Riproponiamo l’intervista realizzata a fine luglio a Renzo Furlan, pubblicata integralmente sul numero 4 della rivista. Si parla a 360 gradi di Jasmine, della crescita di Furlan come coach e del loro sogno… che si realizza proprio in questi giorni!

foto Ray Giubilo

Renzo Furlan, Vincenzo Santopadre, Simone Vagnozzi: se parliamo di finali e vittorie Slam questi sono i tecnici italiani che hanno fatto la storia del nostro tennis. «Ma non dimentichiamo Riccardo Piatti», aggiunge subito Renzo, l’ex Piatti Boy, numero 19 del mondo nel 1995, che da allenatore ha portato Francesca Schiavone alla vittoria al Roland Garros nel 2010 e Jasmine Paolini alle due finali consecutive di quest’anno a Parigi e Wimbledon.

Renzo, come è nato il rapporto con Jasmine?

Quando abbiamo iniziato a lavorare insieme lei veniva da qualche infortunio ed era scesa al numero 580 Wta. Il primo anno l’ho accompagnata solo a tre, quattro tornei, ma lei è stata comunque bravissima a chiudere da 200 del mondo. Fino al 2020 l’ho seguita in pochi tornei, a 23 anni però sentiva il bisogno di una collaborazione più assidua, il mio contratto con la federtennis serba era scaduto, e così è iniziato un secondo capitolo.

Che cosa avevi visto in lei?

Da sempre, un grande talento. Quando un giocatore ha tre qualità – tecnica, fisica e di motivazione – calcolarne la capacità di evoluzione è impossibile. Jasmine tecnicamente era già buonissima, anche se doveva imparare a variare di più il gioco. Fisicamente era notevole, piccolina ma elastica, esplosiva. Ed era motivatissima. Voleva giocare a tennis, anche a costo di girare spesso da sola. 

Che obiettivi vi siete dati?

Non mi sono mai posto il problema: ‘dove voglio arrivare in classifica’. Piuttosto abbiamo lavorato sulla gestione di diverse situazioni.

Puoi andare nello specifico?

Jasmine giocava molto veloce, ma dalla riga di fondo, spostandosi soprattutto lateralmente. Doveva imparare a muoversi più in verticale, per sfruttare al massimo caricamenti e rotazioni e difendere meglio dalla parte del diritto, per poi essere in grado di tirare di più, visto che era già in possesso di una efficacissima palla a tre quarti. Siamo intervenuti anche sulle percentuali di servizio, e sulla risposta.

Un laboratorio, una bottega darte.

Aspetta. C’è tutta un’altra parte, che riguarda le collaborazioni importantissime che sono nate strada facendo. Ad esempio con Danilo Pizzorno, attraverso la Fitp, che cerchiamo di sfruttare il più possibile. Danilo ha una conoscenza sconfinata a livello tecnico, ricorriamo a lui per migliorare piccoli dettagli, e questo a Jasmine piace molto, anzi è lei che lo cerca. Un anno fa, sempre attraverso la Fitp, abbiamo iniziato a lavorare con il preparatore Andrea Bracaglia, che l’ha portata ad un livello più alto di performance fisica.

Ci fai un esempio concreto di come siete intervenuti con Danilo sul tennis di Jasmine?

Jasmine ha sempre pensato che la velocità fosse il mezzo principale per vincere punti, e ci puntava a livelli mostruosi. Con Danilo invece ci siamo impegnati ad esempio a gestire il lungolinea di diritto. Jasmine tirava sempre una ‘sassata’, che finiva piattissimo sotto la rete o si perdeva in lunghezza. Danilo le ha fatto capire che, usato con più rotazione, spostando il peso in avanti, con un finale diverso e più stabilità, poteva diventare un vincente pazzesco, per giunta con meno rischio. Questo le ha permesso di fare moltissimi punti in più. Poi la gestione delle rotazioni del servizio. Ora Jas sa usare lo slice, il piatto – che usa solo quando le viene lo sghiribizzo di tentare l’ace… – e il kick. E stiamo parlando di una ragazza alta un metro e 60, non una gigantessa.

Anche Sara Errani fa parte del progetto.

Quando Sara le ha proposto di giocare il doppio con l’obiettivo delle Olimpiadi, Jasmine ci si è buttata a capofitto, pur nutrendo diffidenza per il doppio. Pensava di non saperlo giocare bene. Sara la aiuta molto, anche grazie a lei ha migliorato servizio, risposta, volée, posizione a rete. 

Insomma, Jas non ha paura di imparare. 

Per me è la sua qualità migliore. Fa la differenza perché capisce molto che cosa può aiutarla a crescere, con me con allenatore, con Danilo per le indicazioni tecnico-tattiche, con Sara che le trasmette esperienze notevolissime, da numero 5 del mondo in singolare e 1 in doppio. Quando si accorge che da una situazione le può arrivare un aiuto, ci investe tempo e mezzi, assorbendo il più possibile.

foto Instagram

Come si diventa un coach di successo? A partire dal 2003, quando finisce la tua carriera di tennista…

Aspettare seduto sul divano, non faceva per me. La Fit mi ha offerto di fare il direttore tecnico under 20, poi nel 2004 è nato il college di Tirrenia per gli under 14 e under 16. Ed è stata una buonissima palestra.

Racconta. 

Fare il direttore significava organizzare, codificare un percorso tennistico. Tanti ex tennisti avrebbero l’esperienza per fare subito i tecnici, ma non è così facile. Devi imparare a trasmettere quello che hai da offrire. Io poi ho avuto due mentori non da poco: Riccardo Piatti e Pino Carnovale, un preparatore tecnico molto bravo sula biomeccanica, che mi ha aiutato molto a studiare la tecnica.

Da dove sei partito?

Da giocatore avevo un diritto di merda, così in collaborazione con la Scuola Maestri abbiamo messo a punto dei protocolli tecnici, prendendo come modello Nalbandian per diritto e rovescio a due mani, Tommy Haas per il rovescio a una mano, ma anche Federer, Nadal, Del Potro per il diritto a braccio steso. Questo processo mi ha permesso di evolvermi e capire di più. Prima avevo l’esperienza, ma mi mancavano gli strumenti per trasmetterla. 

Hai citato Riccardo Piatti: quanto è stato importante per te?

Il giocatore che sono stato e l’allenatore che sono, lo devo a Riccardo. Il metodo è stato modificato, implementato, filtrato dalla mia esperienza, ma viene da lì, sia a livello tecnico, tattico, di disciplina, sia nell’analisi post match, nella preparazione. Ancora adesso, se ho un dubbio, e ne ho spesso, so che posso confrontarmi con lui. Ed è un grande vantaggio, perché Riccardo ha un bagaglio di conoscenze e di competenze stratosferico. 

Da Piatti deriva anche lenfasi sulla tecnica.

Quando ho iniziato ad allenare mi basavo su quello che facevo io da giocatore: correre e spostarsi, anticipare la palla, lavorare tanto sul fisico. Poi ho virato sul tecnico. Riccardo mi ha sempre ripetuto che potenza e precisione non le ottieni perché corri per ore, ma perché con la tecnica riesci a ottimizzare il colpo, la precisione, a dare peso alla palla e salvaguardare il fisico. 

Il tuo curriculum negli anni si è arricchito di esperienze molto diverse.

Nel 2011 sono stato dietro a Bolelli, sempre part time con la Fit, quindi per un paio di anni ho seguito Maccari e Ricciardi che uscivano dallo juniores. A fine 2015 mi è stato offerto di fare il direttore tecnico della federazione serba, e lì sono stato dal 2016 al 2020. Scaduto il contratto, dal post pandemia ho sempre seguito Jasmine.

Gli anni in Serbia che cosa ti hanno insegnato?

Mi hanno fatto capire ancora di più quanto conta il lavoro di squadra, anche in uno sport individuale. Ho lavorato tanto sul campo, con tecnici estremamente disponibili che mi hanno dato molto.

Il Presidente Binaghi sostiene che il merito dei successi attuali del nostro tennis è del progetto campi veloci, partorito quando tu eri direttore tecnico di Tirrenia.

E’ stato un tassello importantissimo. Il protocollo ha permesso ai tecnici, che fanno un lavoro enorme e non vengono mai citati, di portare il messaggio da nord a sud nei circoli. Sono stati creati una marea di tornei, a tutti i livelli, che hanno reso possibile ai nostri di confrontarsi con giocatori di tutto il mondo. E’ innegabile che la federazione abbia fatto cose importanti. Nel nostro caso, poi, oltre ad aiutarci con Bracaglia e Danilo Pizzorno sta aiutando il settore maschile e femminile con un’assistenza medica e fisioterapica, nei Masters 1000 e negli Slam, capitanata da Elisabetta Parra, figlia di Francesco Parra. Sta facendo un lavoro straordinario ed è un punto di riferimento per tutte le ragazze e per Jasmine in primis.

Che cosa ti attira di più, del mestiere di coach?

Condividere un progetto. Preparare un match, discuterne alla fine, trovare soluzioni. Non è un lavoro da catena di montaggio, quando le cose vanno bene ti dà gratificazioni sia umane sia economiche. 

Qual è stata la svolta nella crescita di Jasmine?

Ce ne sono state diverse. A fine 2019, quando è entrata nelle prime 200. Nel 2021, quando dopo la pandemia ha vinto il primo Wta in finale con Alison Riske a Portorose: lì ha capito che poteva fare di più. Lo step successivo è dell’anno scorso. Dopo i quarti a Cincinnati e la trasferta in Cina ha chiuso fra le prime 30. Si è trovata fra le teste di serie negli Slam, a Roma, Indian Wells, Madrid e questo l’ha portata ad un livello superiore di consapevolezza. Ha capito che poteva giocarsela con le più forti. L’ultima agli Australian Open. Negli ultimi sei Slam aveva raccolto 5 primi turni, stavolta invece ha sfruttato un tabellone favorevole. Il resto lo conosci…

Nella vita di tutti i giorni che tipo è Jasmine?

Solare, gioviale, con tanta energia. Io sono più riflessivo, e per questo forse a livello caratteriale ci sposiamo bene. Se tira un dritto nelle griglie Jasmine non s’incazza, non butta la racchetta, ma è la prima a farsi una risata. Quel sorriso vale tanto. Poi come tutti ha momenti difficili, ma Jasmine è quella che si vede, conquista perché non è finta, a differenza di altre. 

Sbaglio o la famiglia è una delle forze di Jasmine?

I genitori sono persone semplici, equilibrate, che le hanno sempre consentito di vivere l’indipendenza che cercava. L’hanno sostenuta, ma si sono anche fidati, senza mai imporsi. Sono molto attenti a non invadere spazi che non sono loro. 

Renzo, dove va il tennis?

Che piaccia o no, verso potenza e velocità. Una volta però si lavorava tanto sui pesi, oggi su movimenti specifici che riguardano la stabilità del tronco, la salvaguardia della spalla. La potenza non viene dai muscoli, ma dalla tecnica. Sinner è estremamente potente, ma non ha masse muscolari enormi. La sua forza sta in una decontrazione superiore e un timing eccezionale sulla palla, unito ad una stabilità che gli deriva dalla pratica dello sci. 

Un sogno che hai nel cassetto?

Le finali Wta. Non ci sono mai stato né da giocatore né da allenatore. 

In futuro ti vedi capitano di Davis o Billie Jean King Cup?

E’ un ruolo che non mi ha mai attirato, lo lascio volentieri a chi è più bravo di me. E comunque, al futuro, io non ci penso proprio.