Jon Wertheim riprende gli spunti del famoso articolo del 1994. Come si è evoluto il nostro sport rispetto ai timori e alle proposte di diciotto anni fa? Scopriamolo insieme.
20 anni fa Jim Courier rifiutava le interviste…oggi le realizza!
 
Di Riccardo Bisti – 22 novembre 2012

 
Sono passati 18 anni dalla famosa copertina di Sports Illustrated. Era il 9 maggio 1994 quando una delle riviste più importanti del mondo strillava: “Is Tennis Dying?” (“Il tennis sta morendo?”). All’interno c’era un lungo articolo-inchiesta a firma di Sally Jenkins, in cui si prendeva spunto da alcuni indicatori negativi (a partire dal calo di spettatori) per descrivere un periodo di recessione per il tennis. Jenkins aveva individuato 10 punti, proponendo altrettante soluzioni per ridare slancio a uno degli sport più prestigiosi. E pensare che nel 1994 c’erano tantissimi personaggi: Pete Sampras, Andre Agassi, Boris Becker, Stefan Edberg, Goran Ivanisevic…fu anche l’ultimo anno di Ivan Lendl. Il tempo è galantuomo, e riconosce il giusto valore a un periodo che all’epoca non fu molto apprezzato. A dire il vero, le finali di Parigi (Bruguera-Berasategui) e Wimbledon (il peggior Sampras-Ivanisevic che si ricordi) non furono entusiasmanti. Dopo tanti anni, è la stessa Sports Illustrated a riprendere l’argomento grazie al “TENNIS MAILBAG” di Jon Wertheim, rubrica di botta e risposta tra i lettori e il noto giornalista yankee. Riprendiamo i 10 punti di Jenkins e inseriamoli nel contesto di oggi, per capire se aveva davvero centrato il punto o se il tennis è risorto. O entrambe.
  
1) Impedire agli under 17 di giocare più di 8 tornei.
Superata. Eravamo scottati dal caso di Jennifer Capriati; fenomeno a 14 anni, a 18 fu trovata a rubare bigiotteria e fumare marijuana. I casi Austin, Becker, Chang, Seles, Capriati e per ultimo Nadal, non esistono più. L’età media è cresciuta a tal punto che non c’è un under 20 tra le prime 30 WTA e tra…i primi 250 ATP! Oggi è impensabile che un 16enne, non ancora formato fisicamente, possa vincere uno Slam.
 
2) Eliminare tante gratuità e agevolazioni per i tennisti.
Secondo Wertheim, è legato al punto 1. Non essendoci più tanti teenagers, il rischio di adolescenti viziati dal professionismo precoce è inferiore. Certo, ad alti livelli si cade nel lusso sfrenato. Roger Federer può avere l’autista personale, e Serena Williams si lamenta se non la piazzano in suite. Tuttavia è sempre stato così. Forse ci vorrebbe meno lusso nei grandi tornei e qualche aiuto in più a bassi livelli (istituire l’ospitalità in tutti i tornei futures?).
  
3) Istituire un Commissioner.

I contrasti che attanagliano il tennis derivano dalle troppe sigle che lo comandano: ATP, WTA, ITF, le varie federazioni nazionali…un commissario indipendente, senza conflitti di interesse, potrebbe essere una buona idea per risolvere tante problematiche: i calendari, i prize money, le Olimpiadi, Davis e Fed Cup, antidoping…il problema è vivo ancora oggi, ma nessuna istituzione sarebbe disposta a cedere un po’ del suo potere per lasciare spazio a un organo indipendente. Ma sarebbe una grande idea.
 
4) I tennisti hanno scarsa disciplina.
18 anni fa eravamo reduci dal trio di maleducati più carismatici della storia: John McEnroe, Jimmy Connors e Ivan Lendl. E anche Agassi non scherzava. In un eccesso di buonismo, Jenkins auspicava un ritorno ai gesti bianchi. E’ stato accontentato oltre misura. Adesso i tennisti sono tutti sorridenti, carini, impostati…noiosi! Sarebbe meglio tornare indietro, magari non fino in fondo. Federer, Nadal, Djokovic e Murray si barricano dietro le dichiarazioni di facciata, e per divertirci un po’ dobbiamo ricorrere alle bizze di Bernard Tomic. Il problema è che sono cambiati i tempi.
 
5) Perché non fare un sorriso?
Legato al quarto punto. Se c’è qualcosa che oggi i top-players non lesinano, sono i sorrisi. Jenkins si rifaceva a Jim Courier: gli avevano chiesto se aveva qualcosa da dire alla folla e lui rispose “no”, andando via. Oggi Jim il rosso fa le interviste sul campo ed è uno dei più acuti commentatori. E’ stato il primo a riconoscere l’importanza della comunicazione. Il problema è stato risolto. Tuttavia sarebbe meglio qualche sorriso in meno e qualche incazzatura in più.
 
6) Stoppare la tentatazioni di mollare le partite.
Jenkins diceva: “Succede, e lo sanno tutti”. E pensare che non c’erano le agenzie di betting online…Secondo Wertheim è un problema minore. A suo dire, gli Slam e i tornei più importanti garantiscono stimoli sufficienti. E’ vero, anche perché il nuovo sistema di classifica penalizza le “sciolte” con degli zero in classifica (mentre il vecchio best 14 sembrava quasi incentivarle). Il problema è cambiato: con un giro di scommesse miliardario non si sa mai cosa c’è dietro una partita. Sono decine i match sospetti. Ma il mercato nero ci sarà sempre, e non serve a nulla cacciare gli scommettitori dai tornei.
 
7) Istituire delle pro-am ad ogni torneo.
Secondo Jenkins, i giocatori dovevano coinvolgere gli sponsor. Oggi è il contrario. Sono le aziende che corrono dietro alle superstar. L’idea sembra un tantino anacronistica perché i tempi sono cambiati. I rapporti tra tennisti e sponsor si sono evoluti, tanto che una cena di gala o un evento extra-tennis è molto più indicato di un torneo, dove il giocatore è concentrato su allenamenti e partite. Avrebbe ancora un senso nei tornei minori.
 
8) Togliere l’obbligo del silenzio.
Frase leggendaria: “Come è possibile che un battitore di baseball possa tirare una palla a 150 km/h con 80.000 persone che urlano, e un tennista non possa giocare una volèe se uno spettatore starnutisce?”. Wertheim non dà grossa importanza al problema: secondo noi è un argomento interessante. Lasciamo l’obbligo di stare fermi nelle prime file, ma liberalizziamo il tifo in piccionaia. Si avvicinerebbero al tennis nuove categorie di appassionati e si svecchierebbe l’immagine di sport un po’ ingessato. In fondo, non crediamo che il tennis sia uno sport a rischio hooligans…
 
9) Abbreviare il tempo tra un punto e l’altro.
“Nessuno spettacolo sportivo dovrebbe durare più di 3 ore, specie se ha poco gioco effettivo. E allora perché i tennisti hanno bisogno di 25 secondi tra un punto e l’altro? Il gioco è migliore se continuo. Si potrebbe mettere un timer sul campo, e se non si riprende entro 15 secondi si perde il punto”. E’ un argomento molto dibattuto. La finale dell’Australian Open tra Nadal e Djokovic ha raggiunto picchi esagerati, con una media di 33 secondi tra un punto e l’altro. Il principio è giusto, ma è dura trovare una soluzione. Non tutti i punti sono uguali: alcuni scambi richiedono anche un minuto per recuperare, altre volte si può riprendere dopo 5 secondi. Solo i giudici di sedia potrebbero regolare la situazione, affidandosi al buon senso.
 
10) Distribuire la ricchezza.
Argomento che trascende il tennis. Il tennis non è uno sport accessibile a tutti. E’ dunque possibile che tanti talenti nati a Detroit o Chicago non abbiano mai preso una racchetta in mano. Andre Agassi e John McEnroe la pensano così. Il Kid di Las Vegas, riferendosi ad alcuni ragazzi di periferia, disse: “Se mettete loro una racchetta in mano potrebbero farmi sembrare un giocatore di club”. Oggi le cose sono cambiate. Non solo con la scuola di Agassi, l’accademia di McEnroe o la strada battuta dalle sorelle Williams. Oggi il tennis è più globale che razziale. Decine di paesi hanno buoni giocatori, l’accesso è meno elitario e solo l’Africa nera è rimasta indietro (proprio per questo, l’ITF destina parecchi fondi a quelle zone). La strada auspicata da Jenkins è stata battuta grazie alla sensibilità dei campioni e a una generale evoluzione della società. Si può sempre fare meglio, ma la strada è giusta.
 
Il viaggio nel 1994 ci ha fatto capire quanto sia cambiato il mondo e – di conseguenza – anche il tennis. I problemi di allora sembrano noccioline rispetto a quelli di oggi: la tecnologia sfrenata (eccessiva?), il fantasma delle scommesse, l’incubo del doping, il declino del tennis college (problema soprattutto americano), le battaglie politiche tra le varie associazioni. Conclusioni? I tempi cambiano, così come le criticità. I problemi c’erano ieri, ci sono oggi e ci saranno domani. Tuttavia il tennis non è a rischio. Crediamo che riuscirà ad andare avanti (bene) anche quando la generazione di Roger Federer appenderà la racchetta al chiodo. E sarà la più importante dimostrazione di forza.