Ancora prima di competere, devono scontrarsi e scendere a patti quotidianamente con una malattia, che sia il diabete, il morbo di Crohn o una forma di sordità…
Strappi, fratture da stress, influenze, infortuni. Magari il Covid che negò a Matteo Berrettini la partecipazione a Wimbledon nel 2021, quando a Londra era arrivato da primo o secondo favorito, o il tumore al seno con cui ha lottato l’anno scorso per sei mesi Gabriela Dabrowski, riuscendo anche nel frattempo a conquistare un bronzo olimpico. La vita del tennista è fatta anche di inciampi fisici, di pause imposte, ma una cosa è fermarsi per curarsi, un’altra essere costretti a curarsi mentre si gioca per colpa di una malattia cronica.
Alexandre Muller, il tennista francese numero 56 del mondo che ha appena vinto il suo primo torneo ad Hong Kong, a L’Equipe ha parlato lungamente dell’impatto che sulla sua carriera ha avuto il morbo di Crohn, una infiammazione cronica dell’intestino di cui soffre da dieci anni che causa dolori addominali, nausea, vomito, diarrea, affaticamento, dimagrimento, va trattata sistematicamente e per un atleta può diventare l’avversario più pericoloso di tutti.
«Penso con lo stomaco», ha (auto)ironizzato Muller, intervistato da Quentin Moyet. «Non posso essere sempre al 100%, sono più fragile. Prima di una sessione di tennis o di allenamento con i pesi, penso solo al mio stomaco: “Devo andare in bagno? È automatico, il mio cervello pensa così. Prima di una partita, vado in bagno almeno cinque o sei volte. Quando ti svuoti e perdi due o tre chili, ti ritrovi con un po’ di handicap energetico. E quando, dopo tre ore di partita, non riesco a bere più di quattro sorsi d’acqua senza avere la sensazione di vomitare in campo, ne pago inevitabilmente le conseguenze». Ansia, imbarazzo quando si tratta di correre in bagno durante il riscaldamento. «Ho problemi digestivi, ho spasmi. In realtà, non so cosa significhi essere ben idratati. Se bevo di più, mi viene il singhiozzo, come se avessi appena bevuto una birra, e non riesco a muovermi».
La prima diagnosi era stata di retticolite emorragica, emessa dopo i primi sintomi e crisi in cui gli capitava di dover andare in bagno 35 volte in un giorno, nel 2022 corretta in morbo di Crohn. «All’epoca, il medico mi aveva avvertito: Smetti di fare sport, altrimenti la tua salute peggiorerà. Mi dissero che avrei passato l’inferno». In parte è stato così, ma Alexandre ha sviluppato un carattere da lottatore, non a caso a Hong Kong è diventato il terzo a vincere un torneo Atp rimontando un set in ogni incontro dopo Arthur Ashe nel 1975 e Alexander Bublik nel 2024. Senza cure rischia di finire in ospedale, ma i medicinali vanno conservati in frigorifero e nel caso di trasferte lunghe come quella in Australia il problema è serio, ma visto che fra le prescrizioni c’è anche il cortisone, che rientra nelle sostanze dopanti, l’incubo raddoppia. «Forse per questo – conclude Muller – in campo sono molto calmo. So che ci sono cose peggiori da affrontare, nella vita».
Muller non è il solo caso, il più noto, e persino più grave, è quello di Sascha Zverev, che pure è riuscito ad arrivare ad un soffio dal numero 1 del mondo e a bivaccare stabilmente fra i primi 5 o 6 nonostante soffra di una forma di diabete, quella di tipo 1, da quando ha 4 anni. Anche a lui i medici avevano detto che lo sport professionistico era incompatibile con la sua condizione, «che non ce l’avrei mai fatta. All’inizio non ne ho parlato, ma a 25 anni ho pensato che con il mio esempio avrei potuto dare coraggio a tanti ragazzini che hanno lo stesso problema e ai loro genitori». Il diabete impedisce al pancreas di produrre insulina, un ormone fondamentale per la sintesi di zuccheri e grassi nel nostro organismo, e oggi Sascha se la inietta tranquillamente in campo, non di nascosto come un tempo, per evitare crisi di debolezza e problemi più seri.
La sordità quasi totale di Lee Duck-Hee e l’accentuata ipoacusia di Yannick Hanfmann sono condizioni congenite, che accompagnano i due tennisti fin dalla nascita (o quasi) e se non mettono in pericolo la salute sono sicuramente un grosso ostacolo sul campo. In passato Pete Sampras ha dovuto convivere con una forma, lieve, di anemia mediterranea, una patologia potenzialmente gravissima, Federer ha sofferto di mononucleosi, Samantha Stosur della malattia di Lyme (che comporta problemi neurologici e cardiaci), ma gli ultimi due ne sono usciti più o meno rapidamente e facilmente. Molto più nota è la battaglia di Venus Williams con la sindrome di Sjogren, una malattia infiammatoria autoimmune di cui soffre dal 2011 che le provoca dolore alle articolazioni e le causa crisi di affaticamento improvvise, costringendola anche ad una dieta particolare, crudista e vegana. Più recenti poi i calvari di Caroline Wozniacki e Danielle Collins, entrambe alle prese con l’artrite reumatoide, altra sindrome autoimmune che aggredisce le articolazioni, mani, polsi, caviglie, piedi ma può estendersi a polmoni, occhio e vasi sanguigni e causare una invalidità pesante e cronica se non viene trattata precocemente, mentre su diversi casi di disturbi neurologici e dell’alimentazione, come bulimia e anoressia, va considerata la privacy che molti atleti giustamente decidono di invocare.
Abbiamo lasciato per ultimo Rafa Nadal, che dall’inizio della sua carriera fino al suo ritiro ha dovuto convivere con la sindrome di Muller-Weiss, un processo degenerativo dell’osso navicolare del tarso, nel piede, molto doloroso e irreversibile, che di solito colpisce gli adulti, soprattutto le donne, a partire dai 40 anni, portando ad una progressiva deformazione del piede. Di solito rende problematico già il camminare, ma Nadal è riuscito a sopportarlo e a vincere 14 volte il Roland Garros e 92 tornei in totale. Altro che arrendersi…