La seconda edizione torinese delle Nitto ATP Finals presenterà una netta distinzione fra tre generazioni di giocatori: i mostri sacri Nadal e Djokovic, i debuttanti Alcaraz e Auger-Aliassime, e gli altri possibili ricambi che sin qui hanno fallito il compito di sostituirsi alle leggende, ma non si arrendono. Potrebbe venirne fuori una delle edizioni più interessanti degli ultimi anni
Da una parte la vecchia guardia, con Novak Djokovic e Rafael Nadal. Dall’altra i due nati nel nuovo millennio, Carlos Alcaraz e Felix Auger-Aliassime. Al centro la generazione di mezzo: Daniil Medvedev, Casper Ruud, Stefanos Tsitsipas e Andrey Rublev, in rigoroso ordine di classifica mondiale. È il roster, per dirla all’inglese anche se oggi l’evento è italianissimo, delle Nitto ATP Finals di Torino, diventato ufficiale mercoledì sera quando a Parigi Bercy un Gilles Simon all’ultimo torneo in carriera ha stoppato la rincorsa di Taylor Fritz, consegnando a Rublev la terza presenza consecutiva nel torneo dei maestri. Fra una decina di giorni al PalaAlpitour sarà ben evidente – per la prima volta negli anni recenti – la distinzione fra tre generazioni di giocatori: le vecchie volpi che quando conta restano i più forti (vedi i tornei del Grande Slam: Rafa e Nole ne hanno vinti tre su quattro); i giovanissimi che puntano a imporsi scavalcando i primi Next Gen; e appunto questi ultimi, il gruppetto che staziona in alto già da un po’ ma fin qui ha visto sempre respinto il tentativo di sostituirsi ai giganti. La conta degli Slam, uno per Alcaraz fra i nuovi e uno per Medvedev fra i meno nuovi ha già raggiunto la parità, segno che gli ultimi arrivati stanno bruciando le tappe e c’è più di una ragione per credere che saranno loro i primi a prendere il posto dei campioni che hanno dominato la scena negli ultimi quindici anni abbondanti, un po’ per meriti e un po’ (di più) perché Nadal ha 36 anni sulla carta d’identità ma molti di più in termini di usura fisica, Djokovic sta meglio atleticamente ma non è comunque più un ragazzino, mentre Federer ha già salutato la compagnia.
Per questo le Finals di Torino, le più ricche di sempre con 14.75 milioni di dollari di prize money e un assegno record da 4.7 milioni destinato al campione qualora chiudesse da imbattuto, saranno una bella opportunità per vederli tutti insieme in un torneo che negli anni recenti ha regalato anche tante sorprese e sei vincitori diversi nelle ultime sette edizioni. E che, grazie alla formula a gironi, garantisce una quantità di sfide fra i top-8 (15 in tutto) di gran lunga superiore rispetto a qualsiasi altro appuntamento stagionale. A Torino sarà la prima volta alle Finals di Carlos Alcaraz, uno dei pochi nella storia dell’evento a debuttare da numero 1 del mondo. Lo spagnolo, che dopo il trionfo allo Us Open sembra aver un po’ tirato il fiato, sogna di fare come Ilie Nastase (1971), Guillermo Vilas (1974), John McEnroe (1978), Alex Corretja (1998), Grigor Dimitrov (2017) e Stefanos Tsitsipas (2019), gli unici sei capaci di vincere il titolo al debutto (ci sarebbe anche Stan Smith campione nel 1970, ma essendo l’edizione inaugurale erano tutti al debutto). Lo stesso sogno nel cassetto del canadese Felix Auger-Aliassime, che l’invito per le Next Gen ATP Finals di Milano l’aveva sempre declinato mentre a Torino ovviamente ci sarà, qualificato grazie ai 1.000 punti in tre settimane raccolti fra Firenze, Anversa e Vienna. Sulla carta il 22enne di origini togolesi non è fra i favoriti, ma il rendimento dell’ultimo periodo mette tutti in guardia e batterlo non sarà facile per nessuno.
Djokovic favorito, ma la sua presenza non va giù a tutti
A una decina di giorni dal via i primi bookmakers hanno iniziato a proporre le quote per il successo finale e il favorito non può che essere Novak Djokovic, qualificato – da numero 10 della Race – in virtù del titolo a Wimbledon. Una situazione che ha generato del malcontento, in quanto il serbo è stato di fatto l’unico a trarre un beneficio in chiave ATP Finals dal suo risultato ai Championships, dato che nessuno ha raccolto punti. Tuttavia, “Nole” non ha fatto altro che sfruttare una regola esistente dal lontano 2000 e può andare a caccia di un titolo che in carriera ha già saputo vincere cinque volte, ma gli manca da ben sette anni. Nell’ultimo periodo non ha giocato tantissimo, ma l’ha fatto bene e rimane una spanna sopra a tutti. Sarà la sua quindicesima apparizione al Masters: escluso Nadal, sono tante quante quelle di tutti gli altri sei avversari messi insieme, con Medvedev e Tsitsipas (4) come più presenti. Nadal invece ha giocato l’evento di fine stagione dieci volte, dovendo spesso dare forfait per problemi fisici quando era fra i qualificati. Stavolta invece, malgrado a Parigi-Bercy abbia perso il suo primo incontro da papà, ha detto che ci sarà, perché – parole sue – alla sua età non può mai sapere se avrà una nuova opportunità. Tuttavia, il 22 volte campione Slam non è parso nelle condizioni adatte per puntare all’unico grande titolo assente nel suo palmarès, complice anche il fatto che a fine stagione si gioca sul veloce al coperto, la superficie meno amica del suo tennis e del suo fisico. Un tempo reclamava la possibilità di giocarlo qualche volta le Finals anche sulla terra, puntando (con ragione) sul fatto che ci si qualifica lottando su quattro superfici diverse ma poi l’evento sia sempre e solo sul duro, mentre ultimamente sembra essersi rassegnato.
Poi c’è il gruppetto degli altri, che nelle Finals hanno trovato un torneo spesso alleato. L’hanno vinto due volte Zverev (assente per infortunio), quindi Tsitsipas e anche Medvedev, i quali ci riprovano quest’anno insieme ai due “Ru”, Rublev e Ruud, che partono un gradino sotto. Tsitsipas sta sostanzialmente collezionano delusioni e finali perse: fatta eccezione per gli ATP 250, in carriera ha un bilancio negativo nelle finali giocate in tutte le categorie di tornei. Non esattamente un dato incoraggiante per uno che punta a diventare numero uno del mondo. Ma alle Finals ha già saputo mostrare gli artigli: nel 2018 ha vinto quelle dei giovani a Milano e l’anno seguente si è ripetuto fra i grandi a Londra, diventando il primo – e sin qui unico – in grado di fare la doppietta, peraltro back-to-back. Medvedev invece, non ha brillato a Bercy ma è piaciuto a Vienna e dovrebbe arrivare a Torino in buone condizioni, per provare a ripetere il successo del 2020 in un appuntamento che per il suo tennis funziona bene. I quotisti lo mettono alle spalle dei soli Djokovic e Alcaraz, e anche in virtù del successo in un Major che manca ai compagni di generazione (peraltro conquistato negando il Grande Slam a Djokovic) il russo rimane il più credibile del suo gruppetto per lottare per i titoli più importanti. Nel 2022 si è dovuto fermare quasi due mesi per un’ernia, poi è stato escluso da Wimbledon, quindi ha dovuto dedicare tempo e attenzione alla nascita della prima figlia, eppure è comunque stato numero 1 al mondo e oggi è in terza posizione. A Torino ha la prima grande chance per dimostrare che lui e la sua generazione hanno ancora molto da dare.