intervista di Andrea RadaelliBohdan Ulihrach è un "dopato"






intervista di Andrea Radaelli

Bohdan Ulihrach è un "dopato". Questo ha sentenziato l’Atp lo scorso anno, questo hanno ripreso e divulgato giornali, radio e televisioni di tutto il mondo.  E’ stato ‘beccato’ un buon professionista del tennis, scrivevano i quotidiani e ripetevano i tg, un atleta sconosciuto al grande pubblico ma capace di vincere tre tornei, di mettersi in saccoccia tre milioni di dollari e di prendersi qualche soddisfazione in carriera suonandole di santa ragione a Sampras, a Becker, a Courier, a Ivanisevic, a Kafelnikov, a Krajicek e a tante altre stelle del circuito. Non un peone, insomma.
"Non è vero", si era difeso il ceco in tribunale. Del resto quanti altri atleti presi con le mani nella marmellata negano l’evidenza? Quanti ciclisti, quanti nuotatori, quanti calciatori, quanti corridori? Troppi, per credere a un signor nessuno come Ulihrach, manco fosse Magic Johnson o Tiger Woods.

Qualche mese dopo, l’incredibile notizia: Ulihrach, nel frattempo squalificato e tenuto a restituire un bel po’ dei denari, aveva ragione. Non ne sapeva niente, lui, del nandrolone trovato nelle sue urine. Peggio: l’Atp stessa, il sindacato dei giocatori glielo aveva somministrato.
Siamo andati a San Marino, il suo secondo torneo giocato dopo la squalifica, per sentire dalla sua voce il racconto di questa grottesca vicenda.

Siamo alla fine del 2002. Bohdan è appena tornato da una piccola vacanza quando riceve una telefonata. E’ l’Atp, che gli fa sapere di averlo trovato positivo al controllo antidoping effettuato dopo il torneo di Mosca, nel mese di ottobre. Per lui, professionista dal 1993 e capace, nonostante un talento non eccelso, di vincere tre tornei Atp e di arrivare in finale in sei, tra cui il Master Series di Indian Wells nel 1997, è un colpo.
Una carriera da primi cinquanta del mondo bruscamente interrotta, una reputazione distrutta da una squalifica di due anni.
Ci può raccontare con esattezza la vicenda di cui è rimasto vittima?
“Poco prima della fine della scorsa stagione, esattamente il 3 ottobre 2002, sono stato sottoposto a un controllo antidoping durante il torneo di Mosca. Successivamente ho giocato ancora tre tornei prima della fine dell’anno, per poi riposarmi una settimana sulle montagne slovacche. Quando sono tornato dalle vacanze, circa il 10 dicembre dello scorso anno, il signor Hemingson della IDTM Company, l’ente che si occupa dei test antidoping, mi ha detto che il mio A-sample (il primo test, ndr), effettuato dopo il torneo di Mosca, era risultato positivo al nandrolone. Sono rimasto veramente scioccato, non ho dormito per alcune notti. Hemingson mi disse che dovevo subito contattare il mio dottore per sapere quali medicamenti avevo preso e scrivere a lui una lettera con alcune spiegazioni sul perché fossi risultato positivo al test".
E lei cosa ha fatto?
Ho subito sentito il mio medico, abbiamo scritto una lettera e l’abbiamo immediatamente inviata, ma non è stato sufficiente. In seguito è stato esaminato il B-sample (il secondo test, ndr), anche quello positivo ma con alcune grandi differenze. Il risultato del B-sample era 3.2 mentre quello dell’A-sample era 5.2. Quindi il secondo test era circa il 40% più basso del primo; il vero problema, però, era che nessuno sapeva esattamente quale fosse il limite. Per questa ragione ho cercato di contattare il Comitato Antidoping della Repubblica Ceca e il Comitato Antidoping Slovacco. Alcuni miei amici in Italia hanno cercato anch’essi di carpire informazioni da chi di dovere. Ho imparato a mie spese che ogni corpo umano produce una certa quantità di nandrolone. Prima il limite fissato era di 5.0 ma l’Atp lo ha cambiato durante lo scorso anno, portandolo a 2.0, senza dire niente ai giocatori. Il limite di 2.0 è stato stabilito dall’International Olympic Comittee che però, al contrario, per il football e il ciclismo ha lasciato un limite di 5.0 che non mi avrebbe causato problemi".
Alla fine c’è stato un processo. Queste disparità sono emerse in aula?
No. Verso la fine di aprile di quest’anno ho presenziato all’udienza del tribunale Antidoping e non ho mentito dicendo che non sapevo assolutamente il motivo della mia positività ai controlli. La decisione finale fu quella di darmi due anni di sospensione. Il mondo mi crollò addosso. Ora so che, se avessi mentito e mi fossi messo d’accordo con il mio dottore, facendogli dire che mi aveva somministrato qualche pillola a mia insaputa, il fatto poteva rientrare nella casistica di quelle che vengono definite “circostanze eccezionali”. In base a ciò potevo avere una squalifica di soli due o tre mesi. Ma non era vero e non volevo.
Poi, dopo tre settimane dalla squalifica, leggendo le newsletter Atp, ho notato che l’Atp aveva sospeso la distribuzione di tutti gli elettroliti forniti dai trainer della associazione stessa. Visto che anche a me alcuni trainer avevano fornito degli integratori ho immediatamente telefonato. Mi hanno detto che avrebbero ricontrollato le mie analisi e che se ci fosse stato qualcosa di sbagliato avrebbero immediatamente riaperto il mio caso. Con una nuova udienza, in base alle nuove circostanze, avrei potuto tornare a giocare in due-tre settimane. Due giorni dopo Mark Miles, Ceo dell’Atp, mi ha chiamato dicendomi che il mio caso era stato riaperto ed entro tre settimane sono stato riabilitato. Mi avevano squalificato il primo maggio ma praticamente ho deciso di mia volontà di non giocare più partite di torneo dalla fine di ottobre scorso, da quando ho saputo della positività ai controlli antidoping”.
Quali sono state le sue sensazioni dopo questa squalifica?  
“Sono rimasto molto deluso dal fatto che l’Atp abbia creduto che io potessi usare sostanze dopanti. L’Atp ha sempre detto di voler proteggere i giocatori ma quello che hanno fatto con me è stata una sorta di esecuzione. Ho parlato del mio caso con persone dell’Atp di Monte Carlo, da cui ho ricevuto parole di conforto, e con il responsabile dei casi e dei regolamenti antidoping degli Stati Uniti”.
Ha intrapreso azioni legali nei confronti dell’Atp in quest’ultimo periodo?
“Questa è una domanda da fare al mio avvocato. Stiamo negoziando con loro, penso non sia stato fatto ancora niente da questo punto di vista e non credo che li perseguirò ma  suppongo che arriveremo a un accordo.”
Pensa che la sua immagine ora si sia un po’ “sporcata” e che qualcuno non creda ancora alla sua innocenza?
“Quando sono ritornato ero un po’ spaventato nel rivedere i giocatori e nel sentire quello che potevano dire su di me. Invece sono rimasto sorpreso: l’80% di loro era del parere che avrei dovuto perseguire l’Atp. Tutti mi hanno incoraggiato e rincuorato, non so cosa abbiano detto dietro alle mie spalle, ma ai miei occhi sono stati molto gentili”.
Cosa deve fare adesso l’Atp per avere il tuo perdono?
“Non dimenticherò mai questa brutta esperienza, in ogni caso. Hanno cercato di aiutarmi con la classifica protetta come se fossi stato infortunato. Di solito la classifica protetta è per 8 tornei e 9 mesi, io l’ho avuta per 15 tornei e 12 mesi. Comunque non ho buoni ricordi e non so se mai potrò perdonare la Atp per quello che mi ha fatto”.
Pensa che questa vicenda le darà più forza e cattiveria per i prossimi tornei?
“Lo spero davvero. Anche se mi avessero sospeso per due anni sarei tornato per dimostrare alle persone che la decisione era sbagliata. Sicuramente ho voglia di far vedere che la mia sospensione è stata un grave errore. Nel periodo del forzato stop ho continuato ad allenarmi ma non ho fatto tornei per nove mesi e, come puoi immaginare, è molto differente allenarsi e giocare partite vere. Per ritrovare la forma ci vorrà ancora un po’ di tempo”.
Quali sono i suoi obiettivi a medio e lungo termine?
“Ho 28 anni, credo che giocherò ancora 3, 4 o forse 5 anni. Voglio entrare nei primi 20 del mondo e dimostrare alle persone che mi hanno sospeso e che non hanno creduto in me che non sono un imbroglione. Vorrei essere nei primi 100 alla fine di quest’anno e nei 20 del mondo alla fine del 2004, so che è difficile ma ce la posso fare. Entrare nei primi 20 della classifica era il mio obiettivo del 2003 ma sfortunatamente non sono riuscito a raggiungerlo. E non per colpa mia”.