Non è servita una prestazione di quelle che fanno l'occhiolino a un certo tipo di articoli, più celebrativi che di cronaca. Quando Roger Federer gioca bene, è facile cadere nella contemplazione. Stavolta non è necessario, ma il risultato è lo stesso: senza lasciare per strada neanche un set, si è preso la finale numero 11 a Wimbledon. E' il più anziano a riuscirci dai tempi di Ken Rosewall, che aveva 39 anni quando si arrese a Jimmy Connors nel 1974. Non sarebbe mai riuscito, il mitico “Muscle”, a sollevare il titolo di Wimbledon. Però le telecamere BBC lo hanno ugualmente cercato dopo il match, e Federer gli ha dedicato un pensiero: “Per me significa molto essere accostato a lui, perché è un uomo meraviglioso e ha fatto la storia del tennis. Anzi, spero di incontrarlo”. Da parte sua, lo svizzero ne ha già intascati sette, e andrà a caccia dell'ottava meraviglia quando mancheranno 23 giorni al 36esimo compleanno. Nella seconda semifinale, giocata in un clima ideale (caldo ma non troppo, prime ombre a portare un po' di refrigerio), si è imposto 7-6 7-6 6-4 su un buon Tomas Berdych. Il ceco è arrivato fin qui con merito, ma tra i due c'è una notevole differenza: in primis, Federer è più forte. In secundis, è decisamente più abituato a vivere certe situazioni. Non è un caso che lo abbia battuto 19 volte su 25, comprese le ultime otto. Berdych avrebbe meritato di intascare un set, ma – e qui siamo ripetitivi – non è un caso se i punti importanti vanno sempre allo stesso. Federer si è un po' complicato la vita nel primo set: avanti 4-2, sembrava poter giocare un semplice match di routine. Si è disunito al servizio e ha concesso l'aggancio a Berdych. Nel tie-break, tuttavia, era più bravo lui. D'altra parte, ha più armi tattiche del ceco.
“HO DATO TREGUA AL MIO CORPO”
Sul 3-3 del secondo, Berdych si procurava una delicata palla break con una sontuosa risposta di dritto, ma Roger la cancellava con un cross stretto favoloso, sempre di dritto. Nel tie-break volava rapidamente 5-1 e si portava avanti di due set. Stessa storia nel terzo: sul 3-2 in suo favore, Berdych piombava 15-40 e dava voce e ossigeno al suo clan. Niente da fare: due ace consecutivi (che classe!) davano a Federer l'abbrivio per un parziale di otto punti a due, che sfociava nel break al game successivo. A due ore e diciotto minuti dal primo punto, alzava le braccia al cielo e si godeva un traguardo insperato soltanto un anno fa, quando la caduta durante la semifinale contro Milos Raonic sembrava avere un grosso valore simbolico. “Mi sento privilegiato nel poter giocare un'altra finale – ha detto Federer – non so quanti giocatori vorrebbero mettere piede sul Centre Court di Wimbledon, io invece ho avuto la fortuna di giocarci tante volte e avrò la chance di farlo ancora. E' bellissimo, non posso crederci”. Roger ha anche avuto modo di ripensare allo stop dell'anno scorso, 6 mesi sabbatici presi subito dopo Wimbledon. “E' stato un recupero lungo e difficile. Sono contento di averlo fatto, in quel periodo ho avuto un'immagine di come sarà la mia vista senza il tennis, perché vorrei essere anche un buon padre e un buon marito. Ho dato tregua al mio corpo e sono contento che sia andata bene, perché avrei anche potuto non farcela”. E poi complimenti a Marin Cilic, suo avversario in finale, definito “amabile” nonché molto pericoloso, anche in virtù di precedenti molto combattuti, come i quarti dell'anno scorso, comprensivi di tre matchpoint annullati. Avrà un giorno intero per pensare a come batterlo. E poi al suo angolo c'è Ivan Ljubicic, croato come Cilic: un bonus che servirà.
WIMBLEDON UOMINI – Semifinale
Roger Federer (SUI) b. Tomas Berdych (CZE) 7-6 7-6 6-4