Per fare da ball boys all’Australian Open bisogna sottoporsi a una disciplina durissima e 9 mesi di preparazione. Scopriamo il dietro le quinte di un mondo poco conosciuto.
I raccattapalle dell’Australian Open in azione
 
Di Riccardo Bisti – 14 dicembre 2012

 
Nel tennis c’è una categoria tanto visibile quanto silenziosa. Tanto importante quanto modesta. I raccattapalle sono fondamentali per il buon svolgimento del gioco. Lo sanno e ne avvertono la tensione. La ricompensa? Qualche attimo di visibilità in TV, magari accanto ai campioni del momento. Per un istante, si sentono parte integrante dello spettacolo. Spesso si tratta di ragazzini presi dalle scuole tennis del posto, più raramente di adulti. L’unico torneo dove il ruolo di ball-boys viene affidato ai grandi è lo Us Open, dove capita spesso di vedere raccattapalle più alti delle tenniste. Hanno un modo di lavorare tutto loro: al termine di ogni game, le palline non passano da un lato all’altro rasoterra. Se le tirano come veri e propri lanciatori. Non a caso siamo nella patria del baseball. Nei tornei più importanti, per essere ammessi al ruolo, bisogna effettuare dei corsi veri e propri. Famosi quelli del Roland Garros, dove i ragazzi si sottopongono a una versione gioiosa (e giocosa) di Full Metal Jacket. In questi giorni, i tornei di inizio stagione stanno ultimando la preparazione. All’Open d’Australia vedremo in azione 400 raccattapalle, scelti da una gamma iniziale di 2.000 candidati. Le selezioni sono piuttosto dure: i ragazzi (di età compresa tra i 12 e i 15 anni) devono sviluppare ogni competenza e non possono commettere errori. Proprio per questo, le lezioni iniziano con grande anticipo rispetto al torneo. All’Australian Open mancano appena 30 giorni, che diventano 24 se consideriamo le qualificazioni. Non ci crederete, ma i raccattapalle sono all’opera addirittura da marzo, con 9 mesi di anticipo!
 

Nel corso degli anni, il ruolo si è evoluto. Prima dovevano soltanto recuperare le sfere gialle e passarle ai giocatori. Oggi si devono occupare di cibi, bevande, asciugamani (ormai i giocatori lo vogliono dopo ogni punto…), della plastica che contiene le racchette nuove…sono dei veri tuttofare, arredi mobili del teatro tennistico.  In questi nove mesi, lo screening dei candidati si snoda in varie fasi. Inizialmente ci sono due fasi di selezione. Superate quelle, inizia l’allenamento vero e proprio. Il filtro, apparentemente severo, è perfetto per selezionare i migliori. Così capita di trovare il ragazzo che si concede un momento di gloria se riesce ad afferrare al volo una palla di Federer, mettendo in mostra un riflesso degno di Buffon. La fase 1 scatta nei club di Melbourne e del Victoria. Per entrare tra i candidati bastano competenze primarie: nozioni minime nel lancio della palla, nell’afferrarla…in altre parole, vengono eliminati soltanto quelli senza i requisiti fisici. La fase 2 si svolge direttamente a Melbourne Park, per far prendere confidenza con i campi del torneo. Il lavoro inizia ad essere più specifico: concentrazione, precisione, coordinazione, velocità…tutto viene analizzato molto attentamente per capire il potenziale di ciascun candidato. E’ la parte più dura, in cui ragazzi ancora molto giovani vengono abituati a una disciplina quasi militare. Da qui emergono i 400 prescelti che vedremo in mondovisione dal 13 al 26 gennaio.
 
I prescelti si conoscono a giugno, sei mesi prima del torneo. Ma il lavoro non affatto terminato. A settembre, con l’arrivo della primavera, inizia il lavoro per sviluppare le abilità richieste durante il torneo, fino a simulare situazioni reali. La fase-clou della preparazione si svolge a dicembre, con i raccattapalle impegnati nel “December Showdown” organizzato dal Tennis Australia. In particolare, prestano servizio nei campionati australiani Under 18 e nei play-off che mettono in palio una wild card per Melbourne. Una prova generale vera e propria. Esistono degli incentivi per i più bravi: oltre a quelli che passano i test, ci sono alcuni posti riservati: i migliori due dei tornei di Brisbane, Hobart e Sydney 2012 hanno il posto garantito, così come i 15 che hanno lavorato all’ultima finale dell’Australian Open. Ci sono poi 20 sudcoreani scelti da Kia, main-sponsor del torneo. In realtà, i raccattapalle non sono quasi mai pagati. Come detto, in quasi tutti i tornei ci si rivolge a ragazzi in età scolare (per questo è molto difficile che l’Australian Open possa cambiare data: in gennaio è piena estate e le scuole sono chiuse, mentre a febbraio-marzo sarebbe più complicato). Per molti di loro, la possibilità di stare in campo insieme ai campioni è già una bella ricompensa. Se poi aggiungiamo l’omaggio del materiale sportivo (magliette, polo, pantaloncini ufficiali), il gioco è fatto. Il lavoro sembra facile: in fondo si tratta di passare le palline ai giocatori ed esaudire ogni richiesta. Ma la tensione di un match impone la perfezione del lavoro. Ci vuole grande intesa tra compagni, precisione e puntualità nel lanciare la palla, concentrazione nel seguire il punteggio e intuire gli sviluppi della partita. E volte capita che il meccanismo faccia cilecca, e i bambini diventano protagonisti involontari. Se i giocatori sanno capire il momento, certe scene diventano simpatiche (la pallina che si incastra sulla rete, qualche difficoltà di comunicazione), altrimenti c’è il rischio di alimentare la tensione. In certi casi, i raccattapalle hanno la grande chance di palleggiare con i campioni quando uno dei due avversari cede loro la racchetta. Quello è un momento di gloria che non ha prezzo nè può essere sostituito. E fa dimenticare 9 mesi di dura formazione.