La sconfitta contro Juan Martin Del Potro mette fine alla carriera di Andy Roddick. E’ stato un addio emozionante ma sobrio e dignitoso. Ecco cosa ci mancherà dell’americano.
La commozione di Andy Roddick nel giorno dell’addio al tennis giocato
 
TennisBest- 6 settembre 2012

 
“Per la prima volta in carriera non so cosa dire. Frequento questo torneo da quando ero bambino, e mi sentivo fortunato a stare negli stessi gradini dove adesso sedete voi. Ho amato ogni minuto della mia carriera. Ci sono stati alti e bassi, ma ho sempre apprezzato il vostro incoraggiamento. Ringrazio la mia famiglia, mi avete dato la possibilità di esprimermi. E poi tutte le persone che mi stanno vicine: una cosa che non mi fa avere paura del ritiro è sapere che c’è qualcuno che mi aspetta a casa. E poi mando un ringraziamento a qualcuno che non c’è più: grazie Ken”. Il saluto a Ken Meyerson, ultimo agente di Andy Roddick, è l’atto finale. E’ calato il sipario, bye bye Andy. Qualche anno fa, dopo una finale persa al Roland Garros contro Justine Henin, Mary Pierce prese il microfono e non smetteva più. Roddick è uomo brillante, spiritoso, intrattenitore. Avrebbe potuto fare scena, invece ha scelto un profilo basso. Non sappiamo se per scelta o perché era travolto dall’emozione. Dopo la sconfitta contro Juan Martin Del Potro, degnissimo avversario per qualità e umiltà, non riusciva a trattenere le lacrime. Facevano impressione perché erano vere come possono essere solo quelle di nostalgia. Quando un capitolo della tua vita è finito e sai che non tornerà mai più. Puoi bussare la porta dei ricordi, ma la troverai inesorabilmente chiusa. La puoi superare solo con il pensiero. Per una volta, il sudore prodotto dal suo cappellino si è mischiato alle lacrime di un uomo sinceramente emozionato. Di Roddick abbiamo detto e scritto di tutto. Ha vinto uno Slam, 32 tornei, una Coppa Davis ed è stato un grande campione. Non è il momento di snocciolare il pallottoliere. Sarebbe difficile scrivere un commiato diverso da quello che gli abbiamo dedicato una settimana fa, alla vigilia dei 30 anni, quando ancora non sapevamo che si sarebbe ritirato. E allora prendiamo in prestito un articolo di ESPN, a firma di Ravi Ubha, in cui si elencano le cinque ragioni per cui Andy Roddick mancherà al mondo del tennis. Pur senza cadere nel buonismo sbrodolante che pervade dopo ogni ritiro, dobbiamo dire che le condividiamo.
 
IL VECCHIO DRITTO

A inizio carriera, prima che esplodessero la fluidità di Roger Federer e la potenza di Fernando Gonzalez (quest’ultima “aggiornata” da Juan Martin Del Potro), Roddick aveva il miglior dritto del circuito. Se non trovavi gli ultimi 2 metri di campo avevi perso il punto. Matematico. Il colpo si è involuto, ma nel 2003 ha fatto in tempo a regalargli lo Us Open, unico Slam della sua carriera. Quando Andy era all’apice, chi poteva dire di avere una combinazione servizio-dritto altrettanto devastante?
 
LE SUE EMOZIONI
A differenza di tanti colleghi, l’americano non ha mai nascosto i propri stati d’animo. Quando si arrabbiava con i giudici di sedia era uno spettacolo, soprattutto quando c’era un microfono sotto il seggiolone. Sentivamo tutto e ci divertivamo. Lo ha ammesso: “A volte sono andato troppo oltre”. Ad esempio, sussurava brutti pensieri nei confronti degli avversari e ci permetteva di sentirli, come è accaduto qualche anno fa con Kei Nishikori. Quando ha battuto Federer dopo una striscia di 11 sconfitte consecutive, ha guardato verso il cielo e ha chiesto aiuto per tenere quel maledetto turno di servizio. Era disperato e non aveva paura di farcelo vedere. Quando gli dei del tennis lo hanno accontentato, era quasi in lacrime. Ma erano lacrime diverse da quelle versate ieri sera.
 
LA DEDIZIONE PER LA COPPA DAVIS
Non sono tanti i top-players ad aver dato così ampia disponibilità alla Davis. Lo ha fatto troppo spesso, in modo quasi autolesionistico. I continui viaggi intercontinentali e i cambi di superficie gli hanno succhiato vigore ed energie. Forse hanno pregiudicato il rendimento in alcuni Slam. E’ stato un pilastro del capitanato di Patrick McEnroe, giocando 16 match consecutivi tra il 2004 e il 2008. “Non potrò mai ripagarlo a sufficienza per avermi fatto vincere la Coppa Davis nel 2007” ha detto l’amico James Blake. Quell’anno gli americani vinsero l’Insalatiera grazie alla sua imbattibilità in singolare: vinse 6 match su 6, nessuno dei quali a risultato acquisito.
 
IL SENSO DELL’UMORISMO
C’è qualcosa in cui – secondo Ubha – Roddick verrà ricordato come il migliore di sempre: le conferenze stampa. Ce ne sono state a centinaia, con battute e sorrisi alternate a risposte articolate e mai banali. Una delle più belle risale alla finale di Wimbledon 2005, persa piuttosto nettamente da Federer. Quando uno degli addetti del torneo ha accennato una risata dopo l’ennesima battuta, si è rivolto verso di lui e ha detto “Finalmente ti ho tirato fuori un sorriso!”. E poi, dopo la risata collettiva, disse una delle sue frasi più famose: “Ho detto a Federer che lo vorrei odiare, ma è troppo simpatico. Come faccio?”. Una volta gli hanno chiesto “In una situazione come quella, quando giochi al meglio, tiri due ottimi colpi, e sembra quasi che lui ti prenda in giro. Come affronti mentalmente questa cosa?”. Lui ha detto: “Sembra la mia vita al liceo”.
 
IL CORAGGIO
La sconfitta più famosa resta l’incredibile finale di Wimbledon contro il solito Federer, persa 16-14 al quinto. Tutti ricordano il vantaggio di un set e 6-2 nel tie-break del secondo, con quella incredibile volèe messa fuori sul 6-5. Federer vinse il secondo set e tutti pensarono che avrebbe dominato il terzo e il quarto. Macchè. Vinse il terzo al tie-break, fu ripreso e trovò la vittoria solo al 30esimo game del quinto, dopo una resistenza orgogliosa e accanita, degna del suo ex coach Jimmy Connors. Se non altro, Roddick ha terminato la sua “rivalità” con Federer vincendo l’ultima sfida a Miami 2012. Era l’indennizzo minimo.
Buona fortuna, A-Rod.