Un estratto dell’articolo pubblicato sul numero di maggio-giugno de Il Tennis Italiano. Ecco le vite “alternative” – e immaginarie – dei grandi campioni del tennis alle Olimpiadi
Illustrazione di Giovanni Gastoldi
Il Direttore deve essere un inguaribile ottimista. Ho personalmente scoperto questa sua caratteristica quando mi ha proposto di scrivere un pezzo per la rivista. Dopo aver ringraziato per l’eccessiva considerazione nei miei confronti, avevo gentilmente declinato l’invito con una motivazione che ai miei occhi appariva logica e, soprattutto, definitiva: «Mio nobile amico, riguardo il tennis io nella migliore delle ipotesi posso essere considerato un appassionato, e siccome la passione non sempre si accoppia con la competenza non possiedo certo gli strumenti per discettare della materia su un periodico specializzato». Sfortunatamente il mio interlocutore non solo non si è arreso ma ha rilanciato. «Non sarai competente di tennis, ma lo sei di atletica. Prova allora a cercare delle specialità in pista o in pedana in cui i nostri eroi del presente e del passato non avrebbero sfigurato». Riconosciuto che l’idea, oltre che divertente, era anche stimolante, mi sono così messo all’opera, individuando 14 discipline in cui i divi della racchetta non avrebbero sfigurato. Sperando nell’assenso del maestro Rino Tommasi, che al riconosciuto magistero nel tennis accoppia il dna dell’atletica, con il papà Virgilio primatista italiano del lungo e lo zio Angelo campione nazionale di salto in alto.
STEFFI GRAF, 400 OSTACOLI
L’accoppiamento più facile, a garantire c’è Harald Schmid, leggendario tedesco sulle barriere basse con un solo torto: aver gareggiato negli stessi anni di Sua Maestà Edwin Moses, sinonimo di secondo posto garantito. 1988, Seul, esterno giorno. Alla vigilia delle Olimpiadi gli atleti tedeschi zampettano in pista per una normale seduta di allenamento. Harald, mentre si muove tra gli ostacoli con la stessa destrezza di Mozart tra le sette note, all’improvviso si ferma. Ha visto una ragazza dai lunghi capelli biondi che corre con una falcata lunga che non toglie nulla all’eleganza. E pensa che sia un peccato che Steffi Graf non sia nella squadra di atletica. Ammirato, prova ad assicurare dieci anni di dominio alla Germania nei 400 ostacoli: «Steffi, cosa ne pensi di esibirti nella mia specialità?». Probabile che l’ormai 31enne Harald, al tramonto di una splendida carriera, abbia offerto anche i suoi servigi come coach. Non riuscirà a convincere la ragazza di Mannheim. Per fortuna del tennis. E purtroppo per l’atletica.
ROGER FEDERER, LANCIO DEL DISCO
«Gli italiani, con una storia di guerre e congiure, hanno avuto Michelangelo, Leonardo e il Rinascimento. Gli svizzeri da 500 anni di pace hanno ricavato solo gli orologi a cucù». Indirizziamo le proteste dell’ambasciata rossocrociata al grande Orson Welles, facendo però presente che quel genio non è vissuto abbastanza per vedere all’opera Roger Federer, la bellezza applicata allo sport, con gesti che oltre al Rinascimento richiamavano l’arte classica. E il divino Roger dove meglio avrebbe potuto ispirare lo scalpello di Mirone se non sulla pedana del lancio del disco? Pensate alla coordinazione di Federer, al movimento per colpire con il rovescio, al passo perfetto per approcciare la palla con giusto impatto. Facile scovare la parentela con la meravigliosa danza di Adolfo Consolini o Al Oerter in pedana, la rotazione per guadagnare velocità, la frustata del braccio, il disco che esce nell’attimo più propizio dai polpastrelli. E come Orson Welles avrebbe corretto la sua opinione sugli svizzeri, anche Mirone si sarà certo rammaricato di non aver avuto Roger come modello.
RAFA NADAL, LANCIO DEL GIAVELLOTTO
Altro giro, altro tiro, questa volta del giavellotto. E con Federer sistemato sulla pedana del disco per ispirare Mirone, Nadal in quella del giavellotto con il suo poderoso bicipite brachiale avrebbe destato l’interesse dei finlandesi, massimi sacerdoti del tempio della specialità. In quella terra, per dirne una, hanno in tale venerazione il giavellotto da aver eretto la torre di Maratona dello stadio Olimpico di Helsinki all’altezza di 72,71, cioè la misura con cui Matti Jarvinen vinse l’oro dei Giochi di Los Angeles 1932. Con la racchetta Rafa ha utilizzato il bicipite brachiale, principale flessore del gomito, per il diritto che lo ha issato a vincere 14 Roland Garros. Con in mano un giavellotto lo stesso muscolo, accoppiato all’azione di spalle decisamente muscolate, sarebbe servito al braccio mancino del maiorchino per spedire l’attrezzo a distanze ragguardevoli. E a mettere la Spagna sulla carta geografica di una specialità non particolarmente frequentata a quelle latitudini.
YANNICK NOAH, SALTO CON L’ASTA
Un altro con cui si gioca facile perché i 193 centimetri fatti di muscoli di seta purissima del francese potevano essere piazzati in qualunque sport, come dimostrano i geni trasmessi al figlio Joakim utili per evoluire 10 anni nella Nba. E visto che di Noah restano nella memoria i balzi formidabili per andare ad arpionare e schiacciare palle ad altezza siderale, cosa poteva fare armato di un’asta invece di una racchetta e portato su una pedana? Era veloce? Sì. Era potente? Certo. Era acrobatico? Neanche da chiedere. Non risulta soffrisse di vertigini, fondamentale nel salto con l’asta, ed era estroverso il giusto per appartenere a quella simpatica banda di pazzi volanti. A occhio un Bubka, più alto e meno massiccio. A proposito: il figlio di Sergei si sarebbe poi esibito dignitosamente nel tennis. Tutto torna.
BJORN BORG, 3000 SIEPI
La giusta collocazione per lui, come del resto per la maggior parte degli eredi dei vichinghi, sarebbe stato sulla pista da hockey su ghiaccio. Di quella meravigliosa disciplina praticata da ragazzino aveva mandato a memoria lo “slap shot”, il tiro violentissimo che continuò ad eseguire anche dopo aver impugnato la racchetta al posto della stecca. Il resto lo facevano gambe e polmoni che rendevano Borg un mezzofondista oltre che un tennista ingiocabile nei suoi anni migliori: 81,6% di vittorie al quinto, prolungare la partita con lui era una sentenza di condanna. Dovendo scegliere una prova, andiamo con i 3000 siepi: Bjorn era così imperturbabile che avrebbe potuto superare la riviera camminando sull’acqua. E, a pensarci, nel 1976 del suo primo Wimbledon, l’oro olimpico con tanto di record del mondo lo vinse il connazionale Anders Garderud.
JANNIK SINNER, SALTO IN ALTO
Dove piazzare Jannik Sinner? Gambe lunghe e magre, compasso ampio nella corsa, eccellente sfruttamento dell’impatto dei piedi con il terreno per balzare bene sia in avanti verso la rete che lateralmente lungo la linea di fondo. Lo stereotipo (molto calcistico) che le persone alte siano lente è ridicolo: Usain Bolt è 1,96, la maggioranza dei top sprinter flirta con l’1,90 e Jannik, con i suoi 192 centimetri, è tutt’altro che lento. Ma osservando le sue caviglie sottili e i soli 76 chilogrammi di peso, il rosso di San Candido potrebbe far benissimo sulla pedana del salto in alto. Undici passi di rincorsa con la sua falcata possono essere benissimo trasformati in velocità orizzontale, la leggerezza può spingerlo in alto in quella verticale e per la fase acrobatica sopra l’asticella il suo passato di sciatore assicura la coordinazione. Non avrà il carattere estroverso di Gimbo Tamberi, ma si può andare per aria anche restando in silenzio.
CARLOS ALCARAZ, 110 OSTACOLI
Caratteristiche degli ostacolisti dei 110: aggredire le barriere sul percorso, utilizzare la reattività per gestire i 9,14 metri di distanza tra un ostacolo e l’altro…. (l’articolo intero può essere letto sul numero de Il Tennis Italiano attualmente in edicola e libreria)