Don Catlin, uno dei massimi esperti antidoping, è scettico sulla scelta di adottare il passaporto biologico. “Possono servire anni per ottenere i risultati. Ci vogliono molti più soldi”. Le statistiche del 2012. 
Don Catlin al lavoro nel suo laboratorio
 
Di Riccardo Bisti – 13 marzo 2013

 
Il campanello d’allarme arriva dalle pagine del quotidiano britannico “The Guardian”. Nei giorni scorsi, il tennis ha scelto di affidarsi al passaporto biologico per dare un impulso all’antidoping. Lo strumento non serve a individuare sostanze proibite, ma ne rende più facile la tracciabilità. Nelle altre discipline, ha causato più di una squalifica. Ma Don Catlin, uno dei maggiori esperti di antidoping, è molto scettico sulla strategia. “Sarebbe meglio raddoppiare o triplicare il numero dei test, piuttosto che investire tutto sul passaporto. Quest’ultimo ha bisogno di tempo per ottenere risultati: potrebbero essere necessari i dati di 4-5 anni". Catlin, 74enne, ha lavorato per 25 anni presso l’Olympic Analytical Laboratory presso l’Università di Los Angeles, mentre adesso è CEO dell’Anti-Doping Research. A suo dire, le mosse del tennis sono una risposta alle pressioni dell’opinione pubblica piuttosto che una strategia vera e propria. “Mi sembra che facciano così perché sono apparse tante critiche sui giornali – dice Catlin – funziona sempre così: ogni volta che c’è pressione, lo sport si sveglia. Ma poi si rendono conto che non è cambiato nulla. Non voglio essere critico con chi prova a fare qualcosa. Ma fare soltanto due passi quando ne sono necessari 100, non va bene. Lavorare sui primi 100 al mondo è una buona idea, ma se poi li controlli 4-5 volte all’anno…forse il tennis non può pemettersi di fare più di tanto. Oppure non vuole. Se non inizi a fare qualcosa di serio, difficilmente andrai lontano”.
 
Il passaporto biologico crea il profilo individuale dell’atleta. Se gli atleti si discostano dai parametri impostati nel tempo, si può ragionevolmente parlare di doping. Il progetto ha dato buoni risultati per ciclismo e atletica, così il tennis sta provando a riconquistare un po’ di credibilità perduta. Secondo alcuni campioni (Federer e Murray su tutti) le rivelazioni di Lance Armstrong hanno gettato un’ombra su tanti sport, tennis compreso. Ma se il montepremi dei grandi tornei continua a crescere, il budget antidoping continua ad essere basso. Nel 2012 era di circa 2 milioni di dollari, di cui il 20% per amministrare il programma. A seguito dell’incontro della scorsa settimana, le autorità hanno aumentato gli investimenti. Nel 2013, le risorse aumenteranno a 3,5 milioni. Secondo Catlin non basta. “Vi spiego come funziona il passaporto: prendi la persona giusta al momento giusto, la controlli per 4-5 volte e verifichi i suoi valori. Se si allontana da quella media, significa che qualcosa non va. A parte i problemi legali, le prove biologiche non basteranno. Ci vorranno esperti in grado di interpretare i risultati, persone che lavorano i dati e altre che li controllano. Non si può fare molto fino a quando non hai tre campioni della stessa persona. Da quel punto in poi, si può costruire. Ma se non fai un numero sufficiente di test, non sarai mai efficace. Ci vogliono risorse importanti”: Il tennis ha già attivato i test in grado di rilevare la presenza di EPO (l’eritropoietina, rilevabile tramite le urine) e HGH (l’ormone della crescita, con i controlli sul sangue). Tuttavia, Catlin dice che per essere “beccati” bisogna essere davvero stupidi. “Per evitare la positività basta fermarsi per qualche ora”.
 
Da parte sua, l’ITF difende la scelta di adottare il passaporto biologico. “Il nostro gruppo di lavoro ha identificato il passaporto biologico come un elemento chiave per il rilevamento e la dissuasione dal doping – ha detto il capo Stuart Miller – la scelta è stata presa seguendo le indicazioni della WADA (l’agenzia mondiale antidoping, ndr), comprese quelle sul bilancio”. Catlin non è convinto. A suo dire, se il tennis non aumenta considerevolmente il budget, le cose cambieranno poco. “A mio avviso, il tennis è indietro rispetto agli altri sport. Il doping non se ne va da solo, c’è bisogno di test indipendenti”. Nel frattempo, l’ITF ha rivelato le statistiche dei controlli relative al 2012. Il numero complessivo è aumentato di appena 35 unità (2185 contro 2150). Sono aumentati i test fuori dai tornei (334 contro 216), e triplicati quelli sul sangue fuori dalle competizioni (63 a 21, equilibrati tra uomini e donne mentre fino all’anno scorso erano quasi esclusivamente sugli uomini). E i singoli giocatori? Da qualche anno, l’ITF non svela il numero esatto di controlli a cui sono stati sottoposti, ma li inserisce in un range: (da 1 a 3, da 4 a 6 e da 7 in su). Nel 2012, hanno subito un test 656 giocatori. Di questi, 154 sono stati controllati al di fuori dalle competizioni. L’unico che ha subito almeno 7 controlli extra-tornei è stato Rafael Nadal (ovvio, visto che è stato lontano dal circuito per oltre metà anno). Quasi tutti entravano nel range 1-3, mentre vale la pena segnalare i giocatori che hanno subito da 4 a 6 controlli fuori dalle competizioni: Jie Zheng, Marin Cilic, Tomas Berdych, Lucie Hradecka, Radek Stepanek, Klara Zakopalova, Barbora Zahlavova Strycova (poi risultata effettivamente positiva), Andreas Seppi, Ernests Gulbis, Monica Niculescu, Nicolas Almagro, Pablo Andujar, David Ferrer, Marcel Granollers, Anabel Medina Garrigues. Da segnalare che ha subito almeno una visita dell’antidoping anche Robin Soderling, fermo dal luglio 2011. Un giocatore non è più soggetto ai controlli antidoping se esce dal ranking, quindi il controllo deve essere avvenuto entro il mese di luglio. Di questi 16 giocatori (17 se consideriamo anche Nadal), 11 provengono da Spagna e Repubblica Ceca. Viene da domandarsi come mai l’antidoping abbia focalizzato i test fuori dalle competizioni su questi due paesi.