Florian Mayer si regala una settimana da Dio nel torneo di Dio Federer. Murray nella storia del Queen’s con 5 titoli. Errani e Vinci scontente e riunite. Krajicek con Wawrinka per Wimbeldon, così come McEnroe con Raonic. Il super-coach serve davvero? … Di FEDERICO MARIANI

di Federico Mariani

 

Mentre tre quarti d’Italia sogna con la Nazionale di Conte, solida e gagliarda come un titolo di stato tedesco, nel lunedì che dovrebbe essere speso per celebrare LeBron James che diventa leggenda coi suoi Cavs, torna sul sito de “Il tennis Italiano” la rubrica semiseria che inizia la settimana raccontando (o provando a farlo) quanto accaduto nella precedente. Stavolta si parlerà ovviamente della favola di Mayer, ovviamente del quinto successo di Murray, ma anche delle Chichis riunite, di Seppi che dopo una vita batte Ferrer e in premio ha un tonfo in classifica, dei super-coach a progetto che ormai fanno tendenza e di (poco) altro.

 

MAYER: SETTIMANA DA DIO NEL TORNEO DI DIO. La copertina della settimana è inevitabilmente dedicata a Florian Mayer. Tra i semifinalisti del Gerry Weber Open di Halle il destino aveva un’ampia gamma di scelta tra la nona sinfonia di Federer col seguito di adulanti folle che si sarebbero strappati i capelli per il ritorno al successo del Migliore. Oppure il primo acuto di Sascha Zverev, all’unanimità il futuro Re del tennis mondiale. Oppure l’ennesima cavalcata trionfale di Thiem, il ragazzo che pare essersi dimenticato come si perde. La quarta chance, certamente più affascinante delle altre, era troppo assurda anche per poter essere ponderata. Il tennis tuttavia, nonostante l’ottusa visione imperante anche in altri sport secondo cui il passato è sempre migliore del presente, è ancora capace di regalare storie romantiche. Impossibile non voler bene al ragazzo di Bayreuth: 32 anni, physique du role dell’impiegato del catasto e un credito lungo così con la buona sorte. Il torneo tedesco, che grazie alla famiglia Weber ha registrato una crescita inarrestabile nel quarto di secolo della sua esistenza fino allo status attuale di Masters 500, per una volta poco lungimirante (facile però parlare dopo!) aveva negato la wild card a Mayer preferendogli Struff (perché?), Brown e Fritz. Florian ha dovuto, quindi, giocare uno dei jolly derivanti dal suo “protected ranking” per bypassare le qualificazioni e approdare nel main draw. Al secondo turno il miliardesimo infortunio di Nishikori gli ha dischiuso la porta dei quarti di finale e da lì è partita una splendida marcia trionfale con gli scalpi di Seppi (finalista uscente) e dell’imbattibile Thiem per sublimarsi infine con la vittoria  contro Zverev. Una vittoria che, dopo il secondo set arpionato dal campioncino teenager con tanto di due matchpoint cancellati, pareva essere diventata una bellissima e crudele illusione. Mayer riesce a invertire nuovamente l’inerzia e rimandare la prima festa del ragazzino che tra poco vedremo sedere sul trono più alto del tennis. Il 6-3 finale col quale il tedesco sigilla la finale è un parziale risarcimento per l’uomo prima ancora del giocatore. Mayer è espressione di una diversità tecnica che custodisce gelosamente: gioca smorzate a due mani in salto, al trionfo moderno del top spin risponde con un campionario di colpi piatti, votati quasi esclusivamente all’offesa. E’ meravigliosamente scoordinato, o almeno così appare a un occhio distratto. Nella cittadina sperduta della Vestfalia che per sette giorni all’anno (forse non solo) respira per Federer – qui molto più simile a una divinità che a un giocatore tanto da intitolargli una via – Mayer si regala una settimana da Dio e l’hurrà più grande, quello che si merita l’abusata dicitura “vale una carriera”.

A proposito di Federer, anche Halle conferma il progressivo stato di impotenza di Mister-17 Slam già palesato a Stoccarda. Roger perde ancora in semifinale, ancora dopo aver dato la sensazione di poter portare a casa la partita, ancora contro un rappresentante della next generation. Dopo Thiem è toccato a Zverev cogliere lo scalpo del più forte giocatore sui prati. Un giocatore che forse oggi inizia a scorgere all’orizzonte lo spauracchio di un’inevitabile capolinea. Nell’intervista-fiume rilasciata al Guardian Roger ha sostanzialmente detto di non curarsi di vittorie e sconfitte, di voler continuare per amore del Gioco e per puro divertimento. Uno Slam manca da quattro anni e mai ritornerà, le premature uscite di scena stanno diventando una triste abitudine e forse per la prima volta il tanto agognato ricambio generazionale sta acquistando tinte minacciose. Difficile capire fino a che punto Federer possa divertirsi così, ma la psiche dei campioni è talmente complessa e arzigogolata che a dare giudizi si cade quasi sempre in errore. La sensazione attuale (e, quindi, l’errore) è che siamo arrivati agli ultimi giri.

Accanto a Mayer e più di Federer, vale menzione anche Andy Murray bravo, anzi bravissimo, a trionfare per la quinta volta al Queen’s diventando primatista nella storia del torneo più simile all’antipasto di Wimbledon. Rientro vincente, dunque, per Ivan Lendl con tanto di vittoria in finale contro il novello tandem Raonic-McEnroe, pericolosissimo in vista dei Championships. Il ragazzo di Dunblane ripiglia per i capelli un match che la ragione aveva bollato come 'finito' visto che il bombardiere canadese veleggiava algido verso la vittoria, forte del 7-6 3-0 di vantaggio e con un torneo alle spalle che mai lo aveva visto perdere il servizio. Andy però è uno durissimo a morire e con parziale mortifero di 8-1 gira la finale sigillando il successo numero 37 della carriera che conferma ambizioni per nulla velate in attesa di Wimbledon.

 

SUPER-COACH A PROGETTO. Se Murray – assoldando Ivan Lendl – ha dato il la al fenomeno dell’ex campione sulla panchina dei campioni (o presunti tali), la tendenza che si sta sviluppando recentemente si è evoluta e  prevede ora fantomatiche collaborazioni a termine o, meglio, a progetto. È notizia di questa settimana l’assunzione di Richard Krajicek perpetrata da Stan Wawrinka in vista di Wimbledon, l’ultimo big in ordine temporale a mettersi nelle mani di un ex campione. Chi sta diventando un vero specialista di tale pratica è Milos Raonic che durante il Roland Garros aveva reso nota la partnership con niente di meno che John McEnroe, per la prima volta nei panni di coach o simili. Oltre a Riccardo Piatti, il bombardiere canadese ha già a libro paga Carlos Moya per la stagione sul rosso e ora SuperBrat per l’erba. Per lo swing nordamericano su cemento fossi in Agassi starei all’erta. Archiviate facili battute e messo da parte per un attimo il prestigio di poter lavorare gomito a gomito con leggende del Gioco, è  sciocco ritenere che McEnroe possa trasferire il suo folle talento o il gioco di rete a qualcun altro. E l’esempio del campionissimo americano vale pressoché per tutti. Non è attuabile la successione logica “devo migliorare il servizio, quindi inizio a collaborare con un bombardiere” e via dicendo. Il pensiero di Federer, invece, è a ben vedere più solido e assennato. L’elvetico non cominciò a collaborare con Edberg  perché questi gli migliorasse la volée di rovescio, ma in quanto riconosceva nella figura – che in adolescenza rappresentava il poster in cameretta – l’autorità necessaria a convincerlo a modificare il suo gioco, nella fattispecie a incrementare l’aggressività, accorciare gli scambi per allungare la carriera. Non ci voleva certamente un genio per dire a Federer che, con quel quintale e mezzo di talento, sarebbe stato fruttuoso e opportuno trovare più spesso la via della rete, ma sicuramente ci voleva Edberg per convincere Roger a mettere in pratica ciò che tutti pensavano. Spesso, anzi facciamo sempre, il recepimento del messaggio dipende dal messaggero e della considerazione che il destinatario ha di questo.

 

ERRANI-VINCI, RITORNO SENZA FIAMMA. Dopo una settimana scoppiettante, quella che ci apprestiamo a raccontare è invece piuttosto piatta, scialba. Dal campo arriva la sola notizia della vittoria di Andreas Seppi contro (il fu) David Ferrer. Una vittoria a suo modo storica per il tennis azzurro che contro l’iberico aveva raccolto 38 k.o. consecutivi con Fognini, Bolelli, Lorenzi, Volandri e (prima di questa settimana) Seppi incapaci di batterlo in 29 incontri. La corsa del kid di Caldaro si è però arrestata nei quarti contro un Mayer versione deluxe da 16 ace (career high come dicono dall’altra parte dell’Oceano). Una sconfitta che, unita alla finale raggiunta dodici mesi fa, vale a Seppi un tonfo importante in classifica che lo spedisce fuori dai primi 50. Male!

Se in campo c’è penuria risultati degni di nota – con anche il Challenger di Perugia che regala una finale decisamente dimenticabile tra Kicker e Rola con il solo Cecchinato tra gli azzurri in vita fino ai quarti i finale – la notizia più eccitante arriva fuori dal rettangolo di gioco. Tramite il presidentissimo del Coni Giovanni Malagò, si è riunificata la coppia d’oro del tennis azzurro in vista di Rio: Errani e Vinci giocheranno il doppio per la gioia (?) di tutti. Era obiettivamente la soluzione più logica e comoda, per quanto possa essere logico e comodo riaccoppiare forzosamente due che neanche si guadano più in faccia, ma tant’è seppur a collo storto le Chichis restano l’unica speranza di medaglia per il tennis italiano.