Dopo aver motivato il suo rifiuto di concedere l’intervista in campo, anche il Primo Ministro australiano e, soprattutto, Elon Musk hanno commentato il gesto di Nole

foto Ray Giubilo

La querelle tra Novak Djokovic e Tony Jones, l’anchorman di Channel 9 reo di aver trasformato i canti dei tifosi serbi – per scherzo, afferma lui, ma resta comunque un gesto increscioso, non degno di un professionista – in “Novak è sopravvalutato! Novak è un fallito! Buttatelo fuori!”, è persino andata oltre lo status di “questione di stato”, se è vero che a scomodarsi, oltre al Primo Ministro australiano Antony Albanese, è addirittura Elon Musk.

Eravamo abituati alla simpatia di Bill Gates per il tennis e in particolare per Roger Federer, non ci aspettavamo – forse – la strana alleanza fra Elon Musk e Novak Djokovic. Scattata in nome della cosiddetta disintermediazione, la voglia di saltare il filtro dei media per dirigersi direttamente ai fans, o al popolo (che sempre più stanno diventando la stessa cosa).

Dopo il rifiuto motivato di Nole di concedere interviste in campo a Channel 9, un po’ tutto il tennis si era schierato dalla sua parte, pretendendo scuse pubbliche, ma al coro si è aggiunto rapidamente anche Elon Musk, che ha pensato bene di strumentalizzare la questione attaccando i ‘legacy media’, ovvero i media tradizionali, pre-internet. Che peraltro Nole sa maneggiare da consumato uomo di comunicazione. 

«E’ molto meglio parlare direttamente al pubblico che attraverso la negatività dei legacy media». ha postato su X, il social network di proprietà, con il quale il tycon sudafricano interviene quotidianamente a gamba tesa sulla politica interna di mezzo mondo, in risposta al video di Nole. E Djokovic prontamente ha approvato il post. 

Per onore di cronaca, prima che Djokovic postasse il video su X, le scuse di Tony Jones erano già arrivate attraverso un sito serbo, di scarsa visibilità, dunque di ridotta risonanza.

Il mattino successivo, tuttavia, Jones, in un’intervista trasmessa da Channel 9, si è cosparso di cenere il capo confessando di aver subito rivolto scuse ufficiali al team Djokovic non appena Tennis Australia lo aveva informato del malumore, e ammettendo in diretta di aver oltrepassato il limite con l’ultimo commento, “buttatelo fuori”, troppo facilmente riconducibile all’espulsione di Nole dallo Stato avvenuta in tempo di covid.

Djokovic, si sa, è uomo antisistema, qui in Australia tre anni fa fu incarcerato per una settimana in un covid hotel per le sue posizioni contro i vaccini (lui direbbe: a favore della libertà), tanto che fu soprannominato No-Vak Djokovid, e su tanti altri argomenti è abituato ad assumere posizioni da antagonista. Fra l’altro ha un tale seguito in patria che se dovesse scendere in politica vincerebbe le elezioni serbe a mani basse. Più che della Serbia, ha spiegato Djokovic, amerebbe però guidare una Jugoslavia di nuovo unita, come un novello Tito non allineato e sparigliante. Se il progetto è questo, avrebbe sicuramente un alleato nel nuovo consigliere di Donald Trump, e probabilmente nello stesso Presidente Usa.