Non c'è solo Tomic: un gruppetto di buoni giocatori sta cercando di riportare l'Australia ai fasti di un tempo. La strada è lunga, ma si può essere fiduciosi. DI LORENZO BALETTI
Bernard Tomic è il leader della "nuova" Australia tennistica

Di Lorenzo Baletti – 17 marzo 2012


Non deve essere facile, per una nazione che ha dominato il tennis nel corso di tutto il secolo scorso, arrancare dietro agli altri paesi. Come il presidente costretto ad abbandonare la carica e a ricominciare da capo la corsa verso il potere, l’Australia ha dovuto rivedere radicalmente la propria posizione nel panorama del tennis mondiale, riscoprendo nuove priorità e obiettivi. Per i canguri sono ormai finiti i tempi di gloria: dall’era di Rosewall, Newcombe e Laver, fino a Rafter e Hewitt, passando per seconde linee d’eccellenza come Cash e Phillippoussis, in Australia si è sempre respirato aria di vittoria e si è sempre pensato di essere tra le più forti nazionali del mondo. A ragione, ovviamente, perché non si vincono a caso 22 edizioni della Coppa Davis più altre 7 con il nome di Australasia. Ma è anche vero che l’Insalatiera manca dalle parti di Sydney dal 2003: un breve periodo per una qualsiasi nazione, ma un’eternità per gli Aussies. Non solo da un punto di vista del risultato in sé, ma anche per il modo in cui il tennis australiano si è poi sviluppato in questi ultimi 10 anni. O meglio, per come non si è sviluppato ed è miseramente decaduto. Certo, il fatto di essere stati in cima al mondo tennistico porta a sminuire qualsiasi altro risultato che non sia il trionfo in uno Slam o la prima posizione mondiale.

E’ ciò che sta succedendo anche negli Usa, ma d’altra parte quando si è abituati a Sampras ed Agassi è impossibile esaltarsi per il pur bravissimo Fish, n. 8 del mondo. Quando si è cresciuti con Laver, cosa importa di una finale persa a Wimbledon o di una posizione nella top 10? L’ultima vittoria in un major è firmata Hewitt a Wimbledon 2002, l’ultima finale quella a Melbourne sempre dell’ex n.1 del mondo nel 2005. Ultimo sprazzo di gloria, ultimo ruggito di un leone costretto in gabbia da infortuni e un tennis troppo logorante. E già in quegli anni si aveva la sensazione che i successi fossero dovuti alla mancanza di avversari di livello, che l’Australia stesse per imboccare una strada buia, senza talenti da coltivare e soprattutto con la mancanza di un progetto serio, per intenderci a modello di quelli spagnolo e francese. I talenti nascono, ma si possono anche costruire. Ci è voluto un po’ di tempo nell’emisfero australe per capirlo, e forse la questione non è ancora del tutto chiara. Ma almeno il capitano di Davis Pat Rafter e la Federazione Australiana ci stanno provando. Da qualche mese qualcosa si muove in terra australiana, e una nuova generazione di tennisti potrebbe provare a restituire i fasti del passato ai sempre coloriti fanatics. Tra il dire e il fare c’è di mezzo l’oceano, ma il gruppo capitanato da Bernard Tomic ha potenzialità e un futuro tutto da scrivere, con Ebden, Matosevic e Duckworth che in questo inizio 2012 si sono tolti delle piccole soddisfazioni che potrebbero rilanciare il movimento ad alti livelli. Di Tomic si parla ormai da anni, il talento è cristallino e il carattere è quello del campione. Sicuramente il più completo e il più maturo tra tutti i giovani di cui si sente parlare (i vari Dimitrov, Young e Berankis), tanto che è già riuscito a raggiungere i quarti di finale a Wimbledon lo scorso anno issandosi ormai stabilmente attorno alla 35esima posizione mondiale. Si aspetta il definitivo salto di qualità, ma è inutile mettere fretta a chi ha appena 19 anni. Il tempo darà le sue risposte, intanto ci si gode un tennista potente a partire dal servizio e dritto, ma anche di tocco con un rovescio in back capace di dare fastidio a molti. Un po’ supponente, dicono, ma anche centrato e consapevole di quelli che sono i suoi obiettivi. Sulle spalle le aspettative di un’intera nazione, ma questo ragazzone di quasi 2 metri ha lasciato intendere che non si farà per nulla intimorire.

Più incognite per il seguito della truppa, ma le basi ci sono sicuramente. A partire da quelle poste da Matthew Ebden, esploso forse un po’ tardi (23 anni quando nel 2011 ha ottenuto i quarti a Shanghai entrando per la prima volta nei 100) ma che sta dimostrando di poter competere ad alti livelli. Il torneo di Indian Wells, dove Ebden è uscito agli ottavi con Isner dopo aver superato anche due turni di qualificazione, ha confermato un giocatore solido e quadrato sia tatticamente che mentalmente. In alcuni movimenti e nell’impostazione dei colpi ricorda persino Hewitt, ma diciamolo a bassa voce: di questi tempi gli accostamenti non portano tanto bene (Dimitrov docet). Questa settimana si è accomodato al numero 78 ATP, miglior classifica di sempre: in avvio di stagione Ebden ha infatti superato anche un turno agli Australian Open, prima di perdere da Nishikori in cinque set, e ha un saldo positivo di 9 vittorie e 6 sconfitte totali a livello Atp. Un turno a Melbourne lo ha superato anche il neo 20enne James Duckworth, prima di perdere più che onorevolmente da Tipsarevic. Ottimo servizio, buone accelerazioni di dritto, nonostante la 192esima posizione mondiale anche per lui deve valere la regola del “non mettere pressione”. I risultati stanno pian piano arrivando, considerando sia la vittoria a Brisbane con Mahut, sia a livello Challenger con il culmine nella recente semifinale persa a Caloundra per mano del connazionale Matosevic. Già, Marinko Matosevic, la vera grande sorpresa australiana, e non solo, di questo avvio di stagione. Non è mai troppo tardi per sfondare, figuriamoci a 26 anni. Il tennista nato in Serbia ha sorpreso tutti a Delray Beach quando ha vinto 7 partite prima di cedere ad Anderson in finale. La conferma è arrivata poi proprio ad Indian Wells: superate le qualificazioni, ha seriamente impegnato Del Potro. Eppure il 2012 era iniziato male, con quattro sconfitte di fila, ma proprio la vittoria a Caloundra potrebbe rappresentare la svolta per un'intera carriera. Attualmente 122 ATP, può crescere ancora. Niente di trascendentale, certo, ma sono tutti segnali di un movimento che almeno sta provando a rivivere gli splendori del passato.