Tanto amato per il suo stile quanto criticato per le sue intermittenze, con la medaglia di bronzo conquistata ieri, Lorenzo Musetti ha colmato un vuoto durato 100 anni

foto Paul Zimmer / Itf

Ho visto giocare per la prima volta Lorenzo Musetti ai campionati italiani under 14 che vinse alla Virtus Bologna, otto anni fa. In finale superò, se mi ricordo bene, Lorenzo Rottoli. Gli altri due semifinalisti erano Luca Nardi e Flavio Cobolli. Roberta, mia moglie, lo intervistò per Il Tennis Italiano, tutti e due rimanemmo colpiti non solo per il clamoroso talento in campo, ma anche per come si esprimeva fuori dal campo quel ragazzino che, evidentemente, aveva qualcosa di speciale. Capirete allora perché sul matchpoint contro Auger Aliassime, ieri sera, proprio non ce l’ho fatta: ho urlato, come in una tribuna stampa non si dovrebbe mai fare. Ho ripensato a quel pomeriggio ormai lontano, e al fatto che in tutti questi anni il Muso è stato adorato e insieme lapidato per il tennis che giocava, per le sue tante intermittenze, del cuore e dei pensieri. «Gioca troppo difficile». «Il tennis moderno non fa per lui», «il rovescio a una mano è penalizzante», «Musetti è bravo sì, ma discontinuo, fragile, sa fare troppe cose per farne una al massimo livello…».

Insieme con coach Tartarini però Lorenzo è andato avanti, fra mille dubbi e fatiche, provando e riprovando, sbagliando e ricominciando. Dopo il match così ho voluto chiederglielo, se questa medaglia, in fondo, non è anche una rivincita di chi sostiene il pensiero unico tennistico, la necessità di uniformarsi, di ridurre ciò che di unico c’è in noi, di chiudersi l’orizzonte per paura di caderci dentro. «Sì, il tennis moderno va in una direzione – mi ha risposto Lorenzo – e chi si differenzia dagli altri, facendo qualcosa di diverso, è sempre molto amato o molto criticato. So che sarà così per tutta la mia carriera».
Il ragazzo Lorenzo, ieri – ma è meglio dire nell’ultima settimana, nell’ultimo mese – ha incontrato il campione Musetti e, lo ammetterete, lo spettacolo ha giustificato otto anni di pazienza, oltre che colmare, con quella medaglia, cento anni di attesa.