Diversamente dai suoi colleghi, l’olandese van de Zandschulp sembra poter contare su un controllo totale delle emozioni, che in campo non lascia mai trapelare. Merito della personalità, delle sue origini o dell’etimologia del suo cognome?

foto Ray Giubilo

Come spesso accade, l’ultimo Slam dell’anno riserva sorprese. E così nella prima settimana sono usciti prematuramente di scena niente meno che Djokovic e Alcaraz. Quest’ultimo, svuotato dal punto di vista psico-emotivo, è stato sconfitto in modo netto dal ventinovenne olandese Botic van de Zandschulp, numero 74 del mondo, che due anni fa si era issato fino al 22. Prima di questa sorprendente vittoria van de Zandschulp era noto ai più per il suo proposito di ritirarsi espresso non più di tre mesi fa, dopo la dura sconfitta patita al Roland Garros per mano del nostro Fognini. Mentre scrivo non so come andrà il suo match del prossimo turno contro Jack Draper. Mi incuriosisce però scavare dietro a quel volto da Sfinge che Botic mostra al mondo.

Da una rapida ricerca emerge che il suo nome in olandese significa “pallina”, ma che ha pure radici rumene le quali lo apparentano al termine “broncio”. Nomen omen, avrebbero detto i latini: van de Zandschulp colpisce infatti la pallina senza mostrare apparenti emozioni, con una mimica facciale pari allo zero. Lo stesso dicasi per il linguaggio del corpo, in controtendenza
rispetto alle reazioni urlate di molti tennisti, soprattutto dopo aver effettuato alcuni colpi mirabili, per di più contro Alcaraz… E invece no, Botic si è limitato a mostrare due volte il pugnetto, ben attaccato al petto, quasi avesse paura di disturbare o offendere qualcuno.
Insomma, pare sempre impassibile, un vero cultore dell’apátheia, la virtù per eccellenza secondo la filosofia stoica. Si raggiunge la felicità dominando se stessi e liberandosi dalle passioni, in modo da essere e mostrarsi sempre equanimi, secondo l’ideale dell’aurea mediocritas di oraziana memoria. Attraverso vari sentieri questa visione è penetrata nella tradizione cristiana, in particolare
quella monastica, dimentica ahimè delle radici bibliche di un Dio che mostra – eccome! – emozioni, nonché della vita di Gesù, pure lui capace di grande pathos, fino a vivere in pienezza l’empatia. Ma questo è un altro discorso…

Vedere in campo Botic, oltre a essere un piacere per gli occhi a causa dell’estrema pulizia dei suoi colpi, è un monito silenzioso a vivere con semplicità ed equilibrio, e senza maramaldeggiare su chi sta dall’altra parte della rete (domani potrebbe toccare a noi, no?). Ad
affrontare le sfide di ogni giorno consapevoli che la vita è dura per tutti e che anche le grandi imprese fioriscono su un terreno concimato da una quotidianità più dura, spesso segnata da sconfitte, esteriori o interiori. Se dunque è vero che l’impronunciabile cognome dell’olandese significa “da una conchiglia sabbiosa”, con lui siamo spinti a uscire dal guscio, con passione ma
senza troppa enfasi: un po’ di sabbia, infatti, rimane sempre negli ingranaggi di ogni percorso umano, come quando si rientra dalla spiaggia. E non è detto che ciò sia un male.