ROMA. Lo spagnolo vince una finale decisa dagli errori e dal nervosismo di Djokovic. Sesto titolo a Roma, il 21esimo in un Masters 1000. A Parigi sarà il favorito.
L'abbraccio finale tra Djokovic e Nadal
Di Riccardo Bisti – 21 maggio 2012
Forse l’inerzia è cambiata di nuovo. Il 2011 aveva rovesciato a favore di Novak Djokovic la rivalità contro Rafael Nadal, ma lo spagnolo ha saputo tamponare l’emorragia. E adesso, piano piano, sta riprendendo in mano la situazione. Se Rafa avesse tenuto in campo un facile passante sul 4-2 al quinto nella finale dell’Australian Open, oggi parleremmo di restaurazione. Però quella partita ha segnato la ripresa di Nadal dopo le batoste dell’anno scorso. A Monte Carlo ha dominato (ma Djokovic era ancora scosso per la morte del nonno), e allora la finale degli Internazionali d’Italia profumava di spareggio, soprattutto dopo la grande semifinale giocata dal serbo contro Roger Federer. Ha vinto Nadal 7-5 6-3, ed è un successo che vale doppio: tornerà numero 2 del mondo, assicurandosi la possibilità di incontrare Djokovic a Parigi soltanto in finale (la mina vagante sarà dunque Federer) e ha firmato il 21esimo Masters 1000 in carriera, tornando davanti a Federer in un testa a testa sempre più entusiasmante. La notizia vera riguarda gli equilibri mentali. Nadal ha vinto la partita di testa ancor prima che con il tennis. Ha giocato bene, ma non tanto meglio rispetto alle finali perse l’anno scorso. E lo stesso Djokovic non è andato male. Il problema, per il serbo, è che la testa non è più quella di qualche mese fa. Il momento-chiave è arrivato sul 5-4 Djokovic, 30-30 e servizio Nadal. I due giocano uno punto durissimo, l’ennesimo scambio di ganci e montanti. Nole tira un dritto sulla riga. Non è un vincente ma lo mette in ottima posizione per chiudere al colpo successivo. Il giudice di linea la chiama out, e la frittata è fatta. L’overrule conta poco, gli consente solo di rigiocare il punto.
Da quel momento, il meccanismo di “RoboNole” entra in cortocircuito. Non capisce più niente, perde il filo della ragione. Perde il game, e perde anche quello successivo. Al cambio di campo devasta la racchetta scagliandola contro il paletto che sostiene la rete. Un gesto violento, insolito, segno di debolezza e confusione. Aveva già spaccato un telaio negli ottavi contro Juan Monaco, ma aveva fatto in tempo a rimontare. Stavolta il set e volato via, ma i cattivi pensieri sono rimasti. La serie negativa è proseguita con un break in apertura di secondo. L’ultima chance è arrivata nel secondo game, quando si è trovato 0-40 e avrebbe potuto rimettere in equilibrio il parziale. Niente da fare, game stregato. Un parziale di cinque giochi a zero ha messo nelle mani di Nadal il sesto titolo agli Internazionali d’Italia. Il resto della partita è stato un lento scivolare verso l’epilogo, con Djokovic sempre meno incisivo nei turni di risposta. Fino al doppio fallo finale che profuma di resa. La realtà è chiara: Djokovic esce un filo ridimensionato dopo un mese di terra battuta. L’anno scorso era imbattuto e inscalfibile. Aveva vinto Belgrado, Madrid e Roma. Quest’anno ha fatto finale a Monte Carlo, ha perso (male) nei quarti a Madrid e al Foro Italico si è arreso nuovamente a Nadal. Preoccupa il fatto che non si sia visto il vero Djokovic, eccezion fatta per la semifinale contro Federer. In vista di Parigi, ha ragione Paolo Bertolucci: “Credo che Djokovic possa vincere il Roland Garros, a patto che riesca a trovare la perfetta condizione psicofisica. Se rende anche soltanto al 95%, il favorito diventa Nadal”.
Nadal che ha vinto questo torneo senza perdere un set, Nadal che ha giocato benissimo contro Berdych, bene contro Ferrer e ha succhiato fiducia ed energie in una finale giocata di lunedì dopo il discusso rinvio di domenica sera, quando il supervisor ATP ha scelto di mandare tutti a casa verso le 20, quando non pioveva e il campo sembrava praticabile. Si temeva che il pubblico disertasse, invece il richiamo di Djokovic e Nadal è più forte di una mattinata in ufficio. Senza raggiungere gli estremi di chi ha srotolato uno striscione con scritto “Da Verona in motorino per vedere il tuo topspin. Vamos Rafa”, c’era tantissima gente e un bel clima. Come generalmente positivo è stato il clima del torneo, giunto alla 69esima edizione e sempre più bello come location e sfruttamento degli spazi. Durante la premiazione, condotta dalla solita Lea Pericoli, sia Djokovic che Nadal si sono sforzati di parlare nella nostra lingua e si sono presi l’abbraccio della gente prima di passare alla cassa, sia pure con spirito diverso. La rivalità tra il serbo e lo spagnolo è interessante, ma il “bello” è un’altra cosa. Le loro partite sono piuttosto monotone, prevedibili. Uno picchia, l’altro rimanda tutto in attesa di contrattaccare. Gli angoli vengono esplorati tutti, ma senza fantasia. E’ quanto di più simile al pugilato possa vedersi su un campo da tennis. Interessante, volendo anche avvincente, però…
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