La numero 1 britannica Heather Watson si sente un po’ solo quando è in giro per il mondo, ma da quando ha allontanato la madre dal team tecnico ha fatto il salto qualità. E nel 2013…
Heather Watson ha partecipato, da ospite, alla tappa londinese del Senior Tour
Di Riccardo Bisti – 25 dicembre 2012
Hai 20 anni e sei la numero 1 della Gran Bretagna. Dovresti essere al settimo cielo, invece il sorriso e la freschezza dei 20 anni sono assenti. E non è solo il freddo di Londra che si infila sotto la pelle di una ragazza abituata al sole della Florida. Per Heather Watson, Natale è tempo di riflessione. E ha il coraggio di dire quello che molte colleghe pensano e basta. “Spesso mi sento sola. Adesso che sono a casa voglio vedere tutti, amici e parenti. Durante la stagione non è possibile, sei sempre in giro tra la sede degli allenamenti e un hotel. Il tennista trascorre un mucchio di tempo in solitudine”. Mentre dice queste parole fissa il vuoto, pensierosa. Eppure avrebbe molto da festeggiare, a partire dal primo titolo WTA sul cemento di Osaka. E poi ha raggiunto il terzo turno a Wimbledon. Ma questa vita non le piace. Paradossalmente, la sua socievolezza non trova sfogo tra le campionesse di ghiaccio del circuito WTA. “Si, in effetti non trovo grande sintonia. Tutto questo ha alimentato il senso di solitudine. Ma credo di capire perché si comportano così. Pensano che questo atteggiamento serva a concentrarsi. Loro non credono di frequentare amiche, ma soltanto avversarie. E’ il nostro lavoro, ma è dura”. La Watson ha qualche amica nel tour: la connazionale Laura Robson e la compagna di doppio, la neozelandese Marina Erakovic. E proprio in Nuova Zelanda inizierà il suo 2013, con il torneo di Auckland. I primi tornei saranno fondamentali, perché nel 2012 ha iniziato malissimo. Si era slogata la caviglia il giorno di Natale, giocando a calcio. A Melbourne prese una stesa dalla Azarenka e non ha vinto una partita per tre mesi. “Non mi era mai successo di perdere quattro partite di fila. Ero depressa, infelice. Ogni mattina, quando mi svegliavo, non volevo andare a giocare. Volevo restare a letto”.
Ma dopo il tunnel c’è sempre la luce. I primi spiragli sono arrivati a a Miami, anche se il sorriso era ancora in divenire. “C’è stato un grande cambiamento nel mio modo di comportarmi. Perdevo e tra me e me pensavo: “Qual è il problema?” è stata una grande lotta. Amo il tennis, è quello che voglio fare. Ma poi arrivi ad odiarlo, e non è giusto”. Il cambiamento è stato uno dei più dolorosi, ma era inevitabile. Allontanare la madre dal suo team. Mamma Michelle, originaria della Papua Nuova Guinea, era la sua guida dal 2006, quando hanno preso un aereo e sono andate all’accademia di Nick Bollettieri. A Bradenton si è costruita come giocatrice. Ma ormai il rapporto si era deteriorato, non facevano altro che litigare. “E questo non aiutava il mio stato mentale. Da sola, riesco a concentrarmi molto meglio. Quando viaggi con qualcuno non devi neanche pensare a quale gate imboccare quando sei all’aeroporto, perché è già tutto pronto. Se lasci queste cose sei più consapevole, ed è questa la ragione per cui sono riuscita a trovare una dimensione professionale”. Memore dei rapporti professionali tra madre e figlia, su tutti quello tra Martina Hingis e mamma Melanie Molitor, la Watson è convinta che una madre debba limitarsi a fare quello. “Perché se alleni, rischi di essere troppo coinvolta”. Adesso si allena con coach Mauricio Hadad, ex giocatore colombiano, e il preparatore atletico Flo Pietzsch.
Il nuovo obiettivo è entrare tra le prime 10. Prima si parlava di top 100 o top 50. Adesso che è numero 49 ha nuovi scogli. Poi può contare sul sostegno del padre. “Lui è molto realistico con me. Mi chiede se il tennis fa davvero per me, oppure se meglio che io torni a scuola. La sua onestà mi ha aiutato”. Le prospettive sono cambiate dopo il successo a Osaka, in cui è diventata la prima britannica a vincere un torneo WTA dal 1988. L’ultima a riuscirci era stata Sara Gomer nel 1988. E poco importa che non abbia battuto neanche una top 50. “Non ne potevo più, volevo scrollarmi questo peso di dosso. Ci voleva proprio, poi mi ha fornito una grande motivazione”. Eppure il sorriso non arriva. Ma Heather è una ragazza, e allora basta passare davanti a un negozio di scarpe e vedere un paio di Christian Louboutins. “Ah, mi sono sempre piaciute. Adoro quelle con la punta di camoscio grigio”. Non è che si sta imborghesendo con i primi soldi? In fondo non ci sarebbe nulla di male. “Macche! L’altro giorno sono andata da H&M e ho comprato tre top a un prezzo bassissimo. Vado ancora a caccia delle occasioni!”. E finalmente si scioglie in un sorriso, ricordando che progetta di acquistare un apparamento accando al Centro Tecnico Nazionale di Roehampton. “Eh si, a Londra costano troppo…”
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