Durante le finali di Rovereto sono emersi tutti i limiti dei campionati nazionali di Serie A1, che sanno regalare emozioni, ma interessano sempre meno a pubblico e sponsor. Le possibilità di migliorarli esistono, ma purtroppo non dipendono dai circoli… da Rovereto, MARCO CALDARA

da Rovereto, Marco Caldara – foto Angelo Tonelli

Le ragazze del Nomentano che festeggiano con gavettoni e spumante sul campo di Rovereto. È stata questa la scena con cui è andata in archivio una delle edizioni del campionato di Serie A1 più povere degli ultimi anni. Tanta gioia ed emozione per la vittoria di una competizione di cui, purtroppo, le cose positive si contano sulle dita di una mano. E nella tre giorni trentina tutti hanno potuto constatarlo, perché non serviva un occhio particolarmente attento per notare le tribune semi vuote sia al venerdì che alla domenica.

La risposta di pubblico è forse il dato più importante per verificare la buona riuscita di un evento, e, complice la presenza di un solo top 100, possiamo tranquillamente affermare che le finali di Serie A1 hanno toppato. Se escludiamo i tifosi delle formazioni in gara, giunti numerosi sia da Trento che da Forte dei Marmi e Prato, di gente se n’è vista ben poca. A dimostrazione di come, malgrado si giochino a Rovereto da ormai tre anni, le finali scudetto non sono riuscite a entrare nel cuore della gente, e forse nemmeno in quello degli appassionati. Poco sensata, da questo punto di vista, la scelta di far pagare il biglietto per uno spettacolo piuttosto magro. La spesa era molto contenuta (5€ per una giornata, 8€ l’abbonamento per i tre giorni), ma è stata comunque sufficiente per ‘eliminare’ i curiosi, che a una manifestazione sempre meno amata e seguita non potevano fare che bene.

Molto significativa anche la quasi totale assenza di sponsor. Visto il periodo in tanti han preferito non investire su un campionato sempre più magro, che probabilmente non garantisce alcun ritorno. Sulla locandina dell’evento erano presenti solo i partner istituzionali, mentre negli striscioni a bordo campo sono comparsi un paio di sostenitori, ma comunque sempre legati al territorio. La gente era poca e l’interesse scarso, ma qualcosa per coinvolgere anche minimamente i presenti lo si poteva fare. E invece, fatta eccezione per l’ingresso di due personaggi simpaticamente travestiti da Borg e McEnroe prima dell’ultimo match femminile, non c’è stato nulla. Pure le brevissime presentazioni dei giocatori, recitate senza tono e con più di un errore da uno speaker comodamente seduto a bordo campo, sono riuscite a diventare noiose, e nemmeno durante le premiazioni delle squadre si è visto qualcosa di piacevole.

Tanti fattori negativi che vanno a stridere con la saggia scelta di dividere la finale maschile in due giorni (per evitare di finire di notte come negli anni scorsi) e l’ottima copertura offerta da Supertennis. Dirette integrali con quattro telecamere sempre in azione, preview, interviste a bordo campo, grafiche e livescore, come per un qualsiasi incontro di Coppa Davis. Ormai per questi appuntamenti i ragazzi della tv federale sono una garanzia, e sarebbero loro i primi a meritare una manifestazione più ricca, in modo da poterla raccontare a un pubblico ampio e interessato. Ha senso spendere tempo e denaro per un evento così poco seguito dagli appassionati?

La cosa certa è che non servirebbe molto per far tornare il campionato appetibile per sponsor, pubblico e appassionati, ma negli ultimi anni le mosse della Federazione sono andate spesso in controtendenza. L’obbligo di schierare un elemento del vivaio è una regola determinante (come dimostrato dalle squadre finaliste, praticamente le uniche a essersi trovate ‘in casa’ un singolarista in grado di garantire vittorie in Serie A1), e ha ‘tagliato’ le gambe a numerosi club. Tanto che qualcuno si è rassegnato all’idea di puntare allo scudetto, altri hanno mollato, e altri ancora sono stanchi di investire soldi senza ritorno, sia in termini di immagine che di soddisfazione personale, in quanto festeggiare uno scudetto davanti a (se va bene) duecento persone non è proprio gratificante.

Con questo non si vogliono imputare colpe alla Federazione, che ha inserito una regola discutibile ma uguale per tutti, bensì semplicemente evidenziare che qualcosa per migliorare il campionato lo si può fare. Ma non sono i circoli a doversi muovere per primi. In una marea di campionati esteri (Germania e Francia in primis) l’interesse di pubblico, media e sponsor è altissimo, e si vedono spesso giocare una valanga di campioni. Di club pronti a investire per accaparrarsi grandi nomi ce ne sono anche da noi, perché non dargliene la possibilità? Scatterebbe una reazione a catena che farebbe impennare il livello del campionato, generando una serie di conseguenze positive per tutti, club e appassionati in primis. Ma, almeno per il momento, questo sembra non rientrare né negli interessi della Fit, né in quelli degli organizzatori delle finali scudetto, che le ospiteranno a Rovereto anche nel 2013. Purtroppo, viene proprio da chiedersi cosa ci trovino di interessante…