Nick Bollettieri è una delle figure più importanti nella storia del tennis, eppure non riesce a entrare nella Hall of Fame di Newport. “Forse non ho saputo vendermi nel modo giusto”.
Nick Bollettieri con Andre Agassi, uno dei tanti campioni usciti da Bradenton
Di Riccardo Bisti – 18 luglio 2012
L'ovattata cornice di Newport, Rhode Island, ha ospitato la consueta cerimonia di induzione nella Hall of Fame. Sono entrati nella galleria degli immortali Jennifer Capriati, Gustavo Kuerten, Manuel Orantes, Mike Davies e Randy Snow. Atleti e personaggi meritevoli, per carità. Ma c’è qualcosa che stona: nella Hall of Fame dovrebbe trovare posto chi ha avuto un ruolo importante nella storia del tennis. Sinceramente: in quanti hanno avuto l’influenza di Nick Bollettieri? Pochi, pochissimi. Il coach americano ha letteralmente reinventato l'insegnamento del tennis ad alti livelli. Nonostante abbia superato gli 80 anni, continua a esercitare un’influenza impressionante. Ed è grazie a lui che l’Italia del tennis spera nel nuovo Messia. Se Gianluigi Quinzi è diventato una grande speranza, lo deve agli anni trascorsi a Bradenton, quando il buon Nick lo faceva svegliare alle 5 del mattino. E non si sgarrava. Di motivi per consegnargli la targhetta di hall of famer ce ne sarebbero a decine, eppure non lo hanno ancora premiato. Incredibile. La lista dei giocatori svezzati, cresciuti o semplicemente passati dalla sua Accademia è infinita. Agassi, Courier, Seles, Sharapova…tutti numeri 1. Ma lui è ancora lì. “E’ semplice – racconta lui – amo esaltarmi, mi piace l’azione”. La sua vita non ha niente a che fare con quella degli ottuagenari. La sua giornata tipo? Tenetevi forte: sveglia alle 4.45 e subito 150 addominali sulla palla medica destinata ai suoi figli adottivi. Un po’ di sollevamento pesi, e poi alle 6 del mattino subito in campo. Insegna fino alle 11.30, poi si concede un pranzo (rigorosamente di lavoro) presso il South Philly Cheese Steak Cafè, il suo locale preferito. Alle 13 torna in campo e ci resta fino alle 17. A fine giornata, il relax consiste in qualche buca a golf. Di sera si mette davanti al computer, risponde alle mail, prenota i campi e scrive articoli per le sue innumerevoli collaborazioni. Si addormenta alle 23.30, spesso davanti a un match di tennis alla TV. Dorme giusto cinque ore, ma spesso riceve chiamate da tennisti dall’altra parte del mondo che hanno bisogno di un consiglio.
Cindi, l’ottava moglie, lo paragona a Peter Pan. “E’ eternamente giovane. E quando l’ho sposato sapevo che sarei stata l’amante. Lui ha già sposato la sua Accademia”. Ma come fa a tenere questo ritmo di vita, specie senza avere nulla da dimostrare? Facile, la motivazione. Chi lo conosce sostiene che se smette di muoversi, morirà. Nick è cresciuto a Pelham, a due passi da New York, in un quartiere multietnico, dove gli unici sport conosciuti erano il calcio e il baseball. Il tennis, al massimo, era un ripiego. “Sono cresciuto con neri, italiani e irlandesi. Per loro il tennis era uno sport per signorine”. Un cugino lo convinse a spostarsi in Alabama, dove avrebbe potuto giocare nel team tennistico dello Spring Hill College di Mobile. Eppure lo sport non era nei progetti. Suo padre avrebbe voluto farlo diventare un avvocato, ma non c’è stato niente da fare. Ha abbandonato la facoltà di Giurisprudenza di Miami dopo tre mesi e si è messo a insegnare su un campo pubblico di North Miami Beach. Prendeva 3 dollari all’ora: adesso ne intasca 900. I guadagni gli servivano giusto per fare benzina alla macchina. Poi è arrivata l’Accademia di Bradenton, una vera e propria La Mecca del tennis mondiale. L’impianto si estende su un terreno di 450 acri e offre lavoro a 650 persone. Sui 55 campi da tennis si alternano 700 studenti e passano, in media, 30.000 persone all’anno tra atleti, allenatori e visitatori. Tutto è cominciato su un terreno di 40 acri, acquistato per un milione di dollari gentilmente prestato da un amico facoltoso. “Nick è stato il primo, dopo Harry Hopman, a sdoganare il concetto di Accademia” dice Jim Courier, uno dei prodotti più puri del Sistema-Bollettieri. Proveniente da Dade City, si è presentato a Bradenton a metà degli anni 80, quattordicenne. Se ne è andato con quattro Slam in tasca e il numero 1 ATP. “E’ stato il primo a sviluppare l’insegnamento a 360 gradi. Non si può ignorare quello che ha fatto”. L’approccio era tanto semplice quanto geniale: portare i migliori atleti in un unico luogo e farli giocare uno contro l’altro, stimolando la competizione quotidiana. Ovviamente lo hanno copiato in tutto il mondo. Accademie di questo tipo, oggi, proliferano ovunque.
Paul Annacone, attuale coach di Roger Federer, è stato uno dei primi allievi. Un giorno era in campo con Jimmy Arias, Rodney Harmon e Pablo Arraya. Cazzeggiavano, ma appena hanno visto Nick apparire dalla porta si sono concentrati come non mai. “Mai visti così tanti adolescenti desiderosi di imparare così in fretta”. Sospira l’ex top 15 ed ex coach di Pete Sampras. “Mi ha trattato spesso come un figlio, portandomi a cena o dandomi qualche soldo – racconta Tommy Haas, un fedelissimo dell’Accademia – mi ha sempre dato l’impressione di prendersi cura di me”. Quasi tutti i giocatori nutrono gratitudine nei suoi confronti, tanto da tornare a Bradenton per brevi periodi di allenamento anche se non frequentano più a tempo pieno. “Mi aiuta ancora oggi” dice Jelena Jankovic, altra ex numero 1 sbarcata in Florida a 12 anni di età. “Sa dire la cosa giusta al momento giusto” riconosce Maria Sharapova, che a Bradenton ha messo piede quando aveva 7 anni. Quando ha inaugurato l’Accademia, Bollettieri non era un grande conoscitore di tennis. Ma aveva un’etica del lavoro impressionante, una passione duratura e l’innata capacità di entrare in contatto con i giocatori. Josè Lambert è stato 35 anni in Accademia: studente, giocatore e allenatore. “Sa leggere le persone meglio di chiunque altro” racconta. Senza contare l’aiuto incondizionato che ha dato i giocatori in cui credeva di più. Quando ha capito che Maria Sharapova sarebbe diventata Masha, ha voluto assicurarsi che la piccola russa avesse tutto quello di cui aveva bisogno. Un aiuto fondamentale per chi arrivava dalla Siberia senza conoscere l’inglese, un padre un po’ svitato e 700 dollari in tasca. Oltre alla capacità di relazionarsi con gli altri, ha un occhio straordinario. Uno dei primi prodotti dell’Accademia, Jimmy Arias, ricorda di aver palleggiato con un ragazzino di Las Vegas. Le tirava tutte fuori, ma Nick disse: “Hai visto che colpi???”. Ovviamente era Andre Agassi.
Nonostante i risultati, Bollettieri è sempre stato un outsider, uno fuori dall’establishment. Lo testimonia l’incredibile vicenda della Hall of Fame. E’ stato tra i candidati nel 2010 e nel 2012, ma non c’è stato verso di essere ammesso. Per entrare nella categoria dei “Contributors” bisogna aver dato un “importante contributo nella crescita e nella reputazione del tennis come giornalista, coach, dirigente o ufficiale di gara”. Chi meglio di Bollettieri soddisfa i requisiti? Eppure non è mai riuscito a ottenere il fatidico 75% dei voti, nonostante l’appoggio di Andre Agassi, con il quale ha avuto un rapporto intenso ma burrascoso. I critici sostengono che i giocatori forgiati da Bollettieri siano tutti uguali, con un tennis basato su servizio, il dritto e le bordate da fondocampo. “A volte il successo genera invidia – racconta lui – forse non sono riuscito a pubblicizzare nel modo giusto il mio ruolo di promoter. Sono nella Hall of Fame italiana, in quella della USTA, in quella della Florida. Sono in tutte le Hall of Fame tranne in quella di Newport. Non è così male”. Non è un problema. Meglio dedicare il proprio affetto ai due figli adottivi, rispettivamente di 4 e 7 anni, provenienti dall’Etiopia, che si sono aggiunti agli altri cinque figli frutto dei precedenti matrimoni. Nel frattempo i tempi sono cambiati, e l’uomo che ha inventato la combinazione servizio-dritto sostiene che il tennis di oggi sia troppo veloce per adottare quel tipo di tennis. “Oggi è troppo veloce: è impossibile nascondere una grande debolezza nel tennis odierno. Come mi piacerebbe essere ricordato? Come uno che provava ad aiutare le persone, dando loro i fondamenti per aiutarle a sopravvivere”. Chissà se basterà per farlo entrare nella galleria degli immortali. Chi ama davvero il tennis non lo dimenticherà mai. Targa o non targa.
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