe meritato il palcoscenico più importante, più sognato, “l’incontro di tennis più guardato del mondo”, come l’ha definito Novak Djokovic. Lo stesso che non dormirà sonni tranquilli dopo aver visto il sette volte Re di Wimbledon schiacciare Andy Murray con una prestazione incredibile, quasi impensabile per un signore di 34 anni, che ha messo per la prima volta piede nel Tempio nel 1999, e sedici anni più tardi si appresta a giocare la finale numero dieci. Gran parte della sua storia, la storia di uno dei tennisti più forti di tutti i tempi, ha sede proprio sulla sacra erba dell’All England Club. Roger vi ha scritto una pagina di storia via l’altra, e la sua sontuosa penna non ha ancora finito l’inchiostro. L’ultimo quadro d’autore l’ha dipinto oggi in mondovisione, battendo Andy Murray per 7-5 7-5 6-4. Ci si aspettava la battaglia, il quinto set, invece la semifinale è durata appena due ore e spiccioli, ma gli spettatori del Centre Court se ne andranno con la consapevolezza di aver visto qualcosa di unico, l’ennesima ruota del pavone più bello della storia del tennis, che pare aver trovato l’elisir per l’eterna giovinezza. La sua ricetta è facile: invece di invecchiare, Roger migliora. Giorno dopo giorno, torneo dopo torneo. Alla vigilia dei Championships l’aveva detto: “Non ho mai preparato Wimbledon così bene”, e non stava affatto scherzando. Il campo gli ha dato ragione fin dall’inizio, e alla prima occasione utile lo svizzero ha mostrato come le facili vittorie dei tornei precedenti non fossero solo frutto di un tabellone da metterci la firma. A Murray ha fatto vedere una palla-break nel primo game, poi ha deciso che poteva bastare e ha dispensato superiorità come solo in pochi sanno fare.
 
56 VINCENTI E 11 ERRORI
Lunedì scorso aveva sorpreso il +34 di Serena Williams nel saldo vincenti-errori contro Victoria Azarenka. Federer l’ha saputo, e deve aver deciso di dimostrare che in fondo non era poi così difficile. Risultato: 56 vincenti e solo 11 errori in tre set, con dall'altra parte della rete Andy Murray, uno dei giocatori più difficili da scardinare. Una prestazione mostruosa. Chi dice che il miglior Federer sia questo, più forte di quando faceva a pezzi tutti gli avversari, ha ragione. Lo svizzero sbaglia meno col rovescio, diventato un colpo via via più sicuro dopo il tanto atteso cambio di racchetta, e serve anche meglio: in tutto il torneo ha subito un solo break (e inutile) contro Gilles Simon. Quindi sì, migliorare dopo i 30 anni si può, anche se ti chiami Roger Federer e hai vinto tutto o quasi. Rispetto aisuoi anni d’oro si è alzato il livello degli avversari, e pure il numero delle giornate storte, ma quando tutto va per il verso giusto lo spettacolo è sempre da 30 e lode. Murray non ha potuto fare altro che guardare e applaudire. Ha rimediato la classica sconfitta di chi riesce a stare a ruota per ore, ma nel corpo a corpo arriva sempre secondo. Lo dicono i tre break che hanno deciso i parziali, tutti nell’ultimo gioco e tutti con degli inarrivabili lampi di classe griffati RF, e lo conferma la sua risata sarcastica alla fine del secondo. Nelle fasi finali le ha provate tutte, ha salvato cinque set-point sul 4-5 al termine di un game di venti punti destinato a diventare un classico di YouTube, ma si è inginocchiato al sesto, due game più in là. Quando si è seduto, gli è scappato il sorriso di chi sa di non poter fare molto di più. Ha fatto i miracoli, ma l’acqua è rimasta acqua.
 
NON È SOLO QUESTIONE DI VITTORIE
Mi aspettavo un match più lungo – ha ammesso lo svizzero dopo il successo – e credo che la differenza l’abbia fatta il servizio. Ho concesso una sola palla-break a uno dei migliori ribattitori, ho tenuto alta la pressione dei miei colpi, ho sempre spinto, sono rimasto concentrato”. In pratica, è andato tutto come doveva andare, nonostante quel decimo game del secondo set avesse tutta l’aria di uno spartiacque. Invece Roger è andato a servire sul 5-5 come niente fosse, ha tenuto la battuta a zero e ha risolto la questione nel gioco successivo. “Non credo di aver giocato male i set-point, Andy è stato molto bravo”. Vero, ma in finale ci va lui, per la gioia di una fitta schiera di tifosi che aspettava questo momento esattamente da dodici mesi, quando Djokovic gli negò l’ottavo successo nel torneo più famoso del mondo. Un anno dopo saranno di nuovo l’uno di fronte all’altro, pronti a regalare un’altra finale epica. “Negli ultimi anni Novak ha reso la vita difficile a tutti, vedremo che finale sarà. Tutti e due l’aspettiamo con ansia”. I suoi tifosi ancora di più, aggrappati a quel ‘Bel18ve’ che li accompagna ormai da tre anni, ma forse non è mai parso così realistico. Roger li ha aizzati con una prestazione incredibile, di quelle da primissimi posti nella sua personalissima graduatoria, e ora gli spetta il compito più difficile: ripetersi. In queste condizioni può farcela. Un suo successo avrebbe un valore inestimabile, di quelli che si apprezzano meglio qualche anno dopo. Perché non è solo una questione di vittorie, c’è di mezzo l’immortalità sportiva.

WIMBLEDON – Semifinale
Roger Federer (SUI) b. Andy Murray (GBR) 7-5 7-5 6-4