È stata una delle protagoniste del torneo, a due anni dal suo primo «quarto» parigino ha conquistato tutti con la sua grinta e la sua allegria. Una serenità raggiunta, come ci racconta, attraversando momenti non facili.

Parigi, vista dalla terrazza della Clubhouse, un ristorante al secondo piano del centrale, è uno splendore di sole e campi rossi. Per un gioco di luce la vedi riflessa nei grandi occhi di Martina – nocciola con venature di verde – e capisci che, in qualche modo segreto, la città e la ragazza si vogliono bene. «Sì, Parigi è un posto speciale», dice Martina Trevisan con il suo bellissimo volto, da ritratto del Ghirlandaio o di Filippo Lippi. «Mi piace l’atmosfera, e soprattutto i campi: veloci, con una terra leggerissima, diversa da tutte le altre. La città… peccato non avere mai tempo per visitarla: nel 2020 eravamo nella bolla, questa volta sono arrivata all’ultimo da Rabat. Però ho l’albergo proprio davanti alla Tour Eiffel».

Più bella la prima volta che sei arrivata nella seconda settimana, nel 2020, o questa?

«Questa. Nel 2020 era tutto inaspettato, affrontai un risultato straordinario con un misto di gioia e terrore. ‘E adesso che faccio?’, mi chiedevo. Infatti l’inizio dell’anno scorso è stato difficile. Non me la sono goduta molto».

A 28 anni, dopo cinque passati lontano dal tennis fra il 2010 e il 2014, è l’ennesima ripartenza?

«L’età non è un limite, mi sento addosso meno anni di quelli che ho. Penso solo che sto facendo qualcosa di grande, che nessuno potrà togliermi e di cui devo andare fiera».

Lo sport è una questione di famiglia.

«Mia madre Monica faceva la maestra di tennis ed è stata la prima a portarmi sui campi, al Ct Perignano, dove ha ripreso a lavorare ora. Mio padre Claudio è stato un calciatore (serie B e C, Modena e Sambenedettese, ndr) e anche mio fratello Matteo aveva un gran talento (è stato n.1 del mondo juniores, ndr) anche se ha smesso presto. Siamo sempre stati orgogliosi l’uno dei risultati dell’altra».

Idoli, da ragazzina?

«Quando ero piccola mi piaceva la Mauresmo, poi sono tornata verso l’Italia, con Flavia Pennetta: mi ispiro a lei sia come persona sia come atleta».

Torniamo alla Martina Trevisan, adolescente promettente, che di colpo lascia il tennis. Lo sport può fare male?

«Dipende dal momento, dall’età. Non fa bene né male, amplifica i tuoi stati d’animo, il malessere che ci sta dietro. Io ho smesso ad un’età molto difficile, perchè c’era qualcosa che non andava nella mia vita. Mi stavo avviando ad una carriera professionistica ma c’erano aspetti della vita privata che non mi facevano stare bene».

Problemi privati, la pressione di essere sempre all’altezza delle aspettative.

«Quella dell’atleta è una vita che ti fa viaggiare sempre, e capitano i periodi in cui di partite non ne vinci una. Per due anni non ho voluto nemmeno guardarlo, un campo da tennis, neanche in tv. Non riuscivo a vivere, figuriamoci a giocare».

Disordini alimentari, la quotidianità che si complica. Come ne sei uscita?

«Ho iniziato a fare la maestra di tennis, ho messo ordine nella mia vita. Un anno e mezzo dopo lo stop, a ventuno anni, mi sono detta: perché non riprovarci? Ero pronta a rimettermi in gioco. Ma è stato un percorso molto lungo. Mi ha aiutato Francesca, una psicologa».

La Martina di oggi, numero 31 del mondo, è una tennista che in campo sorride sempre: persino sul matchpoint. Mats Wilander ne è rimasto sorpreso.

«Eh, ma mi sono allenata tanto… Il sorriso mi aiuta a superare le tensioni, a ricordarmi che sono in uno dei posti più belli del mondo e che il peggio che mi può capitare è di perdere un punto. E che dopo ce n’è comunque un altro».

Il piacere del tennis, che muove tutti i grandi, da Federer a Nadal.

«Per me è il piacere della lotta, della sofferenza, dello scambio lungo. L’adrenalina della soluzione da trovare sul ’15’ importante. Mi fa sentire viva».

Ti va di dare un suggerimento per i giovani che attraversano momenti difficili? Lo sport può essere un aiuto importante.

«Se ti rende felice, sì. Devi sentirlo dentro. Il mio consiglio è di ascoltarsi molto e non impaurirsi. Ci vuole coraggio, perché non è facile, e bisogna prima sentirsi bene fuori dal campo».

Che cosa ti piace oltre al tennis?

«Ballare…»

Che cosa?

«Tutto! Musica italiana, latina, house».

E pratichi?

«Anche da sola, la mattina, mentre mi lavo i denti. Diciamo che se prendessi lezioni diventerei bravina».

A tavola cosa ti ingolosisce?

«La fettunta, pane abbrustolito e un filo d’olio, naturalmente Colavita. Da brava toscana».

Al Roland Garros o in genere ai tornei hai delle scaramanzie?

«Sono scaramanticissima: niente bucato nei giorni della partita e tonno scottato per cena sempre nello stesso ristorante italiano («Da Ciccio», ndr»).

Un fidanzato c’è?

«Si chiama Marco, lavora in una ditta di gomme, Intergomma, mi segue quando può, è il mio tifoso numero uno».

Il sogno nel cassetto?

«Fare bene anche in un altro Slam: ad esempio agli Us Open, che sono il mio secondo preferito dopo Parigi».

Dopo Parigi cosa succederà? Danilo Pizzorno, il tuo videoanalist, mi ha detto che gli hai spiegato che non deve preoccuparsi della tua carta di identità quando ti parla…

«Danilo è bravissimo, mi ha aiutato tantissimo. Questo è solo un punto di partenza. Io l’età non la prendo proprio in considerazione, di anni me ne sento decisamente meno di quelli che ho. Non è un limite per me pensare che a novembre farò 29 anni, che sono vicina ai 30. Mi sto godendo quello che ho fatto, e so che devo esserne fiera».

Senti, dicevano – dicevamo… – che le tenniste italiane erano in crisi, invece…

«Io sono molto amica di Jasmine Paolini, abitiamo vicine, ci vediamo anche per un pranzo o un caffè. Con lei, Lucia Bronzetti, la ‘Coccia’ (Elisabetta Cocciaretto, ndr) in Billie Jean King Cup siamo un bel gruppo. Sì, noi ci siamo»