Guillermo Alcaide è l’ennesima vittima dei costi del tennis. Si è ritirato a 25 anni dopo aver perso uno sponsor. “Sembra che esistano solo i top 10. E se io fossi uno sponsor investirei su un torneo piuttosto che su un giocatore”.
Guillermo Alcaide ha vinto 5 tornei futures, tra cui uno in Italia (a Cesena)
 
Di Riccardo Bisti – 23 dicembre 2012

 
Saranno stati quei sette giorni a fare la differenza, chissà. Guillermo Alcaide è nato il 27 maggio 1986, una settimana prima di Rafa Nadal. Ma la sua carriera è stata molto diversa. Nadal sta per tornare a giocare sotto l’occhio dei riflettori, mentre il povero Alcaide è già un ex, ad appena 26 anni. Ma la sua storia non è come quella di Alberto Mancini, che si era ritirato a 25 anni perché non aveva più voglia. No, Alcaide ha dovuto smettere perché non aveva più soldi. Un po’ come Karen Castiblanco, ragazza colombiana che ha dovuto alzare bandiera bianca dopo aver chiesto aiuti a tutto il mondo. Eppure Guillermo non era male: nel 2010, sotto la guida di Tati Rascon ed Oscar Burrieza, ha cambiato marcia. Si è aggiudicato un future in Portogallo (battendo il futuro top-50 Benoit Paire), poi aveva iniziato a giocare bene nei challenger. Alcuni quarti di finale e la semifinale a Brasov gli hanno permesso di entrare tra i top 200. Ma il grande ricordo della sua carriera resterà la qualificazione a Wimbledon: battendo Young, Brzezicki e Kirillov fece il salto da Roehampton a Church Road. Perse da Gilles Simon, ma ce n’era abbastanza per essere ottimisti. Le cose sono andate peggio nel 2011, quando non è riuscito a confermarsi. Sconfitte, delusioni e un piccolo infortunio lo hanno fatto precipitare al numero 389 ATP. E gli sponsor sono scivolati via, come acqua tra le dita. Un modesto future spagnolo è stato il suo ultimo torneo. Non ha neanche giocato la sua ultima partita, giacchè si è ritirato prima di affrontare il portoghese Goncalo Falcao. Senza sponsor, e senza una famiglia in grado di accollarsi i costi di una carriera da professionista, ha capito che non c’era più niente da fare. E ha alzato bandiera bianca. Oggi lavora come coach per la federazione madrilena, segue qualche ragazzo e si diletta con le gare a squadre. “Sinceramente sono contento di come vanno le cose in questo momento – racconta – lavoro presso la SD Academy, quella di Moya e Carretero. Credo sia uno di posti migliori per iniziare la mia carriera di coach”.
 
Ma alla fine il discorso cade sempre lì, sull’assenza degli sponsor. C’è uno Janowicz che emerge, ma decine di ragazzi restano nel limbo, senza speranze né prospettive. Le imprese del polacco hanno avuto il merito di far emergere le difficoltà di chi frequenta il circuito minore. Adesso le aziende se lo contendono, ma prima doveva fare tutto da solo. “Io ho avuto la fortuna di avere uno sponsor – dice Alcaide – e mi ritengo fortunato perché è molto difficile trovarne uno. Il problema del tennis è che hai bisogno di girare il mondo, ma sembra che esistano solo i top 10. Eppure ci sono centinaia di altri giocatori e nessuno si preoccupa di loro. Fino a quando non si ammetterà che il tennis offre un grande livello non solo a livello di top 100, sarà molto difficile ottenere un aiuto per chi frequenta i challenger”. Alcaide pone l’accento su una questione poco dibattuta: le regole ATP che non invogliano gli sponsor. Ad esempio, ci sono regole molto rigide sulle dimensioni dei marchi nelle divise dei tennisti. “Se io fossi uno sponsor preferirei aiutare un torneo: il logo è 100 volte più grande di quello indossato da un giocatore”. Alcaide è consapevole che l’età dell’oro del tennis spagnolo è giunta a un bivio. La straordinaria generazione che da 20 anni li tiene in cima non sembra avere ricambi all’altezza. Dipende dalla crisi economica e dalla sparizione di tornei, ancor più sensibile che in Italia. “Credo che sia una situazione pericolosa per il nostro tennis. Un consiglio per un giovane? Restare paziente, non avere fretta. Il più grande errore della mia carriera è stata la mancanza di pazienza”. Adesso proverà a trasmettere questo valore ai suoi ragazzi, nel ricordo della sua passione per Roger Federer e di quelle speranze neanche troppo lontane, quando sperava di chiudere una stagione vicino ai top 100. Adesso è tutto finito, e non soltanto per colpa sua.