US OPEN. L’americana arriva a due punti dalla sconfitta, ma si risolleva in tempo e batte la Azarenka. Per lei è il 15esimo Slam, a sole tre lunghezze da Evert e Navratilova.
La gioia infinita di Serena Williams: lo Us Open è suo
Di Lorenzo Cazzaniga – 10 settembre 2012
Può capitare di trovarsi a due punti dalla sconfitta e non dare l'impressione di poter perdere? Si, può capitare. Ma solo se sei una campionessa da leggenda. Serena Williams la è: tirando fuori carattere, orgoglio e coraggio, si è aggiudicata il 15esimo Slam in carriera, il quarto all’Open degli Stati Uniti. Ma per riuscirci ha dovuto lottare disperatamente contro una grande Victoria Azarenka. La bielorussa si è trovata 5-3 al terzo e ha servito sul 5-4, ma Serena le è superiore. Non sul piano tecnico (almeno non stavolta), ma il peso di 14 Slam a 1 si è fatto sentire nel momento del bisogno. Dopo l’errore in lunghezza della Azarenka, ultimo punto del match, Serena si è sdraiata sul Decoturf con pancia all’insù e vi è rimasta per alcuni – lunghissimi – secondi. Era felice come una bambina a cui hanno comprato le caramelle. Questa vittoria assume un gran valore per Serenona. Non tanto per i problemi di salute avuti negli ultimi due anni (già esorcizzati con i successi a Wimbledon e Olimpiadi), quanto perché le ultime apparizioni allo Us Open erano state sfortunate. Nel 2009 si imbufalì con una giudice di linea per il fallo di piede più famoso della storia e si prese un penalty point sul matchpoint. L’anno scorso giocò una pessima finale contro la Stosur, peraltro litigando con la giudice di sedia. Stavolta, nonostante un dritto che funzionasse poco e male, ce l’ha fatta. “Non ci posso ancora credere, sono ancora sotto shock – ha detto durante la premiazione – stavo già preparando il mio discorso da finalista, perché Victoria stava giocando davvero bene”.
Non era scontato avere una bella finale, dal momento che i precedenti erano 9-1 per Serena. E poi l’americana aveva perso 19 game in tutto il torneo. Invece, dopo un primo set di assestamento, “Vika” ha ritrovato precisione e anticipo nei colpi, mettendo alle corde una Williams sempre più stanca. Con meno vincenti, ma anche con molti meno errori, la Azarenka ha spesso condotto nel terzo set. Sotto 2-3, ha vinto tre giochi di fila che l’hanno portata ad un passo dal sogno. Perché di sogno di sarebbe trattato. Da quando ha perso al Roland Garros, Serena ha un bilancio di 26 vittorie e 1 sconfitta. Batterla sembrava impossibile, invece non lo era. Serena ha dovuto raschiare il barile delle risorse. Nel serbatoio d’emergenza, tuttavia, ha trovato quello che le serviva: qualche buon servizio nel momento del bisogno, alcune soluzioni spettacolari…e una presenza agonistica da paura. Quando la Azarenka è andata a servire per il match sul 5-4, Serena attendeva il servizio in una posizione diversa dal solito. Gambe aperte, sguardo feroce, sembrava una pantera pronta ad azzannare la preda. Sarà un caso, ma “Vika” ha giocato un pessimo game e ha firmato la condanna. Sul 5-5, era chiaro che sarebbe finita così. E’ stata la prima finale dello Us Open terminata al terzo dal mitico Graf-Seles del 1995, quando si affrontarono la numero 1 contro la numero 1-bis. Per certi versi, è così anche oggi. Il computer dice che la Azarenka è numero 1, e difficilmente premierà Serena entro l’anno. E allora è giusto parlare di numero 1-bis. Perché Serena è la più forte, checchè ne dicano calcoli e algoritmi.
“Ha meritato di vincere, ha dimostrato di essere una grande campionessa – ha detto la Azarenka, una delle poche con cui Serena ha un buon rapporto – Ho dato tutto, uscendo dal campo non avrò rimpianti”. Rimpianti no, ma pianti si. Dopo la stretta di mano, si è nascosta sotto l’asciugamano ma poi ha mostrato al mondo le lacrime di delusione. Ma erano lacrime di tensione, dignitose perché non disperate. Erano le lacrime di chi tornerà a vincere uno Slam perché ha cuore e coraggio da vendere. Il terzo set è stato bello ed emozionante. In avvio, Oracene Williams ha detto alla figlia di calmarsi. Sembrava un leone in gabbia. Il servizio non funzionava e il dritto era diventato una banca. Fino al 5-3 e 30-30, la bielorussa ha dominato. Un po’ come le è accaduto in semifinale contro la Sharapova. Conduceva, ma non riusciva a scrollarsela di dosso. Ma Serena è un'altra cosa, e da quel punto si è aggiudicata 10 dei successivi 12 punti. Pochi minuti dopo godeva in modovisione, strillando “Oh, my God! Oh, my God!” prima di andare da salutare il suo clan. Serena è la prima ultratrentenne a vincere lo Us Open dai tempi di Martina Navratilova, vincitrice nel 1987. Il suo primo successo in questo torneo risale al 1999, quando era ancora minorenne. Sono passati 13 anni, più dei 12 in cui Chris Evert (1974-1986) e Martina Navratilova (1978-1990) hanno spalmato i loro Slam. Saranno proprio Chris e Martina i prossimi obiettivi della Williams. Ferme a 18, possono essere raggiunte da chi ne ha 15 e non ha intenzione di mollare. Nemmeno dopo che le hanno chiamato un fallo di piede nel secondo set, alimentando i fantasmi di tre anni fa. E' rimasta impassibile, poi è passata ridacchiando davanti al giudice di linea.”Sono contenta che abbia reagito bene a questo episodio – dice mamma Oracene – vuol dire che ha saputo andare oltre. Sono convinta che quell’episodio sia ancora nella sua mente”.
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