Un evento che destina 6 milioni di dollari al vincitore, oltre a quelli per il solo ingresso in campo, ha poco a che vedere con il concetto universale e democratico di sport

Se devo dirla proprio tutta: non mi piace. Neanche un po’! E aggiungo che dalle alte sfere del tennis giocato mi sarei aspettato una riflessione in più circa l’ultima trovata da ficcare a stento in un calendario che a detta dei giocatori stessi non avrebbe più lo spazio di uno spillo. Insomma, con la potenza del dollaro eccoci dinanzi al Six Kings Slam, mega esibizione organizzata in terra d’Arabia dopo aver solleticato il mondo racchettaro con sei milioni di verdoni da destinare, uno sull’altro, al legittimo vincitore. Non solo! A rendere ancora più opulento un evento che in termini agonistici vale meno di zero, ecco arrivare un altro milione e mezzo di banconote dello stesso colore da elargire a ogni partecipante per il solo ingresso in campo, magari tenendo per mano un fanciullo che in vita sua non vedrà che briciole di quel ben di Dio.
Per carità, sarà frutto dei tempi, o piuttosto questione di mercato. Do anche per scontato il sacrosanto il diritto di ospitare grandi appuntamenti da quella parte del pianeta divisa tra petrolio e deserto ma a tutto c’è un limite. Lo sport è un fenomeno sociale universale e trasversale che coinvolge anche individui che a malapena sbarcano il lunario e non possono sentirsi rappresentati da eventi che della sana attività fisica hanno veramente poco. Lungi dal fare facili moralismi, dico che voglio guardare allo sport come a un grande spettacolo ma anche come all’ultimo baluardo verso l’arroganza di regolare i rapporti con la sola forza del denaro.