da Wimbledon, Daniele Rossi – foto Getty Images
Questa volta l'esultanza è prima rabbiosa, poi totalmente commossa. Andrew Barron Murray da Dunblane è campione di Wimbledon per la seconda volta. Un trionfo che non sarà stato anelato e che non verrà celebrato come quello storico del 2013, ma che forse ha ancora più valore, visto che – come si dice – vincere la prima volta è difficile, ma farlo la seconda è ancora più difficile.
Lo ha fatto giocando una finale praticamente perfetta, in tutte le zone del campo, senza lasciarsi andare, neanche per un secondo a nervosismo od emozione. Milos Raonic ci ha provato, ha combattuto e fatto il meglio che poteva con le sue armi, ma il Murray di oggi sarebbe stato un avversario quasi impossibile per chiunque.
E se ieri nella finale femminile il servizio di Serena ha sgretolato la difesa della Kerber, oggi la risposta di Murray ha neutralizzato il servizio di Raonic. La risposta di Andy è stata mostruosa oggi: non importava quanto il canadese tirasse forte o angolato, la palla tornava sempre indietro.
Cielo grigio, vento, qualche raggio di sole ma niente pioggia: tetto aperto e Centrale ribollente di entusiasmo per il britannico. Le difficoltà al servizio di Raonic sono palesi fin da subito, tanto che deve già annullare una palla break nel secondo turno di servizio. Il break però arriva nel fatidico settimo gioco: Raonic sul 30-40 deve giocare una seconda, attacca a rete ma affonda la voleé di diritto in rete. Murray non rischia niente sui suoi turni di battuta e chiude il primo set per 6-4 in 41 minuti.
Il copione si ripete nel secondo set; Raonic annulla palle break nel primo gioco, nel settimo e nel nono, prolungando la contesa al tie-break: qui Murray ingrana la marcia giusta, mentre Milos combina un disastro dietro l'altro. Lo scozzese scappa sul 6-1 e chiude per 7-3.
Nel terzo set ci si aspetta da un momento all'altro il crollo di Raonic, ma il numero 6 del seeding dimostra più volte di avere carattere da vendere.
E' infatti lui a guadagnarsi le uniche due palle break del set sul 2-2. Murray annulla la prima con un servizio in slice, mentre sulla seconda manovra lo scambio fino a raccogliere l'errore di rovescio dell'avversario.
Le occasioni perse non demoralizzano Raonic che in questo set ha decisamente aumentato il suo rendimento al servizio. Si decide tutto ancora ai 7 punti: Murray ottiene subito due minibreak grazie ad un passante di rovescio e ad una stecca di diritto di Raonic. E' lo strappo decisivo: Murray chiude al secondo match point, quando un rovescio di Milos si spegne in rete.
Centre Court in visibilio, Murray esulta rabbiosamente, poi si lascia andare alla commozione. Mamma Judy, per prima cosa, abbraccia Ivan Lendl.
E' stata una finale interessante anche se non particolarmente bella dal punto di vista estetico. Murray è stato eccezionale: il numero che provoca la maggiore impressione è quella degli errori non forzati, solamente 12.
Raonic può avere poco da rimproverarsi, se non la percentuale di prime palle messe in campo (64%), ma con un 'returner' del genere era quasi impossibile fare di meglio. Nonostante tutto ha perso il servizio solo una volta in tutto il match. Ha scagliato solo 8 ace (contro una media di 25 a partita nel resto del torneo), ma il merito è di Murray piuttosto che demerito suo.
Ha giocato – o almeno ci ha provato – tanti punti a rete (alla fine saranno 74), cercando di evitare, giustamente, lo scambio da fondo. La mano però non è certo quella del suo mentore McEnroe: tanti i rovesci in back scappati di metri o voleé non certo impossibili buttate in rete. Raonic ha comunque dimostrato di avere potenziale, ambizione e personalità per spezzare il monopolio dei Fab Four nei prossimi anni
Nel frattempo però la coppa dorata torna meritatamente nelle mani di Andy Murray, che ha saputo reggere ogni tipo di pressione a cui è stato sottoposto. E' lo zampino di Ivan Lendl? Tre Slam su tre (più oro olimpico) con lui al suo angolo. Come ha detto lo scozzese 'Di sicuro, non è una coincidenza…'
FINALE UOMINI
A. MURRAY b. M. RAONIC 6-4 7-6(3) 7-6(2)