di Federico Mariani – foto Getty Images
Dopo un mese abbondante di (immeritato) riposo, la rubrica del lunedì torna ad allietare l’inizio settimana dei lettori de “Il tennis italiano” che sarebbe, altrimenti, tremebondo. Nel mezzo ne sono successe di cose nel mondo dei nostri eroi con racchetta, sulle quali tuttavia sorvoleremo per pigrizia e per concentrarci sugli Us Open, ultimo Slam targato 2016 appena trasmesso agli archivi. È stato un torneo bruttino, strambo, a tratti fantozziano, ma con un epilogo discreto e difficilmente pronosticabile in principio. Nel femminile tutto era apparecchiato per il settimo sigillo di Serena Williams, con tanto di soprasso a Steffi Graf dopo il pareggio a quota 22 colto a Wimbledon. Palo! Nel maschile, invece, due erano gli invitati al banchetto finale – i dominatori stagionali Nole Djokovic e Andy Murray – accreditati perfettamente alla pari da bookmaker, esperti, giornalisti e fattucchiere. Altro palo!
THE MAN. Tra i maschietti l’hurrà più grande arriva dal faccione paffuto di Stan Wawrinka. The Man ha fatto saltare il banco vincendo il terzo Slam in carriera, alla terza finale, in tre anni consecutivi, in tre posti diversi e sempre battendo il numero uno nell’atto conclusivo. Che dire? Ormai la tattica di Ciccio-Stan è palese: il rossocrociato va in letargo per una decina di mesi l’anno raccogliendo qua e là prestazioni ai limiti del ridicolo, per poi destarsi all’improvviso dal torpore e intascarsi un Major. Bazooka armato gentilmente donatogli da Madre Natura, ditino portato alla tempia per ricordare il luogo dove si vince (e si perde) in questo Gioco, e andiamo a comandare. Queste sono le avvisaglie del Wawrinka in versione Stanimal.
Vittima sacrificale dell’elvetico in finale è nuovamente Novak Djokovic, ormai triste habitué di finali perse con 9 disfatte su 21, troppe per chi mira a diventare leggenda. Del resto, il campione di Belgrado è arrivato all’ultimo giro senza che nessuno si accorgesse della sua presenza, un po’ per un tennis tutt’altro che esaltante (eufemismo!), un po’ per colpe non sue. Il cammino a Flushing Meadows del serbo ha ricordato una di quelle parodie americane di serie B: un forfait (Vesely), due ritiri (Youzhny e Tsonga) e un pagliaccio in semifinale (chi se non Monfils?!).
Di tutt’altro tenore la marcia di Wawrinka che al terzo turno ha dovuto cancellare un matchpoint al tie-break del quarto set contro un meraviglioso Daniel Evans con una volée incrociata e poi piazzare sull’8-8 un ace con la seconda di servizio che ha baciato l’incrocio esterno delle righe. Da quel precipizio, Stan si è rialzato e ha concluso il torneo in crescendo superando Del Potro nei quarti e Nishikori in semi. Ecco, proprio il giapponese ha firmato la partita più spettacolare del torneo battendo in cinque set selvaggi Andy Murray, per molti addirittura il favorito numero uno per il titolo. Il piccolo Kei merita tuttavia una nota di compassione: dopo essere riuscito nell’impresa di perdere una finale Slam contro Cilic proprio a New York, il nipponico dal tennis brillante e ma dalla personalità sonnolenta ha mancato un’altra enorme chance per il fatidico salto di qualità, rinviando un alloro che probabilmente mai arriverà. Nishikori per un’ora ha stordito Wawrinka in semifinale facendosi interprete di un tennis paradisiaco. Poi? Poi si è ricordato di essere Nishikori, ha buttato alle ortiche il secondo set, ha regalato il terzo set ed è sparito nel quarto.
A livello di compassione, Kei si pone appena sotto a Gael Monfils, re indiscusso di categoria. Dopo cinque partite da tennista – condite da altrettante vittorie senza perdere alcun set – LaMonf per la serata di gala della semifinale contro un Djokovic ombra di se stesso (eufemismo-bis!) ha ben pensato di tornare a indossare i panni del clown animando la serata con colpi privi di senso, dritti choppati, dropshot inutili e via discorrendo alla faccia di un’occasione colossale e forse irripetibile e, vale la pena sottolinearlo, davanti a un pubblico pagante nello stadio di tennis più grande del mondo. Ma tant’è, se Fognini dovesse comportarsi così verrebbe tacciato di maleducazione (a ragione), mentre se a farlo è Monfils è un istrione. Opinioni!
ANGIE UBER ALLES. In un sol colpo Angie Kerber centra il bersaglio grosso, batte una favolosa Karolina Pliskova in finale e detronizza Serena Williams riportando la Germania in cima al mondo dopo i fasti ormai impolverati di Steffi Graf. È un successo giusto quello della ragazzona di Brema, così come è strameritata la leadership mondiale, a suggello di un’annata monstre con due Major in bacheca più una finale persa a Wimbledon. Certo è che, con tutto il rispetto, se Kerber è la giocatrice più forte del mondo – e lo è, quantomeno per continuità – qualche domandina sulla qualità e la salute del circuito Wta ce la dovremmo porre. In finale è arrivata Karolina Pliskova, giustiziere di Serenona in semifinale. La ceca, emotivamente esaltante come una scarpiera, stava percorrendo un cammino che ricordava molto da vicino la marcia trionfale newyorkese di Marin Cilic versione 2014, mollando però sul più bello, affossata dalla granitica solidità di Kerber.
La tedesca da oggi guida, dunque, il baraccone Wta in una top-ten con tre americane, con Venus che salta al numero 7 e con Pliskova al numero 6. Come è facile intendere, l’incertezza sul futuro di vertice regna sovrana e forse a qualcuno piace così.
NON È UN PAESE PER GIOVANI. Chiudiamo col solito pensiero rivolto ai nostri colori, stavolta in un’accezione più patriottica del solito. Partiamo col dire che tutte le sconfitte azzurre sono arrivate seguendo il pronostico, ovverosia nessun italiano ha perso partendo favorito. Si legge in giro di molta delusione per la spedizione azzurra – tolti Lorenzi, Vinci e l’esordiente Giannessi chiaramente – ma sarebbe più onesto regolare le aspettative al valore dei nostri e a quello degli avversari. Seppi, Fognini e Giannessi sono approdati al secondo turno perdendo rispettivamente contro Nadal, Ferrer e Wawrinka, mentre Fabbiano è stato eliminato da Khachanov. Paolino Lorenzi ha disputato un torneo da cineteca battendo Simon in cinque set e arrendendosi soltanto al terzo turno contro Murray non dopo avergli rubato un set. Dopo la vittoria a Kitzbuhel e la palma di numero uno azzurro qui sulla rubrica avevamo chiesto alla Fit di erigere una sua statua a Tirrenia come monito per i giovani. Bene, ora ne servirebbero due.
Tra le donzelle, solita carrellata di sconfitte all’esordio tra Errani, Knapp, Giorgi e Schiavone, e fari puntati ancora su Robertina Vinci. La tarantina torna sul luogo del delitto – che dodici mesi fa le valse una vittoria epica contro Serena e un posto nel libro di storia per la finale italianissima assieme a Pennetta – e sfruttando un tabellone da sogno arriva fino ai quarti di finale prima di arrendersi proprio a Kerber.
Se i miglior risultati dalla Grande Mela sono arrivati da Lorenzi (anni 35 a dicembre) e Vinci (anni 33 e forse prossima al ritiro) possiamo affermare serenamente (sic) che anche nel tennis l’Italia non è un paese per giovani.