LA STANZA DELLE PALLE DA TENNIS – ENTRA
Le palle da tennis, per coloro che non hanno alcuna esperienza nel campo del collezionismo, possono apparire come un argomento abbastanza semplice. Considerando il fatto che sono stati costruiti miliardi di palle e che il prezzo di una confezione nuova non ha mai raggiunto prezzi esosi, verrebbe spontaneo pensare che possa essere facile reperire nel mercato del collezionismo esemplari usati, sia di singole palle che di contenitori, a prezzi stracciati.
Niente di più sbagliato. Generalmente le palline da tennis, una volta usate, vengono eliminate o tutt’al più vengono destinate ad allietare il nostro cane, pertanto i miliardi di palle costruiti, terminato il loro compito sul campo da tennis, sono regolarmente distrutte. Diventa dunque difficile e costoso trovare del buon materiale, anche se qualcosa è sempre presente nelle aste inglesi minori e sulle aste online. Una normale tubo di palle degli anni ’60 può avere una valutazione minima di 20 euro, ma se la stessa confezione di riferisce a palle nuove e sigillate il prezzo schizza in alto pazzescamente.
Facciamo adesso un salto indietro e torniamo agli inizi del Lawn Tennis. Era in voga allora il Real Tennis che usava palle pesanti, ricoperte di strisce di tela, che potevano rimbalzare sulle superfici dure dei campi. Ma, per i campi in erba del nuovo gioco occorrevano palle più leggere e la scelta del materiale cadde sul caucciù. La prima palla da tennis fu costruita con gomma nuda e cava, ma successivamente fu dotata di un rivestimento in stoffa con la tecnica dei due otto rovesciati cuciti assieme. Col tempo sparì anche la cucitura e la stoffa venne saldata alla gomma. Questo processo durò pochissimi anni e si può dire che, da quell’epoca ad oggi, la palla non ha fatto grandi cambiamenti.
Interessante il tentativo di Lacoste e Borotra che nel 1939, allora dirigenti della federazione francese, raccomandarono l’uso di una palla tutta in gomma e senza panno (vedi foto) che avrebbe dovuto sostituire la palla tradizionale. La guerra costrinse gli ideatori a procrastinarne la realizzazione, ma essi non abbandonarono l’idea e dopo la guerra la nuova palla venne realizzata e provata con il risultato che possiamo immaginare.
Ed a proposito di guerra, non tutti sanno che le ristrettezze economiche di tale epoca e le mancate importazioni di caucciù , sia nella prima che nella seconda guerra mondiale, fecero aguzzare l’ingegno a tal punto da inventare la palla rigenerata. Un procedimento che, partendo da una palla usata ed iniettandovi dentro lattice e persino gas e poi ricoprendo la parte esterna di pelo, riusciva ad ricreare una palla “nuova di zecca”!!!
Il colore delle palle è stato sempre bianco ed ancora oggi la palla bianca non è per nulla scomparsa, ma dal 1958 (dopo un tentativo di lanciare la palla rossa, 1930-1950) la palla gialla la fa da padrona.
Pare che le prime palle venissero vendute in sacchetti di carta, un tipo di contenitore che durò pochissimo e che venne sostituito da contenitori di cartone a forma di parallelepipedo contenenti quattro,sei o dodici palle e che praticamente sono stati in uso quasi fino ai giorni nostri. Si trattava di confezioni molto belle e colorate, assai richieste oggi e con valutazioni che partono dai 30-40 euro in su.
Alla fine degli anni ‘20 alle scatole si affianca l’uso del tubo di cartone con coperchio metallico che poteva contenere tre ,quattro e persino dodici palle, mentre, qualche anno dopo, il tubo diventa interamente di latta e questo è il tipo di confezione usato anche oggi. Ma, rispetto alle produzioni del momento, nei tubi di palle del passato troviamo una qualità artistica ed una varietà eccezionale, basta a quelli con le immagini di campioni. L’americano Brad McCall di Nashville ha elaborato un sistema di classificazione dei contenitori di palle, riscontrabile in un sito eccezionale (www.VintageTennisBalls.com) con centinaia di tubi e scatole.
Lo spazio tiranno ci consente solo un accenno alla più importante fabbrica italiana, la Pirelli, che, dal 1930, produsse una buona pallina . Pur dotando di ogni mezzo moderno lo stabilimento di Seregno, fu costretta dalla soverchiante concorrenza straniera a lavorare quasi sottocosto e nel 1980 giunse alla decisione di eliminarne la produzione. Un ennesimo ramo dell’industria italiana sparito del tutto.