Riproponiamo, per la prima volta sul web, una nostra inchiesta su come è cambiata l’erba dei Championships. IMPERDIBILE…

 

di Federico Ferrero – Foto Giubilo  (inchiesta pubblicata nel settembre 2007)

 

Si indaga su un delitto nel Tempio della purezza del tennis. La vittima si chiama serve&volley, ucciso sui campi in cui questo sport ha cresciuto le sue prime leggende. A Wimbledon si gioca ormai come sul cemento, se ne sono accorti tutti eppure all’All England Club hanno tutti le bocche cucite. Vi aiutiamo a capire perché l’erba di Church Road non è più quella di una volta…

 

 

Questa è una storia losca, la storia di un crimine. Un omicidio, forse. Consumato all’interno dei cancelli dell’All England Tennis and Croquet Club di Londra, non lontano dalla fermata della metropolitana di Southfields. Ed è una storia che inizia tanto tempo fa: Wimbledon Duemiladue, per l’esattezza, l’anno secondo dell’era post Sampras nel quale all’acuto solitario del genio Ivanisevic di dodici mesi prima succedette una finale totalmente inattesa.

 

Accadde che due giocatori di rimbalzo si giocarono il titolo dei Championships, Lleyton Hewitt e David Nalbandian. Pochi giorni prima un furioso Greg Rusedski, impallinato dai passanti di Xavier Malisse negli ottavi di finale, era sbottato davanti al cronista della Bbc: “Tutti sanno che l’erba è diventata molto più lenta. Non c’è dubbio. Lo vedi dagli scambi, da cosa sono diventati, da come si riesce a rispondere al servizio. Credo che dipenda da come tagliano e fanno crescere l’erba. Non dico di aver perso per colpa del campo ma credetemi: questa di certo non è più la superficie che conoscevo”.

 

A stretto giro di posta gli rispose un connazionale che mai gli era andato a genio, Tim Henman, reduce da una vittoria facile contro il fondocampista svizzero Kratochvil ma che si sentì solidale col triste bomber veterocanadese: “Tutto vero. I campi non sono per nulla veloci, la rapidità della superficie è veramente mediocre”. In semifinale Timbledon sarebbe stato trafitto più e più volte dai colpi da fondo di Hewitt.

 

 


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La levata di scudi dei due rappresentanti del tennis di casa provocò una reazione contraddittoria del portavoce dei Championships, Johnny Perkins, che si difese con due argomenti. Il primo: “L’erba è la stessa dello scorso anno, la scelta delle sementi è la stessa, l’altezza del taglio anche. Semplicemente è più secca per cui la palla rimbalza di più, ecco perché ci sono più scambi”. Il secondo: “Negli ultimi dieci anni i campi sono stati rassodati perché il numero dei giocatori serve&volley stava calando e ci pareva che la palla viaggiasse troppo; è stata un’evoluzione graduale, niente che si possa notare da un anno all’altro”.

 

Nessuno gli fece la seconda domanda, quella che solitamente mette in crisi i lettori di comunicati stampa: l’erba di quest’anno è uguale a quella dello scorso anno ma quella dello scorso anno è uguale a quella di dieci anni fa? Perkins, in sostanza, ammise che qualcosa era stato cambiato ma non disse cosa e nessuno glielo chiese; del resto se i ragazzi giocano meno a rete noi li si asseconda, rendendo loro la vita più facile.

 

Parole vuote, ritenute sufficienti. Quanti indizi servono per formare una prova? Due testimonianze e un imputato che cade in contraddizione possono essere sufficienti? No? Allora andiamo avanti. Timbledon ebbe modo di tornare sull’argomento due anni fa quando si salvò al primo turno contro un altro giocatore ‘da dietro’, Jarkko Nieminen, sotto di due set, ma perse incredibilmente da Picchiatutto Tursunov al secondo, uno che a rete ci va al cambio di campo. Si lamentò ancora per quei campi in… erba battuta e il capitano di Coppa Davis (ex erbivoro di professione) John Lloyd gli diede manforte: “Quello che Tim dice è verissimo. I campi sono spaventosamente più lenti, la palla salta molto più alta. Quando giocavo io, venticinque anni fa, non ti potevi permettere di scambiare, il rimbalzo era una roulette russa, bassissimo e irregolare, per cui dovevi giocare punti rapidi e colpire al volo il più possibile. Io continuo a partecipare al doppio veterani e tutti dicono la stessa cosa: l’erba è cambiata nella sua trama, è più spugnosa. Vi dico una cosa: con i campi di vent’anni fa Tim avrebbe avuto molte chance di vincere a Wimbledon. Oggi no”.

 

 


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L’ex professionista e commentatore Cliff Drysdale, semifinalista nel Tempio nel 1965, rincarò la dose: “Molto, molto più lenta. Il terreno è più duro, il rimbalzo più regolare, la palla salta alta e la puoi colpire dopo il bounce (rimbalzo), cosa che ai miei tempi era impensabile. È incredibile ma sembra di giocare sul cemento. Non credevo fosse possibile: non so come, ma ci sono riusciti”.

 

Mats Wilander: “Sono molto dispiaciuto di come stanno trasformando Wimbledon. Lentamente si sta perdendo la pratica del serve&volley e questo capita perché i campi sono sempre più lenti. Non mi pare stiano pensando che in casa hanno due tennisti come Henman e Rusedski… l’Inghilterra sarebbe l’unica nazione al mondo che non prova a dare una mano ai suoi giocatori. Anzi, pare che stiano facendo di tutto per non farli vincere”.

 

La risposta dell’All England Club? Sempre la stessa: educata, soft, velatamente contraddittoria. Il presidente del Club Tim Phillips: “Non c’è stata alcuna intenzione, né quest’anno né nei precedenti, di creare campi più lenti o studiati per un particolare tipo di gioco. Abbiamo sempre fatto di tutto per offrire ai giocatori i migliori campi in erba per esprimere il loro enorme talento. E siccome il gioco del tennis non è statico ma in continua evoluzione neanche noi siamo immobili e continuiamo a preparare i campi usando tutta la nostra esperienza e le ultime tecnologie. Ci interessa solo creare il miglior terreno possibile”.

 

Migliore per cosa? Per aiutare chi? Qualunque avvocaticchio si avventerebbe su testimoni traballanti come Perkins e Phillips perché qualcosa sotto c’è. Perché un giocatore come Juan Carlos Ferrero s’è messo a vincere partite sull’erba quando da numero uno al mondo rischiava ogni anno di farsele suonare da uno Stoltenberg, da un Godwin, o peggio perdeva da Jeff Morrison?

 

 

 


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Perché i campioni del Roland Garros di dieci anni fa e dintorni come Kuerten e Kafelnikov, gente col talento, non riuscivano a giocare con efficacia dalla linea di fondo a Wimbledon mentre oggidì Rafa Nadal scambia tranquillamente di rimbalzo e senza mai aver giocato mezza partita sull’erba si procura due finali consecutive?

 

Perché Muster evitava Wimbledon sapendo che avrebbe perso contro un semiprofessionista mentre chi gioca ‘alla spagnola’ oggi se la cava egregiamente? Nessuno osa più il serve&volley, neanche un Panda della volata come Henman (che contro Moya quest’anno è andato a rete poco più del 40% dei punti al servizio!) e perché, altra domanda, all’incauto autore di questo articolo Jonas Bjorkman, alla domanda “come mai non segui più il servizio a rete” rispose nel 2006 “provaci tu su questi campi”!

 

Perché Roger Federer è passato, in meno di una decade dei frequentazione dell’All England Club, da una misura dell’ottanta percento di servizio-volée a meno del venti? La risposta a tutte queste domande c’è: la chiave del delitto è un veleno.

 

Nel Vangelo la zizzania, che si mescola alle erbe buone per avvelenarla, non è altro che una varietà della comunissima graminacea conosciuta come loglio, il loglio ubriacante (lolium temulentum). E il lilium è la base dei campi da tennis più celebri del pianeta. Fin qui tutto bene. Fino al Duemila, però, l’erba più famosa del mondo era il risultato di una mistura: al 70% si utilizzava la Lorrina Perennial Ryegrass (il lolium perenne) e al 30% il Barcrown creeping red fescue (la festuca perenne).

 

Un misto che garantiva un manto più soffice, magari meno regolare e affidabile nel rimbalzo. Da qualche anno a questa parte i campi, invece, è cambiato qualcosa, quel qualcosa che permette a lorsignori di Wimbledon di dire mezze verità.

 

 


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Eddie Seaward, il responsabile della manutenzione dei prati più famosi al mondo da sedici anni a questa parte, ne sa qualcosa, anzi, sa tutto. Il suo team di ventotto persone addette esclusivamente alla salute dei campi si appoggia all’antico Sports Turf Research Institute nello Yorkshire, nato nel 1929 e divenuto negli anni un’autorità nella scienza dei terreni dedicati alle attività sportive: sementi, trattamenti, substrati, drenaggi, nulla è sconosciuto agli esperti dello Stri.

 

E su loro precisa indicazione, per rispondere alla domanda di campi più simili a quelli calpestati dai campioni nel resto dell’anno, per non sentir più dire agli ispanici che “l’erba va bene per le mucche”, i court vengono unicamente seminati con il lolium. L’erba cresce su un terreno reso esponenzialmente più compatto da un rullaggio molto vigoroso, con rulli notevolmente più pesanti rispetto alla tradizione, e mescolato con sabbia e limo. Lo Stri ha consigliato di tagliare sempre, invariabilmente, l’erba a otto millimetri e di controllare regolarmente anche il grado di greeness (quanto è verde, in altri termini). Il risultato di queste lievi, impercettibili modifiche è evidente nel gioco: il rimbalzo è finalmente predictable, come piace dire ai londinesi, più alto, più regolare.

 

Mark Petchey, un attaccante che si guadagnava da vivere con la wild card a Wimbledon, l’ha spiegato chiaramente: “Seminare pura ryegrass fa sì che l’erba venga su dritta; prima con il mix che si usava gli altri fili d’erba spingevano giù il loglio e creavano una sorta di tappeto.

 

Ecco perché la palla tendeva a schizzare via bassa. Avete visto Nicolas Mahut al Queen’s? In tutta la settimana faceva solo serve&volley, ha battuto Nadal, contro Roddick in finale non ha mai perso il servizio. Qui a Wimbledon ha preso tre set a zero, facili, da Gasquet che gioca benissimo ma solo da fondo”.

 

 


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Qualche settimana fa con un’espressione un po’ delusa e un po’ schifata Goran Ivanisevic, campione nella pazza edizione del Duemilauno, spiegava al pubblico televisivo di Sky che ormai i campi non assomigliano più a quelli di qualche stagione fa, che li aveva provati e si era stupito di quanto fosse facile starsene dietro la riga a palleggiare in sicurezza quasi dimenticando di trovarsi su un tappeto di erba naturale. Forse Goran non sa né gli interessa sapere quale seme, quale taglio, quale trucco viene adoperato. Il crimine però c’è, ed è sotto gli occhi di tutti. Hanno avvelenato l’erba.

 

Gli effetti del crimine sono duplici: quelli immediati portano i pochi giocatori con velleità d’attacco a starsene rintanati a fondocampo e consentono a chi vince sulla terra di continuare a giocare alla sua maniera sul verde. Il secondo, più subdolo, emergerà sempre più con gli anni quando nessuno oserà più assecondare i rari giovani che praticano la volée: se nella culla del gioco d’attacco è diventato impossibile attaccare tanto vale omologarsi allo stereotipo del tennista di oggi. Sempre che qualcuno non inchiodi i colpevoli alle loro responsabilità, magari iniziando proprio da queste pagine.

 

 


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