Peter Bodo riflette sull’utilità di andare a oltranza nel set decisivo negli Slam, in Davis e alle Olimpiadi. Non sarebbe meglio il tie-break? La formula attuale potrebbe restare in Davis e nelle finali.
John Isner e Nicolas Mahut ai tempi del loro incredibile match a Wimbledon
TennisBest – 11 agosto 2012
La riflessione arriva da Peter Bodo, colonna del giornalismo tennistico. Tra un paio di settimane inizierà l’Open degli Stati Uniti, ultima prova del Grande Slam. Il torneo americano subisce un mucchio di critiche perché è l’unico Slam a non prevedere un tetto retrattile per il campo centrale. I progetti di ampliamento di Flushing Meadows, il cui costo è stimato in 500 milioni di dollari, non prevedono alcuna copertura. Ci sarà sempre il rischio di posticipare la finale, come accaduto negli ultimi quattro anni. Australian Open e Wimbledon hanno già il loro tetto, mentre il Roland Garros si adeguerà entro qualche anno. Lo Us Open è destinato a restare indietro. Ma c’è qualcosa in cui è precursore, pioniere. E’ l’unico Slam in cui è previsto il tie-break nel set decisivo. L’argomento torna d’attualità dopo le Olimpiadi, in cui abbiamo visto alcuni set-maratona le cui conseguenze si sono sentite nei turni successivi. L’innovazione di Jimmy Van Alen ha rivoluzionato uno sport in cui il 16-14 si poteva vedere già al primo set. L’idea di un set senza tie-break trasmette eroismo, epicità. E’ il set in cui vince davvero il più forte. La storia è piena di set terminati ben oltre il limite. Federer-Del Potro a Londra è l’ultimo di una casistica importante. Nel 2003, in Australia, Roddick ed El Aynaoui lottarono fino al 21-19. L’anno dopo, Clement e Santoro monopolizzarono l’interesse del Roland Garros. Senza scomodare il 70-68 di due anni fa a Wimbledon tra John Isner e Nicolas Mahut. Sono belle storie, che riempiono le pagine dei giornali e dei siti specializzati. Ma può avere un senso eliminare questo fattore di incertezza? Il già citato Isner-Mahut, intanto, ha azzerato le possibilità di battere ogni record. Maggior numero di game, durata dell’incontro, numero di ace…per battere questi primati bisogna mettersi d’accordo. E non è detto che basti.
Isner-Mahut, a modo suo, potrebbe essere lo spartiacque per introdurre il tie-break nel quinto set (o nel terzo tra le donne). Il problema non è tanto televisivo, quanto tecnico. Chi gioca una partita così lunga ha pochissime chance di vincere il turno successivo. Dopo la maratona contro Mahut, Isner era scoppiato e perse male contro il modesto Thiemo De Bakker. Alle Olimpiadi, Federer non si è potuto difendere al meglio contro Murray perché era ancora sfibrato dalle 4 ore e mezza contro Del Potro. Andando ancora più indietro, nel 2003 Roddick perse nettamente contro Rainer Schuettler dopo le fatiche contro El Aynaoui. Gli esempi sono a tonnellate. Quest’anno Paul Henri Mathieu si è tolto (in parte) l’etichetta di perdente battendo Isner 18-16 al quinto. Ma pensate che al turno successivo avrebbe avuto qualche chance? Ci sono anche casi di vittorie, per carità. Del Potro ha battuto Djokovic per il bronzo olimpico e Tsonga è andato avanti dopo il 25-23 su Raonic, ma – secondo Bodo – la stanchezza può emergere in tanti modi, non solo a scoppio immediato.
Alla luce di queste riflessioni, Bodo si schiera con chi vorrebbe il tie-break nel set decisivo. A suo dire, il “deuce set” potrebbe restare in vita in Coppa Davis o nelle finali “Se i signori del tennis volessero tenere in vita la tradizione”. In Davis, in effetti, è capitato di vedere giocatori in grado di risorgere con quintali di energie. Ma la Davis è un’altra cosa. Secondo il columnist americano, giocare senza tie-break è una sorta di emissione di condanna per chi è costretto a una battaglia, magari già al primo turno. Si tratta di osservazioni condivisibili. La tradizione è bella, ed è giusto mantenerla. Ma non ha senso farlo ai primi turni. La pensiamo esattamente come lui: la Coppa Davis ha un format particolare, che consente di poter fare a meno del tie-break. E' giusto che resti così. Nei grandi tornei, invece, il deuce-set potrebbe essere inserito solo in finale perché i giocatori non avrebbero l’ansia di un impegno successivo. I sostenitori dell’attuale formula potrebbero obiettare che il giocatore che arriva più stanco c’è arrivato per demeriti suoi. “Hai vinto 16-14 al quinto, ma potevi farcela in tre set”. Vero, ma esistono anche gli avversari. E non hanno tutti la stessa forza. Ad ogni modo, come per ogni calcio alla tradizione, sarà difficile che l’idea si realizzi. O almeno non senza difficoltà.
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