Alla fine ha avuto la meglio la Russia.
I padroni di casa si sono aggiudicati la prestigiosa Insalatiera
solo
dopo il quinto e decisivo match vinto da Marat Safin su José
Acasuso.
In precedenza, l’Argentina era andata sul due pari per merito
di
Nalbandian che aveva superato Davydenko. Quello di Mosca
è
il secondo successo per la nazionale russaL’immagine che rimarrà negli annali del
tennis: i tennisti russi che sollevano l’Insalatiera
d’argento,
è la stes
Alla fine ha avuto la meglio la Russia.
I padroni di casa si sono aggiudicati la prestigiosa Insalatiera
solo
dopo il quinto e decisivo match vinto da Marat Safin su José
Acasuso.
In precedenza, l’Argentina era andata sul due pari per merito
di
Nalbandian che aveva superato Davydenko. Quello di Mosca
è
il secondo successo per la nazionale russa
L’immagine che rimarrà negli annali del
tennis: i tennisti russi che sollevano l’Insalatiera
d’argento,
è la stessa di quattro anni fa, quando, grazie all’ultimo punto
conquistato
da Mikhail Youznhy contro Paul-Henry Mathieu, Kafelnikov
e compagni erano riusciti a vincere la prima Coppa Davis per il loro Paese.
Ma quella ottenuta quest’anno contro l’Argentina dei
vari
Nalbandian, Chela, Acasuso e Calleri è una vittoria che per Safin e compagni
ha un sapore decisamente diverso. Prima di tutto, perché è arrivata tra
le mura amiche, sullo stesso campo dove in settembre si gioca la “Kremlin
Cup”, lo stadio Olimpico di Mosca. E vincere davanti al proprio
pubblico, soprattutto nella regina delle competizioni a nazioni, rende
ancora più magico il successo, arricchito dalla possibilità di poter festeggiare
insieme ai propri connazionali.
Più di ogni altro, il vero eroe di questa
tre giorni è stato l’uomo più rappresentativo della sua “Madre
Russia”,
quel Marat Safin protagonista nel bene (nell’incontro decisivo,
domenica) e nel male (nella secca sconfitta subita per mano di David
Nalbandian nel suo match d’esordio, venerdì). Il ventiseienne
moscovita,
dopo aver conquistato nel doppio di sabato il punto del momentaneo vantaggio
in coppia con Dmitry Tursonov, è entrato in campo nell’ultimo,
cruciale incontro della domenica a giocarsi contro Jose Acasuso
la conquista della storica insalatiera. Nel primo match della giornata,
infatti, David Nalbandian aveva bissato il successo di venerdì proprio
contro Safin imponendosi sul numero 1 russo, Nikolay Davydenko,
6-2 6-2 4-6 6-4 e riscattando così la scarsa prestazione in coppia con
Calleri nel match di doppio.
Il capitano non giocatore sovietico,
Shamil Tarpischev, aveva aspettato la mattina di domenica per decidere
chi mandare in campo a giocarsi il tutto per tutto nel quinto singolare.
Alla fine la scelta era caduta su Safin, secondo Tarpischev più abituato
rispetto a Tursunov a giocare match importanti e carichi di adrenalina.
E, ancora una volta, ha avuto ragione lui. Investito di una così grande
responsabilità, Marat non ha deluso le attese, riuscendo, a tratti, a giocare
il suo miglior tennis, quel tennis che in passato aveva portato la critica
a prevedergli un futuro da assoluto protagonista del circuito.
Ma il moscovita, attuale numero 26 Atp,
si è dimostrato sempre troppo altalenante nel rendimento, smentendo ogni
più roseo pronostico. Domenica, però, la storia è stata diversa. Anche
Mancini, capitano degli argentini, aveva cambiato all’ultimo le
carte in tavola, sostituendo Juan Ignacio Chela, sconfitto nella giornata
inaugurale da Davydenko, con Josè Acasuso. Perso il primo set 3-6, il
sudamericano
è poco a poco riuscito a guadagnare metri di campo e a dare maggiore continuità
ai suoi colpi, dando vita a un incontro tanto equilibrato quanto spettacolare,
soprattutto per l’importanza della posta in palio. 6-3 3-6 6-3 7-6(5)
il risultato che consegna a Safin e soci la vittoria finale, e con essa
il secondo successo in questa competizione.
“Vittorie come queste fanno molto bene
al morale, e soprattutto sono importantissime perché danno fiducia e voglia
di rimanere ancora a lungo in questo ambiente. Il successo in Davis
è una delle vittorie più speciali della mia carriera”, racconta un
raggiante
(e quasi commosso) Safin a fine match. L’immagine è la stessa dicevamo,
ma le storie vissute dai protagonisti, quelle sì, sono diverse…
di Michela Borsa
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