di Giorgio Spalluto – foto Getty Images
Rimane in Russia la “Kremlin Cup”, per il 6° anno di fila preda dei giocatori di casa. A trionfare, però, non è né la testa di serie numero 1, Nikolay Davydenko, naturale favorito dopo il successo al Master1000 di Shanghai e 3 volte vincitore nella capitale russa, né l’attesissimo Marat Safin, alla sua ultima partecipazione in un torneo che gli è sempre sfuggito e che gli ha regalato 2 misere finali nel 2006 (sconfitto da Davydenko) e nel 2008 quando fu battuto da Kunitsyn. La sorte ha voluto che le 2 stelle si affrontassero già al primo turno. La vittoria di Marat ai danni di un Davydenko poco interessato a fare strada in questo torneo (avendo già incamerato il massimo dei punti racimolabili nei tornei “250”), aveva illuso una volta di più i suoi tifosi, costretti il giorno dopo a registrare l’ennesima delusione.
Questo torneo ha così simboleggiato alla perfezione la carriera di Safin (capace di vincere con chiunque e di sprecare occasioni imperdibili, nella fattispecie contro Korolev) ed ha rilanciato le azioni di un tennista, dal gioco assai spettacolare, ma dalla psiche assai fragile, forse ancora scossa da quelle famose racchettate con cui Mikhail Youzhny si percosse il capo a Miami lo scorso anno. Ve lo ricordate? Era un match di terzo turno di una tranquilla serata primaverile, quello che vedeva opposto il russo, fresco di best ranking (numero 8) ad Almagro. Al termine di uno dei tanti scambi spettacolari che caratterizzano quella partita, concluso da un rovescio in rete di Misha, il russo, mentre s’incammina verso il consueto asciugamano, impugna la racchetta a 2 mani e la scaglia violentemente per 3 volte sulla testa. Le immagini vanno subito a inquadrare il suo coach, il povero Boris Sobkin che, purtroppo avvezzo a questi gesti inconsulti, sembra così vergognarsi del suo assistito, da non avere neanche il coraggio di alzare lo sguardo. Sulle prime, Misha pare non essersi fatto nulla ed ostenta una certa sicurezza accarezzandosi il capo con nonchalance. Dopo qualche secondo in cui rimane fermo sulle gambe, forse per la fatica accumulata nello scambio, il russo alza lo sguardo e mostra alle telecamere il risultato del suo gesto sconsiderato. Un rivolo di sangue segna il volto di uno stralunato Youzhny che prima si asciuga la ferita con un asciugamano, come se fosse del normalissimo sudore, e poi fa segno al giudice di sedia di aver bisogno di assistenza. Si porta nel suo angolo, (eh sì perché ormai sembra di essere su un ring) non prima di farsi precedere dalla racchetta, scagliata verso la sua sedia. Distratto dalle sceneggiate del suo avversario, Almagro finisce a sua volta per perdere la testa e per regalare il match al russo che viene fermato al turno successivo da Janko Tipsarevic.
Proprio il serbo “dostojevskiano” per cui “la bellezza salverà il mondo”, è l’avversario di Youzhny in finale a Mosca, la prima a livello Atp per Janko, l’11° per Misha, sconfitto nelle 2 finali giocate quest’anno, a Monaco e, più di recente, a Tokyo. Dopo aver perso il primo set al tie-break, il beniamino di casa mette a segno un parziale di 8 giochi consecutivi che segna in maniera definitiva le sorti del match vinto dall’allievo di Sobkin col punteggio di 6-7 6-0 6-4. Youzhny può tornare così a sollevare un trofeo, quasi 2 anni dopo la mattanza di Chennai 2008, quando inflisse un pesantissimo 6-0 6-1 niente meno che a Rafa Nadal. Si tratta del 5° alloro di una carriera comunque avara di successi per un giocatore dalla classe cristallina, che ha dovuto fare i conti troppo spesso con una schiena malandata che ne ha condizionato il rendimento. Dopo tante sofferenze, il russo è pronto a scalare ancora la classifica (adesso è numero 25, dopo che ad aprile era sceso a 76) e a tornare nel tennis che conta, deliziando i suoi tanti ammiratori con il sontuoso rovescio a una mano, e congedandoli, sempre più di frequente, con il consueto saluto militare ai 4 lati dal campo.
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L’autoflagellazione di Youzhny contro Almagro