Daniil Medvedev, intervistato in conferenza stampa alla viglia degli US Open, ha raccantato del compromesso che lo ha portato a diventare un campione Slam: tirare meno forte, anche a costo di piacere meno al pubblico

Daniil Medvedev torna agli US Open con una stimolante missione da compiere: difendere il titolo conquistato dodici mesi fa e restare seduto sul trono della classifica mondiale, lui che è numero 1 del mondo da 14 settimane, di cui 11 consecutive. Il russo, dopo la delusione dell’esclusione da Wimbledon, è pian piano alla ricerca della sua forma migliore e, reduce dalla semifinale di Cincinnati, ha spiegato, in conferenza stampa, come tutti i tornei siamo un po’ più aperti rispetto a quanto non lo fossero un quinquennio fa.

“Sicuramente tutti i tornei sono più aperti alle sorprese – ha riferito Medvedev – rispetto a quanto non lo fossero cinque anni fa, quando Andy [Murray], Novak [Djokovic], Roger [Federer] e Rafa [Nadal], soprattutto quando erano le prime quattro teste di serie, occupavano tutti i posti disponibili o quasi per le semifinali. Non so come si sentissero gli altri giocatori, ma immagino fosse molto dura per loro. Non dev’essere stato facile sapere che, per vincere un torneo importante, dovevi battere almeno due di loro consecutivamente, magari affrontarli già nei primi turni. Detto questo, anche adesso ci sono degli equilibri ben definiti negli Slam: Rafa e Novak ci sono ancora, poi ci siamo io, Stefanos [Tsitsipas], Sascha [Zverev] e Dominic [Thiem]. Anche la finale raggiunta da Casper [Ruud] al Roland Garros non è stata affatto una sorpresa, considerando quanto sia forte sulla terra. Gioca bene anche sul cemento, ma sulla terra ha qualcosa in più di tutti gli altri o quasi. Per quel che mi riguarda, cercherò di giocare bene e di vincere quanti più match possibili, non importa quali avversari incontrerò”.

Da quando, un anno fa, il moscovita vinse il titolo a New York, tante cose sono successe. Tra soddisfazioni e delusioni, Medvedev ha raccontato ai giornalisti il grande compromesso che ha dovuto fare per poter diventare un campione Slam: tirare meno forte, anche a costo di piacere meno al pubblico. “La vità è una sfida perpetua per tutti e non è sempre facile svegliarsi, con la consapevolezza che ci saranno sempre difficoltà da superare. Nell’ultimo anno, la delusione maggiore è stata certamente la sconfitta subita nella finale degli Australian Open, partita e torneo che pensavo davvero di poter vincere. Rafa [Nadal] ha giocato in maniera fantastica, soprattutto negli ultimi tre set. Non è stato nemmeno facile digerire quello che è accaduto con il pubblico, tutti gli insulti che ho ricevuto dagli spalti durante quella partita. Detto questo, il mio obiettivo resta quello di provare a vincere tutti i tornei che gioco: sto lavorando bene e l’importante, per me, è non avere rimpianti, guardarmi indietro e sapere di aver fatto tutto il possibile, anche se alla fine non sono riuscito a vincere. Quando ero giovane, 18 anni direi, tiravo la palla il più forte possibile. Le persone avrebbero preferito così, ma probabilmente non avrei vinto uno Slam se non fossi cambiato. Penso, in ogni caso, di piacere alla gente quando riesco a far conoscere meglio la mia personalità“.

Infine, un pensiero rivolto al ritiro di Serena Williams: “Io e Serena [Williams] abbiamo intergaito molto poco, non ho bene in mente un particolare aneddoto da raccontare. Lei è stata parte della mia vita tennistica sin quando ero piccolo: a 6 anni o poco più, guardavo le partite in televisione e c’era spesso lei in campo, probabilmente era già numero 1 del mondo. Giocava le finali Slam contro sua sorella Venus, entrambe vincevano tanto, sebbene Serena abbia sempre avuto una marcia in più. È sicuramente la più grande di tutte nel tennis femminile e adesso, dopo 20 anni, siamo entrambi qui a preparare gli US Open, è leggendario. Così come leggendaria è l’energia che trasmette soltanto con la sua presenza. Siamo tutti suoi fan, anche io che ho vinto qui un anno fa, e sono certo che, tra 100 anni, si parlerà ancora tantissimo di lei“.