Il tennis neozelandese sta vivendo un momento drammatico. Ci sono alcune analogie con l'Italia: ex giocatori fatti fuori, cause legali, coach mai coinvolti, periferia in sofferenza…
Josè Rubin Statham, qui impegnato in Davis, è il numero 1 neozelandese
 
Di Riccardo Bisti – 5 ottobre 2012

 
12 ore di fuso orario. Una trentina d’ore di volo per arrivarci. La Nuova Zelanda è un altro mondo. Un mondo in crisi nera, nonostante l’importante tradizione. 29 anni fa, senza essere testa di serie, Chris Lewis andava in finale a Wimbledon, mentre una settantina d’anni prima il grande Anthony “Tony” Wilding vinceva sei prove del Grande Slam e spadroneggiava in Coppa Davis con la divisa dell’Australasia. Oggi sono sprofondati nel nulla. L’ultimo giocatore di buon livello è stato Brett Steven, mentre ora si sono ridotti a ringraziare i genitori di Marina Erakovic, croati, per essersi trasferiti ad Auckland quando la figlia aveva sei anni, garantendo almeno una top 100. Gioca benino, ma non è un fenomeno. Tra gli uomini è un disastro: non hanno un solo giocatore tra i top 300, e soltanto due nei primi 500: Josè Rubin Statham, 25 anni, numero 320, e il 28enne Daniel King Turner, numero 384. Cifre e prospettive inquietanti. Il 2012 è stato il punto più basso del tennis neozelandese. In Fed Cup non hanno nemmeno giocato, perché l’ITF li ha squalificati a causa della mancata presentazione al girone eliminatorio del 2011: Erakovic e Jones erano infortunate al polso, così Tennis New Zealand non mandò la squadra sperando di risparmiare i 50.000 dollari di iscrizione. L'ITF non ha gradito e ha squalificato il team per un anno, retrocedendolo d'ufficio. Non va tanto meglio agli uomini, che si sono fatti battere da Uzbekistan e India nel Gruppo I (zona Asia-Oceania), e adesso sono attesi da un delicato spareggio a Kaohsiung City contro Taipei. Sono sfavoriti, visto che gli avversari possono schierare Yen Hsun Lu e Jimmy Wang. Insomma, la retrocessione è dietro l'angolo. I tornei dello Slam sono una chimera, e soltanto una wild card ha consentito alla Erakovic di partecipare alle Olimpiadi di Londra. Naturalmente ha perso al primo turno. Eppure i “kiwi” avrebbero strutture, soldi e anche un buon torneo ATP-WTA (Auckland) che può fare da traino. Osservando la situazione in profondità, tuttavia, si capisce il perché di tante difficoltà. E vale la pena farlo, perché ci sono alcune (inquietanti?) analogie con l’Italia.
 
Steve Dries è un maestro di tennis, uno come tanti. Lavora a Timaru, nell’isola meridionale del paese, e lo fa molto bene. Nove dei suoi allievi sono arrivati alle finali nazionali. Mica male per una cittadina di 30.000 abitanti. Volendo estremizzare, Timaru è la Tandil neozelandese. Eppure il fenomeno è stato ignorato dalla federtennis locale. Nessuno ha preso contatto con lui per offrire qualche aiuto, o soltanto prendere coscienza della realtà. “Il consiglio federale non ha alcun contatto con la comunità del tennis – dice Dries – conoscono soltanto la realtà delle grandi città. In questo paese, il tennis è uno sport d'elite”. In effetti, l’iscrizione ai club è piuttosto cara. Risultato? I migliori talenti finiscono in altre discipline, un po’ come è accaduto in Italia con il calcio. Da quelle parti, poi, c’è il mito degli All-Black di rugby che sbaraglia la concorrenza. “Il Consiglio di Amministrazione continua a fare scelte sbagliate. Gli unici che hanno osato esprimere il loro dissenso sono stati Chris Lewis e Onny Parun (quest’ultimo ottimo giocatore degli anni 70, finalista all’Australian Open e numero 19 ATP, ndr), e sono stati puntualmente allontanati. Alcune regioni sono piene di debiti, e i migliori coach non sono supportati”. E allora succede che i migliori allenatori fuggono via, inseguendo le rotte del tennis mondiale. 
  
Eppure i bravi coach non mancano. Steve Guy si è trasferito in Germania, mentre Paul Dale si è costruito un’ottima posizione in Asia. Gebhard Gritsch ha avuto l’onore di entrare nel team di Novak Djokovic (come preparatore atletico), ma il neozelandese più famoso è Jack Reader, l’uomo che ha domato le bizze di Alexandr Dolgopolov, portandolo a ridosso dei top 10. Tutta gente che lavora fuori dalla Nuova Zelanda. Altro aspetto in comune con l’Italia, dove alcuni dei top coach seguono tennisti stranieri o sono addirittura costretti ad emigrare. Sul prossimo numero di TennisBest Magazine, in edicola a fine novembre, troverete un articolo sull’argomento. Il punto di riferimento, secondo alcuni, deve essere il Canada. Qualche anno fa, il tennis canadese era sotto zero. Allora hanno rivoluzionato i sistemi, partendo dalla base. Il governo ha investito un mucchio di denaro, hanno assunto un Amministratore Delegato di alto profilo e hanno chiamato una serie di coach dall’estero, capitanati dal francese Louis Borfiga (tra loro c’è anche il nostro “Indiana Coach” Roberto Brogin, felicissimo della sua esperienza). Borfiga ha rivoltato come un calzino il tennis canadese. “Quello che conta non è giocare una buona partita, ma vincere. Il primo messaggio che trasmetto è questo”. Brad Gilbert sarebbe fiero di lui. Il secondo messaggio, concordato con l’amministratore delegato Michael Downey, è di tipo umano. “I bambini devono avere i giusti valori. Educazione, correttezza e basso profilo”. E così è arrivato Milos Raonic, il team di Coppa Davis è volato in Serie A e da dietro spingono potenziali fenomeni come Filip Peliwo ed Eugenie Bouchard, campioni di Wimbledon Junior.
 
In Nuova Zelanda sono scoraggiati, perché il termine “vincere” non esiste tra i piani strategici della federazione. Il grido di dolore arriva dall’ex coach Michael Mooney, che se la prende con la scarsa esperienza del CEO di Tennis New Zealand, Steve Johns. “Proviene dal surf ed ha appena due anni di esperienza nello sport professionistico”. Tutti i dirigenti di TNZ non hanno un importante background tennistico. E allora che fare? Moore ha una proposta shock: “Tagliare del 50% l’organico federale, tagliare gli stipendi e promettere incentivi in caso di buoni risultati. I soldi risparmiati per il carrozzone federale potrebbero dare una mano ai migliori juniores, a partire dai 12enni. L’attuale consiglio? Non vedo altra strada: deve rassegnare le dimissioni”. Secondo Mooney, le chiavi per il rilancio partono dai migliori coach. Tuttavia sembrerebbe esserci un forte ostruzionismo, sfociato addirittura in azioni legali. Il deserto del tennis neozelandese è certificato dal fatto che si tratta del secondo sport per numero di praticanti, eppure non riesce a produrre mezzo giocatore. Onny Parun non le manda a dire: “A parte Brett Steven, l’attuale dirigenza non ha la competenza e nemmeno la capacità per cambiare la situazione. Siamo arrivati a questo punto per colpa di cattivi investimenti, scelte sbagliate e cattiva pubblicità. Non abbiamo giocatori, i coach sono osteggiati, la periferia non ha soldi…ma a loro sembra non interessare”. Quando è arrivato in Canada, Borfiga ha detto: “Semplicemente, manca la fame di vincere. Volevo solo far capire che non c’è un motivo per cui il Canada non possa vincere. Basta volerlo”. A quanto pare, in Nuova Zelanda non lo hanno ancora capito.


Tony Wilding è stato il più forte tennista neozelandese di sempre. Ha vinto 6 Slam prima di morire in combattimento, durante la Prima Guerra Mondiale