di Giorgio Spalluto – foto Getty Images
La prima volta in cui Andy Murray e Nole Djokovic si affrontarono in un torneo under-12, nel sudovest della Francia, non ci fu storia: vinse Murray 6-1 6-0. Un risultato oltremodo pesante, che non impedì ai due di intraprendere una splendida amicizia, una “nice story” per utilizzare le parole del serbo alla vigilia di un ultimo atto, in cui di “nice”, per lo scozzese, c’è stato davvero poco. Cinque anni fa, esordirono a Melbourne giocando il doppio fianco a fianco. Quando si presentarono in sala stampa, i cronisti presenti non potettero fare a meno di notare la diversa gestione della ribalta da parte degli odierni contendenti. Da una parte c’era un tennista estroverso, proveniente da una terra come la Serbia, in cerca di riscatto dopo anni di guerre, e voglioso di esternare tutte le proprie emozioni. Dall’altra, un giocatore timido, già stufo dell’etichetta di predestinato, nauseato dal dover ottemperare ai suoi “obblighi” verso i media.
La gestione della pressione mediatica e non solo, si è rivelato nel corso degli anni sempre più un cruccio per il 23enne di Dunblane. Lo scontro odierno e il risultato finale, un netto e perentorio 6-4 6-2 6-3 in favore del numero tre del mondo, è spiegabile anche con il differente approccio dei due contendenti. All’orgoglio di essere serbo, sempre ribadito in qualsiasi occasione e corroborato dal fresco successo in Davis, fa da contraltare l’origine assai più nobile (tennisticamente parlando), ma nello stesso tempo gravosa, di un tennista alle prese con la pesante eredità e l’immane responsabilità di porre fine a uno stillicidio che dura ormai da 75 anni.
Che il match fosse tutto in salita per Andy lo si capisce dal suo primo turno di battuta nel secondo game del match. Lo scozzese si salva dopo ben 16 punti, in cui appare chiaro quale sia il piano tattico del suo avversario: rallentare lo scambio, per poi accelerare e continuare a farlo, una volta guadagnato campo. Il calvario del primo game di battuta è il prodromo a quello che accadrà di lì a poco. Il serbo non sbaglia un colpo quando mette la prima, Murray riesce in qualche modo a rimanere in scia fino al 5-4 per Djokovic. Sul 15-30 è una maratona di 38 colpi a regalare il primo setpoint a Nole che, ormai privo di energie, ha la lucidità di attaccare sul dritto di Murray. A sua volta esausto, Andy non ha la forza necessaria per assestare il passante vincente, dopo che, in precedenza, era stato lui a non seguire a rete un’accelerazione di rovescio. Il numero 5 del mondo, costretto ancora una volta a fare a meno della prima, viene tradito dal dritto.
Contro un giocatore che fa dell’aggressività la sua arma migliore, la percentuale del 42% di prime, dello scozzese, con cui chiude il primo parziale, equivale a un vero e proprio suicidio, confermato da un rendimento assai deficitario con la seconda (41%). Si chiude con il punteggio di 6-4 il primo set vinto dal serbo, dopo aver perso gli ultimi sei nei tre precedenti più recenti.
La prima smorzata cercata da Murray nel corso match, gli costa il break in apertura di secondo set. E l’inizio della fine per lo scozzese che non reagisce al contraccolpo psicologico, per aver ceduto un primo parziale in cui aveva speso tanto. Si fa sempre più infernale la “via crucis” al servizio che, dal 5-4 del primo set sino al termine del match, lo vedrà concedere palle break in ogni turno di battuta. Nella seconda frazione, in cui riesce ad evitare per il rotto della cuffia l’onta del 6-0, Andy realizza solo 2 punti con la seconda di servizio. Un mini passaggio a vuoto del serbo, che cede la battuta sul 5-1, non basta ad alleviare le pene del figlio di Judy, incapace nell’ottavo gioco, di evitare il break per la quarta volta negli ultimi 5 turni di servizio.
La speranza che ci possa essere ancora una partita si materializza in apertura di terza frazione con il break in favore dello scozzese. Peccato che, come nel match contro Ferrer, Murray insista masochisticamente nel concedere l’immediato controbreak al suo avversario. Nole sembra quasi dolersi per la tremenda lezione che si sta profilando nei confronti del suo “vecchio” amico e lascia che Andy rientri dal 3-1 al 3-3. Il settimo break negli ultimi 9 turni di battuta, regala a Djokovic la possibilità di servire per chiudere l’incontro, sul 5-3. Basta il primo matchpoint al serbo, che contiene la sua esultanza per rispetto nei confronti di un avversario il cui dramma interiore è evidente.
Tre finali di slam, 9 set persi su 9. Un bilancio terrificante per Murray, inasprito dal fatto che questa volta a contendergli il titolo non c’era la sua nemesi negli slam, Roger Federer. Probabilmente l’assenza in finale dello svizzero (oltre a quella di Rafa in precedenza), è stata fonte di ulteriore pressione per un giocatore che, già lo scorso anno, aveva pagato oltremodo la delusione australiana, smarrendosi nei successivi 6 mesi.
Come nel 2008, ad approfittare ancora una volta di una finale orfana sia di Nadal che di Federer (l’ultima era stata proprio quella tra il serbo e Tsonga sempre in Australia), è Novak Djokovic che diventa il 27° tennista ad aggiudicarsi almeno 2 slam nell’era Open. Lo fa a 12 major di distanza dal primo. Un digiuno inferiore solo a quello di Marat Safin che dovette attendere 14 slam per bissare a Melbourne, nel 2005, il titolo vinto agli US Open, nel 2000.
In classifica, il serbo resta al numero 3, ma si porta a soli 85 punti da Roger Federer. La fine del duopolio ispano-svizzero non è mai stata così vicina.
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