di Daniele Rossi – foto Getty Images
Terzo turno, Wimbledon 2004. Goran Ivanisevic, dopo aver sofferto le pene dell'inferno contro Filippo Volandri, perde in tre rapidi set da Lleyton Hewitt. E' l'ultimo match in carriera di Goran. Il tennis dice addio a un grande campione e a un personaggio straordinario.
La personalità, la simpatia, le mattane, le racchette rotte, le multe, le battute in conferenza stampa, la follia di un Cavallo Pazzo, capace di vincere Wimbledon da wild card, a 30 anni con le infiltrazioni ad una spalla, 9-7 al quinto set in una finale giocata di lunedì.
Dopo di lui, tanti grandissimi campioni, tutti – eccetto forse Marat Safin – inquadrati da un tennis che necessita sempre più professionalità e meno ispirazione, sempre più concentrazione e meno distrazioni, sempre più facciata e meno sincerità.
A rompere questo muro, ci sta provando Jerzy Janowicz. Dopo la sua esplosione a Parigi Bercy nel novembre 2012, tutti si chiedevano se si fosse trattato di una meteora o dell'esplosione di una nuova stella. L'inizio 2013 non aveva deposto in favore della seconda tesi: 10 vittorie, 9 sconfitte, miglior risultato quarti di finale a Marsiglia.
Arrivato nella capitale, Jerzy però ha innestato il turbo: eliminato Giraldo, stroncato Tsonga, superato Gasquet sulla lunga distanza.
Janowicz sembra aver raccolto il testimone da Ivanisevic: tennis spettacolare, personalità debordante e quella scintilla di follia che luccica negli occhi del gigante di Lodz, come quella che albergava nella disordinata mente del mancino di Spalato.
Tecnicamente le differenze non mancano: entrambi giocatori di attacco, servizio devastante e la smodata ricerca del vincente. Goran però era un puro giocatore serve and volley, giocava meglio di rovescio che di diritto e pur essendo 10 centimetri più basso del polacco, gli spostamenti non erano certo il suo forte.
Janowicz invece alterna missili terra-aria col diritto (ma anche col rovescio) a smorzate imprevedibili che mandano al manicomio qualunque avversario e dall'alto dei suoi 203 centimetri, si muove come un brevilineo. Nonostante sia un giocatore da rapido, la terra si adatta bene al suo gioco: ha più tempo per caricare i colpi e può sfruttare il suo talento nelle palle corte, che sul mattone tritato sono un arma micidiale.
Ma oltre al tennis, Janowicz si sta facendo notare anche per altro. La sua sfuriata agli Australian Open è già diventata un classico (“How many times???”) e al termine della partita con Tsonga si è strappato la maglietta in stile Hulk. Non si è ripetuto dopo la vittoria con Gasquet, ma certo non ha nascosto la sua felicità. La sue esultanze non suonano però come smodate o irrispettose, ma sono il semplice frutto di una passione travolgente, proprio come quella che animava il croato.
Venerdì giocherà per la prima volta contro Roger Federer. Dal nuovo Cavallo Pazzo possiamo aspettarci di tutto. Una cosa è sicura: ci sarà da divertirsi.
Una volta Ivanisevic ha dichiarato: “Come sarò ricordato? Credo che sarò ricordato per tante cose, ma forse soprattutto perchè ero diverso. Alcuni dicevano pazzo e ogni tanto diverso significa pazzo. Ma io più che pazzo, ero unico”.