Dopo aver battuto Nadal a Roma, Denis Shapovalov ha perso sei partite di fila. La scelta di mollare coach Jamie Delgado dopo soli tre mesi pare un azzardo che era meglio evitare, anche perché i suoi limiti sono ancora gli stessi di cinque anni fa. Se non vuole rimanere uno dei tanti serve in fretta un cambio di rotta
Più forma che sostanza: nel tennis non funziona
Batti Nadal agli Internazionali d’Italia e poi… sparisci. L’ultimo protagonista di un “dalle stelle alle stalle” in salsa tennistica è Denis Shapovalov, che dopo aver fatto fuori il maiorchino – con la collaborazione del suo problema cronico al piede – dal torneo del Foro Italico non ha più vinto una sola partita. All’indomani il canadese avrebbe perso da Casper Ruud e poi ha collezionato cinque primi turni consecutivi, uscendo immediatamente di scena al Roland Garros e trascinando la serie di sconfitte anche in quella stagione sull’erba nella quale tanto bene aveva fatto nel 2021, con i quarti a Stoccarda, la semifinale al Queen’s e soprattutto a Wimbledon. Chiuse in lacrime dopo la sconfitta contro Djokovic, amareggiato per non essere riuscito a fare di più, segno che sentiva di averne ancora. Ma quest’anno sui prati non ha saputo ritrovare le stesse sensazioni. Le ha cercate a Stoccarda, poi al Queen’s, quindi a Maiorca, ma ha perso da tre giocatori non al suo livello e si presenterà a Wimbledon con una striscia aperta di sei sconfitte consecutive, e appena due set vinti degli ultimi quindici. Per interromperla dovrà battere il francese Arthur Rinderknech, numero 61 del mondo, contro il quale ha perso qualche mese fa a Doha. Poteva andare peggio ma anche meglio, perché nei periodi negativi come quello che sta attraversando diventa tutto più difficile, più problematico, più frustrante. Specie per un giocatore che non ha nella tenuta mentale il suo punto di forza.
Volendo guardare oltre alla striscia negativa attuale, il grosso problema di Shapovalov è che ha gli stessi identici limiti di cinque anni fa, quando si rivelò al grande pubblico arrivando in semifinale a Montreal. Impressionava per la qualità di un tennis che pare costruito ad hoc per intrattenere lo spettatore, ma lasciava qualche perplessità su solidità, tenuta mentale e quell’abitudine di piacersi un po’ troppo, tipica di chi guarda più alla forma che alla sostanza. Solo che al tempo aveva 18 anni e quindi certe derive erano perdonabili, mentre a 23 lo sono molto meno. Per carità: il mancino nativo di Tel Aviv è arrivato fra i primi 10 del mondo, ha raggiunto i quarti di finale in tre Slam su quattro e ha già ottenuto risultati per i quali il 99,9% di chi impugna una racchetta pagherebbe oro. Ma è il primo a non essere soddisfatto, perché non è questo il futuro che aveva lasciato immaginare quando da neo diciottenne infiammò il Centrale di Montreal battendo Nadal al tie-break del terzo. Doveva diventare una star, invece cinque anni dopo è ancora uno dei tanti: il pubblico l’ha compreso e l’ha etichettato come bello ma perdente, i rivali hanno capito che ai momenti di trance agonistica nei quali è difficile da fronteggiare (perché ci sono ancora) seguono dei lunghi passaggi a vuoto nei quali regala tanto, e l’hype del personaggio è andato costantemente scemando.
Uscirà dai primi 20: serve un cambio di rotta
Al termine del torneo di Wimbledon, indipendentemente da come andrà, Shapovalov sarà intorno alla 25esima posizione del ranking ATP. Equivale a un passo indietro di praticamente tre anni, e il discorso è all’opposto rispetto a quello che si può fare per Berrettini, altro che perderà parecchie posizioni dopo i Championships. Nel caso del romano la classifica mente e non rispecchia quanto visto ultimamente, mentre per quanto riguarda Shapovalov simboleggia alla perfezione un lungo periodo negativo. Fa doppiamente male perché fra Wimbledon di dodici mesi fa e l’ultimo Australian Open, dove ha fatto fuori Zverev e poi tenuto testa per cinque set a Nadal (sia in campo sia di carattere, polemizzando per la lentezza di Rafa fra un punto e l’altro), pareva aver compiuto un salto di qualità a livello mentale. Invece è di nuovo regredito, e la scelta di dare il benservito a Jamie Delgado, ingaggiato a fine 2021 ma mollato dopo Miami malgrado la prova di tre mesi non fosse andata male, non lo aiuterà di certo. Con l’ex coach di Murray all’angolo era parso subito maturato, più concreto, più solido negli scambi e nella testa, ma la scintilla fra i due non è scoccata e Denis ha deciso di affidarsi a tempo pieno a un personaggio a lui più vicino come il connazionale Peter Polansky, che ha detto basta col professionismo solamente a febbraio, rilanciandosi subito dopo come allenatore. Il problema è che di esperienza non ne ha, il che lascia più di un dubbio sulla decisione.
Quando gli hanno chiesto il motivo della separazione da Delgado, “Shapo” non ha saputo entrare nei dettagli. Ha detto che la qualità del coach era alta, ma sentiva non fosse l’uomo giusto per lui e per il suo tennis, mentre con Polansky ha un feeling diverso, sia negli allenamenti sia fuori dal campo. È importante anche quello, ma fra un coach in grado di dargli la giusta disciplina e un amico, forse, l’opzione che gli serve è la prima e non la seconda, altrimenti c’è il rischio che le soddisfazioni continuino a essere solo per la sua fidanzata Miriam Bjorklund, svedese che dopo aver superato le qualificazioni al Roland Garros l’ha fatto anche a Wimbledon, dove sarà la prima avversaria di Ons Jabeur. Per fortuna, nell’intera stagione sul cemento americano il canadese avrà da difendere poco più di 100 punti, quindi avrà modo di recuperare le gravi perdite dei prati. Ma più che i punti ciò che gli serve è un vero e proprio cambio di rotta, per non dipendere più da un momento positivo oppure negativo, dalla carica di un punto spettacolare o dalla delusione per un doppio fallo, ma costruirsi un rendimento medio in grado di garantirgli sempre il minimo indispensabile. È quello che nel tennis di vertice fa la differenza fra i fenomeni e tutti gli altri. Lui – con la complicità di chi gliel’ha ripetuto per anni – credeva di appartenere alla prima categoria, invece il presente gli sta ripetendo che fa parte della seconda. Tornare dall’altro lato non sarà per niente semplice.