Un campione unico, buono, intelligente, amato da tutti, fan e avversari, anche il suo più grande
Se ne vanno, uno dopo l’altro, i miti che ci hanno tenuto caldo il cuore e occupati gli occhi per gli ultimi anni, e Rafa forse per me è il più difficile da scrostare dal futuro, dall’abitudine a scriverne. Intendiamoci: se ne vanno tutti dal campo – tranne uno, per il momento – ma entrano in vite ‘normali’ felicissime, ricche, piene di impegni, anche nel tennis, quindi quelle che ci fanno versare sono lacrime buone, un condensato di gioia e di ricordi. Rafa ha vinto tanto, tantissimo – 92 tornei, 22 Slam, 14 Roland Garros giusto per citare le tre cifre più importanti – ma ha ragione a dire che per lui il vero trofeo, la vera coppa, la medaglia più importante è stata quella dell’affetto della gente. «I titoli, i numeri, li conoscono tutti – ha detto con il ciglio asciutto ma l’anima in disordine a Malaga, nella notte del suo addio – Ma vorrei essere ricordato come una brava persona di un piccolo villaggio di Maiorca, che inseguiva dei sogni e ha ottenuto molto di più di quello che avrebbe mai sognato».
Poco prima David Ferrer aveva usato parole altrettanto giuste: «Sei stato il nostro esempio».
La sua non è stata una bontà costruita, una correttezza imposta, ma uno stile di vita, una religione laica e sportiva, quindi mai leziosa, mai stonata. E lo dimostra anche il fatto che l’affetto di tanti tifosi di Federer, una volta ritirato Roger, l’hanno riversato su di lui. Non per luce riflessa, per malinconia, ma perché sanno bene che Rafa sportivamente era parte di Federer almeno quanto Federer è stato parte di Nadal. Due campioni immensi che hanno saputo vivere distinti, seguendo sentieri diversi, eppure quasi in simbiosi. La magnifica lettera ‘d’amore’ che Roger ha dedicato al suo grande rivale ne è una testimonianza quanto le lacrime gemelle spese due anni fa su una panchina dell’O2 Arena.
Chi ha avuto la fortuna di incrociare la sua strada da appassionato e da cronista si è reso ancora più conto della grandezza umana di Nadal, fatta di grandi vittorie e di piccoli gesti: di un saluto fatto per primo, di una risposta non banale, di un sorriso e di una sana ironia distribuiti anche nei momenti più difficili, senza mai salire su un piedistallo. L’intelligenza è bontà, e la bontà è intelligenza, è stato detto, e senza bisogno di disegnare santini dove ci sono uomini – con tutti i loro difetti, le debolezze, le paure – è un motto che cala a pennello per Rafa. La grinta, la classe, una tecnica che ai meno avveduti è sembrata rozza e invece è stata raffinatissima nella sua efficacia, una mano che valeva almeno quanto il muscolo, una visione di gioco suprema, e la capacità di mettere in ordine le priorità, di comportarsi con tutti come uno di famiglia. Il rispetto dei suoi rivali. Ha davvero ragione David Ferrer: Rafa è stato un esempio, ma non solo per una generazione, la sua, ma per tutte quelle che seguiranno, a partire da quella di Jannik Sinner.
Mi permetto un solo rimpianto: averlo visto salutare il suo mondo a tarda notte, davanti a pochi intimi, in una cerimonia sentita ma un po’ ‘segreta’. Ma forse è un pensiero egoistico. Nadal è Nadal, penso mentre finisco di scrivere, non aveva bisogno di niente di più – e soprattutto ha scelto di non averne bisogno – perché è grande abbastanza per farsi ricordare da tutti e per sempre. Quindi semplicemente, grazie Rafa, per tutta la bellezza che hai mostrato e per tutte le emozioni che ci hai fatto provare. E arrivederci a presto, mi raccomando.