di Daniele Rossi – foto Getty Images
Buon compleanno a John Patrick McEnroe Jr., che essendo nato il 16 febbraio del 1959, ha compiuto ieri 51 anni.
Impossibile parlare compiutamente di John McEnroe nello spazio ristretto di un sito internet. Servirebbe un libro, alcuni ci hanno provato a scriverlo, uno lo ha scritto lui (“You cannot be serious”, il titolo della sua autobiografia), ma rimane ancora difficile catturare tutta l’essenza di “SuperMac”.
Nato per caso nella base militare di Wiesbaden in Germania, McEnroe cresce nel quartiere del Queens a New York. E’ ovviamente un talento precocissimo quello di John, che si rivela a Wimbledon nel 1977, quando neanche diciottenne, arriva alle semifinali partendo dalle qualificazioni. Il sogno verrà bruscamente interrotto dal numero uno del mondo e suo futuro acerrimo nemico, Jimmy Connors. Ma per arrivare in vetta è solo questione di poco tempo, perchè nel 1978 diventa professionista, vince 5 tornei ATP e vince anche il Masters di fine anno, battendo Arthur Ashe in finale. L’anno successivo è già tempo di Slam: si aggiudica gli Us Open distruggendo in tre set Vitas Gerulaitis. Il 1980 è l’anno della leggendaria finale di Wimbledon con Bjorn Borg, una partita talmente famosa che è persino inutile parlarne. “The Genius” riuscirà a vendicarsi di questa sconfitta a New York in quello stesso anno e sempre sui prati londinesi l’anno successivo; si ripete ancora agli Us Open del 1981, battendo ancora l’Orso di Sodertalje, che a causa (ma non solo) di queste ripetute sconfitte, si ritirerà nel 1982 a soli 26 anni. Con Borg fuori dalle scene, per McEnroe non sarebbero dovuti esserci rivali, ma John non aveva fatto i conti con il ritorno dell’eterno Jimmy Connors e con l’avvento di un giovane cecoslovacco dalle leve lunghe e dallo sguardo torvo, Ivan Lendl. Connors a 32 anni lo batte a sorpresa nella finale di Wimbledon, mentre Lendl lo sconfiggerà in semifinale degli Us Open. Torna a trionfare a Londra nell’83, battendo in finale il carneade neozelandese Chris Lewis, ma sarà ancora “Jimbo” a vincere a New York.
Il 1984 per McEnroe è l’anno del trionfo, ma anche della disperazione. Gioca 85 partite, ne perde solo 3, ma una di quelle rappresenta anche il più grosso rimpianto della carriera e della vita di John. Raggiunge per la prima e unica volta la finale al Roland Garros dove trova l’odiatissimo Ivan Lendl. L’americano gioca due set sublimi, poi si distrae pensando a come deridere il cecoslovacco dopo la partita e consente la rimonta al ventiquattrenne di Ostrava, ai tempi ancora a secco di vittorie in uno Slam. Lendl vince 3-6 2-6 6-4 7-5 7-5, ponendo fine ad una serie di 39 vittorie consecutive e spezzando il sogno di McEnroe di conquistare quello Slam che avrebbe reso la sua carriera leggendaria. Si rifà a Wimbledon distruggendo Connors in tre set e agli Us Open, battendo proprio Lendl. Ma raggiunto lo zenit, McEnroe si scioglie progressivamente: nel 1985 raggiunge la sua ultima finale in uno Slam, a New York. Lendl gli impartisce una severissima lezione e lo batte in tre set. E’ la partita della svolta: per McEnroe l’inizio del declino, per Lendl l’avvio di un dominio incontrastato per quasi 4 anni. Nel 1986 John si sposa e si prende un anno sabbatico. Non riuscirà praticamente più a riprendere la forma: negli anni seguenti combina pochissimo negli Slam e vince solo una serie di tornei minori. Spara le sue ultime cartucce a Wimbledon, dove raggiunge le semifinali nell’89 e nel ’92, ma ormai il suo gioco è anacronistico e sorpassato. Il suo serve and volley viene spazzato via dalla sempre crescente potenza e tenuta atletica dei tiratori da fondo e da “volleatori” più giovani e forti, come Becker e Edberg. Nel 1991 vince il suo ultimo torneo a Chicago e nel 1992 si ritira ufficialmente. Finisce così, con un lungo e triste declino, la carriera di uno dei più grandi interpreti della racchetta.
McEnroe è stato un giocatore straordinario e irripetibile. Un fantastico attaccante mancino, dotato di un talento pazzesco, capace di tutto e il contrario di tutto. Il suo gioco era sublime e imprevedibile, del tutto personale, come l’assurdo servizio con i piedi paralleli al campo e le spalle rivolte alla rete. Fin quando è bastato il “tocco” nel tennis ha vinto e deliziato il pubblico, ma quando sono entrati in gioco altri fattori come la potenza e la prestanza fisica, ha dovuto cedere il passo. Non è riuscito ad adeguarsi ai tempi, alle nuove tecnologie e ai nuovi avversari.
Nel confronto con i suoi avversari dell’epoca sul campo ne esce sconfitto: i suoi 7 Slam non reggono di fronte agli 11 di Borg e agli 8 di Connors e Lendl. Ma John McEnroe “off court” non ha avuto rivali: nessuno come lui ha attirato l’attenzione sul tennis, oltre che per il suo gioco, per le sue famose scenate isteriche, per le sue dichiarazioni mai scontate e divertenti e per la sua ironia intelligente e sagace. Ancora oggi è un icona di questo sport e rimane forse il più famoso tennista di tutti i tempi. Sempre richiestissimo dagli sponsor e dalle esibizioni, gioca ancora nel Senior Tour e se la gente non vede almeno una racchetta rotta e un insulto all’arbitro non se ne va contenta. Lui lo sa e ormai si è adeguato al personaggio che negli anni si è costruito. Perchè John McEnroe era e sempre rimarrà uno straordinario personaggio, uno di quelli che si amano o si odiano, ma che non lascerà mai indifferenti. Grande, grandissimo SuperMac. Tanti auguri.
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Una breve compilation delle scenate più famose di “The Genius”