Di Federico Mariani – foto Atp Umago
In Italia basta una settimana per nascere e morire, e il tennis non fa certo eccezione. Abbiamo una naturale capacità di passare con nonchalance dalla più feroce delle critiche alla celebrazione in pompa magna, sbagliando praticamente sempre nell’una e nell’altra. Sono stati sette giorni intensi per l’Italtennis, sette giorni in cui appunto si è morti prima e rinati poi. Dalla nefasta disfatta pesarese in Davis e dalla squalifica shock di Marco Cecchinato si è passati a una doppietta dal sapore storico prima con Paolino Lorenzi a Kitzbuhel, poi con Fognini a Umago. Si nasce, si muore, si risorge ma soprattutto si esagera.
PAOLINO TVB. In questa rubrica si critica spesso, con leggerezza e umorismo, divertendosi e (si spera) divertendovi. Siamo dei democratici della critica perché il bersaglio di turno può essere Federer così come Facundo Arguello, poco importa. C’è, tuttavia, un unicum che riguarda un giocatore verso il quale tutti gli italiani dovrebbero per dovere morale essere schifosamente faziosi. Parliamo ovviamente di Paolino Lorenzi che, con 35 candeline da soffiare sulla torta il prossimo dicembre, s’è tolto a Kitzbuhel il più grande sfizio della carriera, quello di vincere un torneo Atp, ragionevolmente un’utopia fino a qualche tempo fa. Saremmo ipocriti se non ricordassimo lo scarso campo di partecipazione e l’innegabile fortuna che ha baciato il senese nell’affrontare durante il suo cammino fino alla vittoria appena un giocatore classificato nei primi 100 del mondo (Struff, 86). Saremmo ipocriti anche se non ricordassimo la disastrosa prova offerta dal finalista Basilashvili (123 Atp) capace di macchiare la sua prima finale nel tour maggiore con oltre 40 errori gratuiti. Va ricordato e registrato tutto, ma sarebbe ancora più giusto per una volta estrapolare dal contesto la vittoria e sublimarla cogliendone gli aspetti più pregni di significato che esulano dalla fortuna, dagli avversari o dall’epidemia di teste di serie. È una vittoria eroica quella di Paolino, una vittoria morale, il giusto premio per chi ha avuto (e ha) l’umiltà di colmare l’evidente carenza di mezza tecnici che lo status di top50 impone di avere con una dose sconfinata di lavoro e abnegazione. Lorenzi è l’incarnazione di come deve lavorare uno sportivo. Dove non arriva il talento, può arrivare il fisico, la tattica, l’intelligenza, la programmazione. Se questo vuol dire svernare in Sudamerica per vincere Challenger o approfittare di questa porzione di stagione sul rosso europeo tradizionalmente avara di grandi nomi, beh chissenefrega! Oggi il ranking di Paolino dice 41, di fatto una follia se ci limitassimo ad apprezzare il dritto, il rovescio o il servizio. Purtroppo, anzi per fortuna, questo sport che ci fa impazzire è la risultate di tantissime componenti e Paolo Lorenzi eccelle in quasi tutte, soprattutto quelle umane per chi ha avuto la fortuna di intervistarlo o semplicemente scambiarci due parole di sfuggita.
QUANTA BELLEZZA FABIO. Per un contorto scherzo del destino – sempre il più forte in cabina di regia – a poco più di ventiquattr’ore di distanza dal primo acuto Atp di Lorenzi, risponde sponda Umago Fabio Fognini che dopo una cavalcata trionfale alza il quarto trofeo della carriera a più di due anni di distanza dal terzo. Un bis azzurro nella stessa settimana è una roba che non si vedeva da tempo immemore (1977 per l’esattezza) ed è quantomeno curioso che tutto ciò sia coinciso nella settimana che segue la sconfitta in Davis. A tal proposito si è già messo in moto il carosello-Fit che gonfia il petto della Federazione e dà un ideale colpo di spugna alla disfatta pesarese che ormai pare un pallido ricordo. Sembra quasi di vederli col ghigno dipinto in volto Binaghi & Co. e con un’aria simile a quella di Galliani quando dice “Siamo a posto così”. Sul sito della suddetta Federazione campeggia già un articolo a firma “illustre” che magnifica (giustamente) sulle gioie azzurre della settimana, ma parla anche di “effetto Davis” e della nazionale come “elisir per i successi nel tour”, eppure siamo abbastanza convinti di aver perso contro l’Argentina, oppure siamo masochisti al punto di aver bisogno delle scoppole per fare bene? Ovviamente no. Tornando a parlare di quanto avvenuto in campo – che poi è ciò che conta – non si può che tessere le lodi di Don Fabio, impeccabile nella gestione di un tabellone fortunato e letale nel rush finale del torneo, elemento tutt’altro che banale e tutt’altro che sottovalutabile soprattutto per un giocatore meraviglioso come il ligure nel riconoscere le grandi occasioni e lasciarsele scappare. Quando però Fogna è ispirato, voglioso, sereno, tranquillo (sceglietene uno) e quando si schiera assieme e non contro il suo talento, quello che ne viene fuori è spettacolo puro. Il ragazzo di Arma di Taggia ha una capacità di generare colpi vincenti e di produrre arte con la racchetta in mano che pochi, pochissimi hanno. L’uomo che sta dietro il giocatore può piacere o meno (più la seconda), ma sul talento dobbiamo essere tutti d’accordo tanto è abbacinante. In finale Fognini ha scherzato Andrej Martin, la cui presenza in un ultimo atto Atp è più sorprendente del Leicester campione d’Europa, senza mai concedere neanche una misera palla break. Il secondo set della finale col povero slovacco si è trasformato inesorabilmente in uno show, un saggio di tutti i colpi del repertorio, una roba che raramente si vede anche a questi livelli.
Dato che il nostro Paese è permeato da un perverso amore per il dualismo, uno spasmodico bisogno di estremismi, da una parte ora ci saranno i detrattori a oltranza che snobberanno i successi di Lorenzi e Fognini tacciandoli di essere arrivati in tornei di seconda categoria, dall’altra i paladini della Federazione sfrutteranno la settimana di grazia per archiviare la Davis nel dimenticatoio e gridare la bontà del movimento. La verità, manco a dirlo, sta nel mezzo.
RESTO DEL MONDO. Anche se Kitzbuhel e Umago, per forza di cose, hanno catalizzato l’attenzione di noi provincialotti italici, è giusto rimarcare cosa è successo altrove anche perché le notizie che arrivano dagli altri tornei hanno del clamoroso. Non se ne è accorto nessuno, ma questa settimana si giocava anche a Gstaad dove niente di meno è arrivato l’acuto di Feliciano Lopez, primo hurrà su terra e settimo in totale. Ancor più fragorosa del successo di Feli è la finale raggiunta da Robin Haase, cose dell’altro mondo.
Dall’altra parte dell’Oceano altra sorpresa: ha vinto Gael Monfils! Una vittoria che ha dello straordinario innanzitutto per la conclamata tendenza a perdere le finali del parigino (19 perse e 5 vinte prima di ieri), e in secondo luogo per la modalità con la quale si è configurata. Ivone Karlovic, infatti, ha servito per il titolo sul 7-5 5-4 e nel decimo game ha subito il primo break dell’intero torneo nel momento meno opportuno e dopo 70 turni di battuta difesi magistralmente. Il Gaelico, rinfrancato da un regalo ormai insperato, ha vinto per 8-6 il tie-break annullando un matchpoint per poi imporsi nel terzo set. Si tratta del primo titolo di categoria “500” per Monfils che ora potrà allegramente rituffarsi in quel letargo fatto di infortuni o presunti tali fino al prossimo exploit.
Vorremmo parlare anche della Wta, ma è finito l’inchiostro. La settimana appena iniziata, invece, sarebbe importante sulla carta ma non praticamente visto che per la Rogers Cup di Toronto si sono cancellati sostanzialmente tutti tranne Djokovic, quindi già sappiamo la foto da scaricare e preparare per la copertina del prossimo appuntamento con la rubrica del lunedì.