Devin Britton era una grande promessa del tennis americano. Nel 2009 ha giocato con Federer, ma poi è scomparso. Oggi gioca le qualificazioni dei Futures. DI RICCARDO BISTI
Devin Britton contro Roger Federer allo Us Open 2009
Di Riccardo Bisti – 2 febbraio 2012
I miti fanno in fretta a crearsi, ma anche a sgonfiarsi. Devin Britton è un ragazzone del Mississipi che tre anni fa era una delle più grandi promesse del tennis americano, disperatamente a caccia di fenomeni. Nel 2008 ha raggiunto la finale allo Us Open junior, perdendo da Grigor Dimitrov. L’anno dopo è diventato il più giovane campione NCAA di sempre, battendo persino il record di precocità di John McEnroe. La wild card per lo Us Open e la buona figura contro Federer lo convinsero ad abbandonare l’Università e a diventare professionista. Poteva essere il trampolino di lancio verso un’ottima carriera. Invece Devin non ce l’ha fatta, almeno fino ad oggi. Juan Ignacio Ceballos di ESPN Deportes l’ha scovato nelle qualificazioni del torneo Future di Città del Messico, in corso sui campi del Club Berimbau. Numero 714 ATP, il suo nome era mischiato a quelli di altri 63 ragazzi a caccia di punti-ossigeno. Ce l’ha fatta, ed ha anche passato un turno nel tabellone principale, dove se la vedrà con il brasiliano Augusto Laranja (n. 699 ATP), entrato in tabellone come lucky loser. Insomma, è una buona chance per andare avanti. Britton è andato in Messico da solo, consapevole del fatto che nessuno lo considera più una promessa. “Sto attraversando un momento duro – ha raccontato a Ceballos – speravo che l’approdo tra i professionisti andasse bene, invece il passaggio mi sta costando molto”. Nel 2009 ha firmato per Octagon, una delle più importanti società di management sportivo, principale competitor della IMG, che gli garantì un buon numero di wild card. Non solo l’Open degli Stati Uniti: grazie ai buoni uffici Octagon, ha potuto giocare in diversi tornei ATP: San Josè, Newport, Washington, Los Angeles, il Masters 1000 di Cincinnati, New Haven…ma il ranking restava sempre lì, lontanissimo dai migliori e buono solo per i tornei Futures. Oggi è fuori dai top 700, ma non è mai andato oltre la 647esima posizione, raggiunta lo scorso 22 agosto.
“Quando sono uscito dal college ho esagerato. Ho giocato più di quanto avrei dovuto. Erano tornei importanti, ma perdevo sempre. La differenza principale tra il tennis universitario e quello professionistico è a livello fisico. C’è una differenza impressionante. I professionisti possono restare in campo tutto il giorno”. Da allora sono passati due anni, e di Britton ci si è dimenticati rapidamente. Le wild card non arrivano più, il contratto con K-Swiss è scaduto e la stessa USTA non lo supporta più economicamente. Più che battere Raul Mendez, Andres Maynez Menendez e Mauricio Astorga, pensa a trovare uno sponsor che lo aiuti a proseguire l’attività. “Il tennis è uno sport molto costoso, e la mia famiglia non può aiutarmi più di tanto”. Oggi Britton sembra essere uno dei tanti elementi della “Generazione Perduta” del tennis americano, brutalmente messa a nudo qualche giorno fa da USA Today. In effetti è in buona compagnia: quanti si ricordano di Brendan Evans, Scoville Jenkins, Scott Oudsema (tornati a studiare dopo aver fallito con la racchetta)? Oppure di Alex Kuznetsov, Philip Simmonds e Nikita Kryonos, lontanissimi dalle posizioni di vertice? In questi casi, purtroppo, il mal comune non è mezzo gaudio. USA Today ha posto l’accento sui tre fattori che hanno massacrato questa generazione: soldi facili, l’aggressività degli agenti e l’esempio delle generazioni precedenti. Tutto questo avrebbe fatto si che i giocatori scambiassero l’ambiente del tennis professionistico con quello del tennis universitario, molto più “easy”.
Britton ha letto l’articolo e lo condivide. Fa anche autocritica, riconoscendo che forse sarebbe stato giusto restare all’Università anziché buttarsi subito nel tour. “Forse sarebbe stato meglio così, ma ormai è inutile guardarsi indietro. Di certo, se dovessi dare un consiglio a un giovane, direi che è più importante costruirsi progressivamente il proprio gioco. Non è necessario diventare subito professionisti”. Per ora, il miglior ricordo di una carriera miseramente priva di titoli resta la partita contro Roger Federer sul campo centrale dello Us Open. Il suo ex agente, Kelly Wolf, lo chiamò per dirgli che era stato sorteggiato contro Federer. Pensava che fosse uno scherzo, invece era tutto vero. “Quando ripenso a quella partita, la prima cosa che mi viene in mente è l’enorme quantità di pubblico. Ero molto nervoso, all’inizio pensavo solo a non cadere per terra”. In realtà fece una bella figura, strappando il servizio a Federer in due occasioni, salendo anche 3-1 nel secondo set. Alla stretta di mano, lo svizzero gli fece gli auguri per una buona carriera. Prima di quel match, alla vigilia del torneo, ebbe l’opportunità di allenarsi con Rafa Nadal (“Ma non gli ho chiesto consigli, abbiamo uno stile di gioco molto diverso” disse nella lunga conferenza stampa post-match). Dopo il 6-1 6-3 7-5 contro Federer gli chiesero dei suoi obiettivi di classifica. Disse: “Non ho pianificato particolari obiettivi. Devo solo sviluppare il mio tennis e lavorare sugli aspetti in cui ho maggiormente bisogno. La classifica, penso, arriverà nei prossimi due anni”. I due anni sono passati, ma la classifica è ancora lì. Chissà se troverà la forza di staccarsi dalla “Generazione Perduta”.
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