Settimana densa di eventi dentro e fuori dal campo. Thiem si conferma più duro del marmo anche su erba, duro come gli italiani in una settimana da favola. Tornano gli specialisti dei prati, torna Lendl con Murray, mentre se ne va per due anni Sharapova … Di FEDERICO MARIANI

Doveva essere una settimana di transizione dalla polverosa terra battuta, che rende spossati anche soltanto a guardarla in tv, alla fresca erba tanto eterea quanto fugace nella sua leggerezza. Uno stacco importante, anche visivo, che però dopo aver archiviato quell’iniziale disorientamento non prometteva nulla di epocale. O meglio, nulla se paragonato alla storica finale vinta da Djokovic a Parigi domenica scorsa e il prossimo torneo di Wimbledon. Una sorta di calma prima (e dopo) la tempesta. Si è, invece, rivelata una settimana fitta di eventi e pregna di significato dentro e fuori dal rettangolo di gioco. Una settimana di addii, sentenze, sorprese, conferme, ritorni di fiamma e soprattutto di gloria finalmente tinta d’azzurro.

 

L’Italia s’è desta!  Doveroso partire dal campo, doveroso partire dagli italiani per una settimana belli e vincenti. Dopo una prima metà di anno che definire nera significa voler essere generosi, arriva una mitragliata di buone notizie in particolar modo da Caltanissetta nella settimana del tanto agognato matrimonio tra Fognini e Pennetta di cui ovviamente non parleremo. Nel Challenger nisseno – il secondo torneo d’Italia stando al prize money (…) – si è imposto Paolino Lorenzi ma soprattutto sono tornate a brillare le stelline più luminose nel firmamento di ciò che sarà il tennis azzurro: Donati e Quinzi. GQ, grazie alla cura di Ronnie Leitgeb, pare aver ritrovato posto nel radar tennistico: due futures vinti consecutivamente e i quarti nel torneo siciliano – impreziositi dalle vittorie contro Clezar e Bagnis – hanno riempito di fiducia e buoni propositi il serbatoio del marchigiano dimostrando forse in modo definitivo che, come sovente accade, si sbagliavano un po’ tutti sul suo conto. Quinzi non è e non sarà un fenomeno, ma non è e non sarà un bidone e francamente va bene così. L’applauso più scrosciante lo merita, tuttavia, Matteo Donati: bravo, anzi bravissimo a centrare addirittura la finale con l’ormai canonico scalpo di Santi Giraldo (3 vittorie su 3 per l’azzurro), la vittoria nel tesissimo derby contro Quinzi e quella in rimonta contro Andreozzi in semifinale. In finale l’alessandrino cede a Lorenzi solamente per 9-7 al tie-break thriller del terzo set dopo aver colpevolmente mancato sei matchpoint. Alla fine vince Paolino timbrando il titolo numero 18 a livello Challenger (che gli vale il sorpasso a Soeda e la terza piazza all time di categoria alle spalle di Lu e Sela) e ritoccando di una posizione il best ranking, il tutto con 35 candeline da soffiare sulla torta il prossimo dicembre. What else? Ah sì, forse qualcosa ci sarebbe. Quando si ammira Federer tagliare il campo e impattare un perfetto dritto in avanzamento che ricalca la riga e bacia l’incrocio, spesso si abusa dell’espressione “ecco questo andrebbe registrato e fatto vedere ai bambini che stanno imparando a giocare”. No, perché quel dritto un normale essere umano può replicarlo soltanto se ha in mano un joystick, mentre ai bambini sarebbe più utile ascoltare un’intervista di Paolino per capire l’umiltà, la passione e la voglia che animano questo splendido ragazzo. Un ragazzo che ha visto i propri limiti e li ha superati soltanto grazie al sacrificio, e che oggi si ritrova nei primi 50 del mondo con davanti solo Federer e Feliciano Lopez tra i nati dal 1981 in poi. Chapeau!

Nella settimana di passione azzurra c’è posto anche per Giannessi, Virgili e Arnaboldi, stavolta Federico e non Andrea. Lo spezzino si è messo in luce sempre a Caltanissetta dove ha centrato la semifinale dopo aver battuto al secondo turno il campione uscente Ymer schiaffeggiandolo con un duplice 6-4. Quel cavallo pazzo di Adelchi Virigili ha invece alzato a Bergamo il primo trofeo da professionista regalando finalmente continuità a un talento spaventoso, ostacolato da millemila infortuni. Adelchi appartiene all’esclusivo club di quei giocatori talmente belli e divertenti che il risultato passa di default in secondo piano, ma vincere banalmente è meglio di perdere e quindi bravissimo Virgili! Il nome nuovo –  o almeno tale per coloro che non cominciano a seguire aspiranti campioni dalle elementari – è quello di Federico Arnaboldi, cugino del (per ora) più noto Andrea. L’Arna minore ha conquistato l’edizione numero 52 del Torneo Avvenire nello storico TC Ambrosiano. Vincere Slam juniores non è sinonimo di futura grandezza, figurarsi un torneo under 16 ma resta comunque un trionfo di prestigio che fa ben sperare se pensiamo che tra i predecessori di Arnaboldi nell’albo d’oro troviamo gente come Lendl, Borg ed Edberg. Mica male.

 

Sentenze, forfait e ritorni di fiamma. Fuori dal campo si è più o meno scatenato il putiferio. Ad aprire le danze ci ha pensato Maria Sharapova, o meglio l’ITF che ha sentenziato sul famigerato caso-Meldonium condannando per due anni la siberiana. I (molti) nemici di Masha si auspicavano la radiazione, i più ottimisti tifosi speravano in una mini-squalifica di 6 mesi che le avrebbe consentito di partecipare alle Olimpiadi di Rio. La realtà sta nel mezzo e francamente è troppo difficile sbilanciarsi sull’equità della pena, una pena che tuttavia potrebbe mutare dato che la Divina Maria ha già detto che tramite il suo squadrone legale presenterà appello al CAS di Losanna. Ecco, se magari il suddetto squadrone di legali avesse letto quella maledetta mail che a gennaio aggiornava sulle sostanze lecite e non, oggi il circuito femminile che è tutto fuorché in salute avrebbe ancora una delle sue attrici principali.

A distanza di pochi giorni dall’annuncio dell’ovvio forfait di Rafa Nadal a Wimbledon, la notizia più intrigante della settimana è il ritorno di Ivan Lendl sulla panchina di Andy Murray. La liaison, interrotta nel marzo del 2014, era stata piuttosto fruttuosa in particolar modo per Andy dato che aveva portato due Slam (gli unici finora) e l’Oro olimpico a Londra 2012 nella bacheca del ragazzo di Dunblane. Il ritorno di fiamma si concretizzerà già dal torneo del Queen’s al via oggi e il binomio Murray-Lendl appare al momento l’unica cosa capace di evitare il Grande Slam di Djokovic (sponda Wimbledon più di New York), quasi inevitabile dopo Parigi.

 

Pioggia, erbivori e Dominic Thiem. La pioggia è il triste filo conduttore che lega il maestoso Philippe Chatrier di Parigi agli intimi e deliziosi campi di Stoccarda, ‘s-Hertogenbosch e Nottingham. Ci sono pochi dubbi e molte certezze. Una di queste è che la pioggia ha scardinato tutte le gerarchie assurgendo ad assoluta mattatrice dei palinsesti e diventando addirittura più molesta del ciclismo, nemico pubblico numero uno dell’appassionato di tennis per la sua perversa abilità di squarciare la programmazione di Eurosport.

L’altra certezza è Nicolas Mahut che nel 250 olandese si conferma campione per la terza volta allungando a quattro titoli il suo palmares, rigorosamente tutti su erba. Bis olandese anche per CoCo Vandeweghe che a ‘s-Hertogenbosch dimostra una volta di più il suo ruolo di specialista dei prati, mentre a Nottingham trova gloria Karolina Pliskova.

I riflettori della settimana restano incessantemente puntati sul talento di Dominic Thiem che, in un mondo senza Djokovic, sarebbe l’uomo-copertina del 2016. L’austriaco ha sviluppato questo simpatico vizietto di non saper perdere, mai. Si pensava, più o meno a ragione, che per caratteristiche tecniche il successo sull’erba gli era precluso, tanto che prima di Stoccarda non aveva mai vinto due partite di fila sui prati. Dominator si è presentato alla Mercedes-Cup  con più di 50 partite sul groppone e ha vinto battendo Kohlschreiber nella finale interrotta ieri e conclusa oggi, uno (il tedesco) che se si giocasse sempre in Germania sarebbe membro dei Fab Four. Ha vinto in rimonta Thiem imponendosi nel terzo set come gli è capitato già 19 volte quest’anno sulle 20 partite protrattesi alla frazione decisiva con tanto di nuova lesa maestà nei confronti di Federer (o quel che ne resta), superato dopo aver cancellato due matchpoint. Che altro dire di Thiem? Poco o nulla, basta lasciar parlare i numeri che spesso sono più forti delle parole: vittoria numero 45 nel 2016, quinto titolo dell’anno su tutte le superfici (e settimo in totale) e quarta piazza raggiunta nella Race con annesso sorpasso a Nishikori e Nadal ormai messo nel mirino. Ah, per riposarsi un po’ la settimana prossima giocherà ad Halle…