Deflafgra la discussione sulle perdite di tempo tra un punto e l’altro. Federer e Nadal la pensano diversamente, mentre qualcuno propone lo “shot clock” come nel basket.
Il cronometro sopra il canestro delimita il tempo entro cui le squadre di basket devono effettuare il tiro
Di Riccardo Bisti – 9 marzo 2012
Cinque ore e cinquantatre minuti sono un’eternità. E’ la durata della finale dell’Australian Open tra Novak Djokovic e Rafael Nadal, la più lunga nella storia del Grande Slam. Però uno studio di ESPN (e ripreso da TennisBest) aveva dimostrato che i due avevano sistematicamente violato il tempo limite tra un punto e l’altro, che negli Slam dovrebbe essere di 20 secondi (mentre nei tornei ATP è di 25: grave incongruenza, secondo noi). Se Rafa e Nole avessero rispettato le norme, il match sarebbe durato 70 minuti in meno. I respiri profondi, il continuo ricorso all’asciugamano, gli infiniti rimbalzi della pallina prima di servire hanno sollevato un vaso di pandora tra giocatori, appassionati e addetti ai lavori. E’ giusto che una regola venga sistematicamente violata? Il primo a parlarne è stato Roger Federer. “Penso che gli arbitri siano troppo elastici – ha detto lo svizzero – non so come si possa fare giocare 4 ore contro Rafa Nadal e non incorrere in nessun time violation”. Ovviamente Nadal non è d’accordo. Interpellato sullo stesso argomento, ha detto: “Non possiamo aspettarci di giocare una partita di 6 ore a ritmi folli e scambi pazzeschi con solo 20 secondi di riposo tra un punto e l’altro. Se l’arbitro richiama i giocatori va bene, bisogna adeguarsi. La regola c’è, ma per come la vedo io è importante soprattutto l’interpretazione dell’arbitro. In condizioni normali possono essere sufficienti 15 secondi tra un punto e l’altro, ma bisogna anche capire come si sviluppa la partita…e questo è il ruolo dell’arbitro. In carriera ho ricevuto un sacco di richiami e li ho sempre accettati. Fa parte del gioco e bisogna rispettare le regole, ma non bisogna mettere i paraocchi”.
Hanno entrambi ragione. Da una parte è assurdo (ridicolo?) che una regola presente nei “Rulebook” di ATP e ITF venga sistematicamente disattesa. Il tennis ci fa una pessima figura. Dall’altra ha ragione Nadal: non si può paragonare il servizio vincente sull’1-1 nel primo set allo scambio estenuante sul 4-4 al quinto. E’ evidente che il secondo richiede più tempo per recuperare. Anche Roddick la pensa come Nadal: “Il compito dei giudici di sedia è quello di arbitrare, la responsabilità è loro. Se i giocatori si prendono troppo tempo non è colpa loro, ma di chi glielo consente”. Roddick, al pari di Federer, è piuttosto veloce tra un punto e l’altro, soprattutto nei turni di servizio. Il suo leggendario match contro Younes El Aynaoui all’Australian Open, finito 21-19 al quinto, durò meno di 5 ore. Qualcosa vorrà pur dire. In verità, il problema non è particolarmente sentito dagli ufficiali di gara. Djokovic e Nadal a parte, non sono molti i tennisti “perditempo”. E’ l’opinione di Enric Molina, responsabile degli ufficiali di gara per conto dell’ITF. “La ragione per cui tutto questo è diventato un problema è che due o tre dei top players sono più lenti rispetto agli altri giocatori”. Secondo lui, tuttavia, esistono i margini per un miglioramento. “Mentirei se dicessi che ogni partita si svolge regolarmente”. Qualcuno ha paragonato questo problema a quello del “grunting” nel tennis femminile, perché entrerebbe in ballo una certa soggettività. Non siamo d’accordo: il grunting non è codificato dal regolamento, ma rientra nel calderone dei “disturbi intenzionali”. Lo si può considerare fastidioso o meno. Il tempo tra un punto e l’altro è un dato oggettivo. O lo rispetti o no. O sei dentro o sei fuori.
Prendersi troppo tempo è antisportivo. Consente di recuperare fisicamente oltre le regole, e magari fa perdere il ritmo all’avversario. Alcuni giocatori sono convinti che i top players ricevano un trattamento di favore. Michael Russell fa il “sindacalista” e dice: “Se provassi a fare la stessa cosa riceverei un warning che a qualcun altro sarebbe dato perdendo 10 secondi in più”. Il giovane Ryan Harrison, classe 1992, concorda sul fatto che esiste più tolleranza per i migliori, ma che “i più forti si sono guadagnati questo diritto”. Discutibile, anche perché il baby americano si è lamentato per aver subito un warning per perdita di tempo dopo uno scambio di 42 colpi contro Andy Murray all’Australian Open. Alcuni giocatori sarebbero favorevoli all’introduzione di uno “shot clock” come avviene nel basket. Appena termina un punto, parte il cronometro all’indietro e bisogna riprendere il gioco prima che scada il tempo. I più entusiasti sono Roddick, Russell e Ginepri. “Penso che sarebbe una buona idea – ha detto Ginepri – abbiamo tanta tecnologia, perché non sfruttarla anche per questo?”. Uno “shot clock” avrebbe il pregio e il difetto della rigidità. Le regole sarebbero uguali per tutti, ma il tennis è uno sport pieno di variabili: l’applauso della gente, il ritardo dei raccattapalle, le condizioni atmosferiche, la durata degli scambi…Gayle Bradshaw, vicepresidente esecutivo dell’ATP nel campo dei regolamenti, dice: “A volte 20 secondi sono più che sufficienti, ma in altre occasioni 25 non bastano”. Qualcuno pensa che il tennis moderno, così fisico, abbia bisogno più tempo tra un punto e l’altro, mentre Molina dice che potrebbero bastare addirittura 15 secondi. Ad ogni modo – a dispetto delle critiche – all’orizzonte non ci sono progetti di cambiamento. Molina aggiunge: “Gli arbitri non possono improvvisamente far rispettare le regole senza prima educare i giocatori”. E’ vero, ma una soluzione andrà trovata. E dovrà essere condivisa (e rispettata) da tutti.
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