“The Tennis Space” ha effettuato una lunga e interessante intervista con Stuart Miller, responsabile antidoping per l’ITF. Le statistiche, i controlli sul sangue, le regole, le polemiche…
Un'istantanea del cartone animato preparato dall'ITF per educare i tennisti sull'argomento doping
 
TennisBest – 2 ottobre 2012
 
Ci si domanda spesso come funziona l’antidoping. Da quando l’ITF, firmataria del protocolli WADA, ha preso in mano i controlli che prima erano in mano ad ATP (nel 2006) e WTA (nel 2007), i test hanno acquisito maggiore credibilità e trasparenza, se non altro perchè prima c'era una pericolosa coincidenza tra controllori e controllati. Tuttavia, ancora oggi ci sono cose che non vengono diffuse pubblicamente, come i nomi e le modalità dei test falliti. Senza contare che non viene più svelato nel dettaglio a che tipo di test vengono sottoposti i vari giocatori, ma soltanto un generico numero di controlli. Il sito britannico “The Tennis Space” ha realizzato una lunga e interessante intervista con Stuart Miller, responsabile ITF sugli aspetti tecnici e scientifici. Simon Cambers ha fatto domande precise, taglienti, ottenendo risposte solo in parte soddisfacenti. Leggendo questa chiacchierata, è tornata alla mente una storica frase di Rino Tommasi: “Il doping batte l’antidoping 6-1 6-1”. Lo stesso Miller ammette che è impossibile beccare tutti, perché non è pensabile controllare ogni giorno tutti i giocatori. C’è poi una questione di soldi e di difficoltà tecniche che non facilitano il compito ai funzionari antidoping. Un’intervista da non perdere, che stimola un mucchio di riflessioni su cui torneremo nei prossimi giorni.
  

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Dando un’occhiata alle statistiche del 2010 e del 2011, disponibili sul sito ITF, sembra che alcuni giocatori non siano stati testati fuori dalle competizioni. Come è stato possibile?
Ogni giocatore può essere controllato, in qualsiasi momento, da tre diverse organizzazioni: ITF, WADA e l’agenzia antidoping del proprio paese. In Gran Bretagna, per esempio, un tennista può essere testato da ITF, WADA e l’agenzia antidoping britannica. Inoltre il CIO può effettuare controlli antidoping durante le Olimpiadi, dall’apertura del Villaggio Olimpico fino alla cerimonia di chiusura.
 
Quindi le statistiche ITF non citano tutti i controlli antidoping perché possono essere stati effettuati da altre associazioni, e quindi non rientrare nella lista.
Giusto. Inoltre qualsiasi agenzia nazionale può testare un giocatore in visita in quel paese.
 
C’è l’obiettivo di unificare queste statistiche, in modo che la gente le possa seguire più facilmente?
Questo è un lavoro che spetta alla WADA. Sono gli unici in grado di raccogliere statistiche da tutti gli sport. Ogni agenzia nazionale ha l’obbligo di trasmettere alla WADA le proprie statistiche su base annuale. Poi sono loro a decidere come e quando pubblicarli.
 
Campioni come Murray e Djokovic sono stati controllati diverse volte fuori dalle competizioni nel 2010 e nel 2011. Perché, per esempio, non c’è stato neanche un controllo per Venus Williams?
Prima di tutto non è necessariamente vero. Se non c’è un numero accanto a un giocatore, non significa che non abbiamo provato a raccogliere un campione. Gli unici numeri che vengono registrati sono quelli in cui riusciamo a ottenere un campione da analizzare, mentre ci sono cose che non vengono riportate. Parliamo di Venus Williams. Fa parte di quelli che devono rispettare il “whereabouts”, ossia indicare la propria ubicazione per almeno un’ora al giorno. La gente deve capire che non significa necessariamente cercare un campione da analizzare. Il “whereabout” serve a due scopi: se c’è assoluto bisogno di raccogliere un campione, hai migliore possibilità di ottenerlo in quella fascia oraria. Ma agisce anche come un punto di ancoraggio, perché sai che in quell’ora è probabile che un tennista si trovi nel posto che ha indicato. Ma non basta cercare di prelevare campioni in quella fascia oraria, perché racchiudere elementi di prevedibilità e i nostri test sono definiti “senza preavviso”. A un giocatore non è mai stato notificato che saremmo andati a raccogliere un campione. Nelle statistiche ci sono alcuni dati che non sono comunicati: i tentativi che non sono andati a buon fine, per indisponibilità del giocatore o problemi amministrativi, più tutti i tentativi al di fuori dell’ora comunicata dal giocatore. Non importa l’esito, non vengono comunicati a prescindere.
 
Quindi i tentativi (falliti) di controllo al di fuori dell’ora canonica non vengono conteggiati come test mancati?
No. Per essere considerati tali devono soddisfare determinati criteri. (Tre test falliti comportano una sanzione, ndr)
 
Molti giocatori mettono la fascia oraria delle 6 del mattino come momento di reperibilità. Potrebbero essere testati alle 3 o alle 4 del mattino?
In teoria si. Le regole WADA dicono che i giocatori possono essere controllati in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo. Il whereabout va delle 6 alle 23, ed è vero che moltissimi giocatori scelgono la prima ora del mattino. In linea di principio posso dire che ci sono pochissimi test svolti tra le 23 e le 6. Se hai informazioni credibili che un tennista usi quella fascia oraria per doparsi – e devono essere credibili – non c’è nulla che ti impedisca di raccogliere campioni anche di notte. Ma credo che siano casi molto rari e lontani tra loro.
 
L’anno scorso si è diffusa la voce che Serena Williams si fosse barricata in casa perché aveva scambiato un addetto antidoping per un ladro. Questo episodio conta come un test mancato?
Non posso commentare in merito. Purtroppo è stata una delle occasioni in cui filtrano un po’ di informazioni da una sola fonte, e una sola delle due sorgenti è forzatamente limitata. C’è un altro aspetto di questo, che fa parte del programma antidoping, di cui non posso parlare. Quello che posso dire è che ci fu un tentativo di svolgere un test antidoping fuori dalle competizioni. Ma non posso parlare del processo e del risultato, perché comprometterei i nostri obblighi di riservatezza.
 
Il medico spagnolo Luis Garcia del Moral è stato squalificato a vita dalla WADA per reati connessi al doping. Allo Us Open è stato confermato che Sara Errani aveva lavorato in passato con lui. (in verità aveva fatto solo un elettrocardiogramma, e comunque ha subito tagliato i ponti non appena ha appreso la notizia, ndr).
Non si commette alcuna violazione nell’essere associati a una persona squalificata. E’ una proposta per il prossimo codice WADA, ma attualmente non sono previste sanzioni per un fatto di questo tipo. Non ci vuole un genio per capire quale sarebbe la percezione del problema se qualcuno continuasse a frequentare una persona squalificata. E comunque che nel caso della Errani è stato detto che la giocatrice non ha a che fare con questo medico. E’ stata lei a parlare all’ITF, non c’è alcun segreto.
 
Dinara Safina non si è ufficialmente ritirata, ma non gioca da più di un anno. Qualcuno nella sua posizione può essere soggetto ai controlli antidoping?
Le norme sul ritiro sono chiare, ma si può creare confusione. Un tennista è soggetto al programma antidoping ogni volta che partecipa a un evento coperto dal nostro programma, oppure se ha almeno un punto nella classifica mondiale. Se non hanno punti ATP o WTA e non giocano alcun evento, non sono soggetti al programma. Chiunque non annuncia il ritiro ma lascia scendere il proprio ranking fino a zero e non gioca alcun torneo non è soggetto ad alcun controllo. La seconda strada per non essere sottoposti ai controlli è un ritiro ufficiale, come ha fatto Kim Clijsters. Il beneficio è che non puoi più essere controllato, ma non puoi tornare a giocare se non dai un preavviso di almeno tre mesi. La Safina? Se la sua classifica si è azzerata, anche senza ritiro, non è soggetta ai controlli antidoping.
 
Se decidesse di tornare in gara all’Australian Open, dovrebbe avvisare con 3 mesi di anticipo?
Se non si è ufficialmente ritirata, no.
 
Ed anche se non deve più lasciare la propria reperibilità, in teoria potrebbe essere sottoposta a un test?
Se non ha punti in classifica non è soggetta al programma antidoping. Così potrebbe rifiutarsi di farsi controllare.
 
Nel 2011 ci sono stati solo 21 controlli del sangue fuori dalle competizioni. 18 tra gli uomini, 3 tra le donne. Come mai così pochi?
Ci sono cose che posso dire, altre no. Vi dirò che nel precedente programma c’erano alcuni vincoli circa la possibilità di effettuare controlli sul sangue. Adesso il limite è stato portato in avanti e abbiamo deciso di aumentare la percentuale di esami sul sangue, non solo fuori dalle competizioni ma anche durante i tornei. Gli esami del sangue stanno diventando sempre più importanti e continueranno ad esserlo nel corso del tempo.
 
Quali erano i problemi? Il costo, l’invasività?
In precedenza c’erano stati problemi con i prelievi del sangue. Questo è tutto. Adesso stiamo superando questo problema.
 
Quanto costano gli esami del sangue?
Non posso dare la cifra esatta perché dipende da chi, dove e quando viene svolto il test, quanti campioni si stanno raccogliendo e cosa stai analizzando. Si può arrivare tranquillamente a 1000 dollari per analizzare un singolo campione.
 
La WADA vorrebbe che gli esami del sangue fossero il 15-20% del totale.
Be’, la cifra che pubblicano si assesta sul 10%.
  
E’ abbastanza?
Esiste un equilibrio tra l’interesse del programma e i vincoli da rispettare per raggiungere questo interesse. I vincoli, naturalmente, sono di natura finanziaria. Quando la raccolta dei campioni diventa sempre più costosa, qualcosa si deve lasciar andare. Bisogna trovare un equilibrio. Esistono più sostanze proibite che si possono rilevare sui campioni di urina rispetto a quelle individuabili col sangue. Si potrebbe dire che i campioni di urina hanno un valore maggiore rispetto a quelli di sangue. E poi c’è la logistica per la raccolta e l’analisi. Ad esempio, se stai facendo un test per rilevare più sostanze, l’analisi ti consente di raccogliere molti più campioni. Se ne analizzi uno solo, paghi il kit per l’intera analisi. Quindi bisogna decidere se analizzare più campioni nello stesso tempo, che obbliga a costi aggiuntivi e problemi logistici. Bisogna sempre bilanciare i costi, la disponibilità, la logistica, le spedizioni…Il 10% è abbastanza? Non sta a me dirlo. Noi abbiamo aumentato la percentuale di prelievi sul sangue nel rispetto del programma. Mi aspetto che continueremo ad aumentarla in futuro. Non so dove arriverà, ma sarà una proporzione maggiore rispetto a oggi.
 
L’esame del sangue cosa consente di scoprire? L’EPO?
L’EPO si scova attraverso le urine. Il sangue svela l’utilizzo di sangue artificiale, trasportatori di ossigeno emoglobinici e l’ormone della crescita. Questi sono i principali.
 
Il codice WADA sarà rinnovato l’anno prossimo?
Verrà terminato nel novembre 2013 ed entrerà in vigore il 1 gennaio 2015.
 
Pensa che ci saranno cambiamenti, in particolare nelle regole sui whereabouts?
I whereabouts non fanno direttamente parte del codice WADA. Fanno parte di quelli che vengono chiamati “standard internazionali”. La lista delle sostanze proibite è uno standard internazionale: ce n’è uno per i laboratori, uno per la privacy e la protezione dei dati personali e uno per i test. I whereabouts fanno parte degli standard internazionali per i test, peraltro in corso di revisione. Se ne discute, come qualsiasi altra cosa, e non ho dubbi che ci saranno molte osservazioni sull’argomento. Cambiera? Sono sicuro che in qualche modo succederà, non è ancora sicuro ma succederà.
 
Qual è la sua più grande frustrazione? La cattiva informazione?
Domanda interessante. Naturalmente c’è cattiva informazione. Io la vedo in due modi. C’è cattiva informazione che viene fatta per ignoranza o deliberatamente, allora la devi accettare. In ogni caso devi guardare a te stesso e non a quello che fanno gli altri. Mentirei se dicessi che non guardiamo a quello che facciamo, ci sono aspetti positivi ed altri che possono migliorare. Vogliamo sempre migliorare. A volte si ottengono informazioni e idee da altre organizzazioni antidoping, la WADA o altre ancora. Sarebbe ingenuo e miope ignorare idee e suggerimenti, perché a volte sono ottimi. Non diremo mai che siamo perfetti, c’è sempre spazio per migliorare.
 
Quando è grande il problema doping nel tennis?
Chiaramente è un rischio. Il fatto che ci siano state 63 violazioni nel corso degli anni lo prova. Nel tennis si possono guadagnare molti soldi, e non è escluso che vi sia la tentazione di cercare qualche scorciatoia. Non si può dire che non ci siano rischi. Non possiamo neanche dire che possiamo beccare tutti perché non è possibile testare ogni giorno i giocatori. Dobbiamo bilanciare le nostre risorse in opere di educazione, prevenzione e dissuasione. Fino a che punto è un problema? E’ chiaro che c’è stato e probabilmente continuerà ad esserci un utilizzo di sostanze proibite. La cosa è sistematica ed endemica? Ad oggi non abbiamo trovato prove in questo senso, nonostante i nostri sforzi. Non significa che smetteremo di cercare. Noi faremo del nostro meglio con i mezzi a disposizione.
 
Nel febbraio 2009, Murray ha detto di essere controllato 25 volte all’anno. Sembra molto. E’ possibile dare una media?
No. In generale, i tennisti di alta classifica tendono ad essere controllati più spesso degli altri. Se lui è stato testato 25 volte, è molto. Sarebbe molto per chiunque, in qualsiasi sport. Ma se sei un top player vai probabilmente in doppia cifra.
 
Alcuni giocatori non amano i controlli e si lamentano molto.
Ci sono sempre due facce. La prima è l’obbligo di avere il loro tempo e violare la privacy. Non posso negare che sia un’imposizione. Tuttavia, si può vedere il tutto come una protezione. Il programma protegge i giocatori da un possibile avversario sleale, ma anche da possibili danni alla salute. Protegge lo sport nel suo complesso, permettendoci di dire che abbiamo un buon programma e abbiamo un po’ di integrità nelo sport. Questo dovrebbe essere considerato positivamente. Ma poi c'è qualcuno che accusa…recentemente c'è stato il diverbio tra Francia e Spagna, inoltre il programma consente a un tennista di dire “Aspetta. Sono stato implicato nel doping, ma abbiamo un programma che mi controlla in gara e fuori dai tornei, senza preavviso e sono stato testato 10 volte in un anno”. E’ una protezione. Non accadrà mai che tutti la pensino allo stesso modo, ma è così.
  
Voi educate personalmente i giocatori a riguardo?
Lo facciamo in vari modi. Cerchiamo di stampare molto materiale, in cui si trovano le informazioni essenziali sul programma, dove è possibile ottenere le esenzioni per utilizzo terapeutico, informazioni sui prodotti proibiti, il funzionamento dei test…Mettiamo gli avvisi nella sale antidoping e negli spogliatoi, facciamo presentazioni in prima persona (tramite l’Università dell’ATP, ma abbiamo fatto qualcosa del genere anche durante la Davis Cup Junior). Inoltre abbiamo un servizio di assistenza, attivo 24 ore su 24, a cui i giocatori possono rivolgersi se hanno qualche dubbio.
 
Viene utilizzato?
Si, certo. Soprattutto quando i giocatori non hanno le informazioni con loro e non possono essere aiutati dal loro medico. E’ una risorsa in più. Abbiamo un sito dove pubblichiamo le informazioni…insomma, cerchiamo in vari modi di far arrivare il messaggio ai giocatori. Facciamo del nostro meglio. Purtroppo ci sono alcune persone che preferiscono non vedere le cose, ma noi facciamo del nostro meglio fino a dove è possibile farlo.