Un esule cubano, ubriaco fradicio, provò a frantumare la carriera di Thomas Muster. Non ci riuscì. Thomas tornò più forte di prima e vinse l’ultimo torneo proprio a Miami.
Muster batte Noah a Miami 1989. Qualche ora dopo, sarebbe cambiato tutto
Di Riccardo Bisti – 21 marzo 2013
Miami è una delle città più goderecce del pianeta. Con il suo clima, le sue spiagge, i suoi locali, è tra le mete preferite dai giovani di mezzo mondo. I tennisti non fanno eccezione: non è un caso che diverse accademie (compresa quella di Nick Bollettieri) sorgano proprio in Florida. Lo sa bene Richard Gasquet, che da quelle parti ha esagerato con la mondanità. Un bacio galeotto con la misteriosa Pamela gli è costato una sanzione per doping. A parte questo, il Sony Open (ex “Lipton”) è uno dei tornei più amati dai giocatori. E’ così per tutti, tranne uno. Thomas Muster non dimenticherà mai il 1 aprile 1989. Purtroppo per lui, non era un pesce d’aprile. L’austriaco, 21 anni, si stava costruendo una signora carriera. Nato e cresciuto sulla terra rossa, aveva imparato a giocare sul cemento. Giunto in semifinale a Miami, rimontò due set di svantaggio a Yannick Noah e lo schiantò alla distanza. In finale avrebbe trovato Ivan Lendl: previsti schiaffi e urla, magari qualche insulto. Dopo doccia, massaggi e conferenza stampa, Thomas stava tornando in hotel. Affamato, si fermò a metà strada per comprare qualcosa da mangiare. Mentre stava recuperando il portafoglio dal bagagliaio, un’enorme Lincoln Continental 1983 si è schiantata sulla sua auto. Al volante c’era l'esule cubano Robert Norman Sobie. 37 anni, ubriaco fradicio, senza patente e senza un soldo. Uno di tanti latinos che cerca fortuna negli Stati Uniti ma vive sulla soglia della povertà. L’impatto fu violentissimo: lo avesse colpito, Muster sarebbe morto sul colpo. Gli andò bene, ma il paraurti gli tagliò sia il collaterale mediale che il legamento crociato anteriore del ginocchio sinistro. Non era chiaro se avrebbe ripreso a camminare, figurarsi a giocare a tennis.
Muster fece un volo di sei metri, frantumandosi il ginocchio ma salvandosi la vita. La borsa da tennis rimase schiacciata sotto le ruote dell’auto. Sembrava la macabra metafora di una carriera finita ancor prima di cominciare. “Ero stordito e scioccato – ha scritto Muster nella sua autobiografia – non mi ero reso conto della gravità dell’infortunio. Il dolore era intenso, il ginocchio era gonfio e i pantaloni della tuta erano strappati. Sanguinavo molto. Eppure spazzolai tutto lo sporco e dissi al mio coach Ronnie Leitgeb: “Tranquillo. Domenica gioco contro Lendl. Se sarà necessario, bendiamo il ginocchio’”. Niente di tutto questo. La finale non si giocò (fu sostituita da un'esibizione tra Lendl e lo svizzero Jacob Hlasek) e per Muster fu necessaria una delicata operazione chirurgica. Il futuro era pieno di ombre, ma la sorte non aveva fatto i conti con il guerriero di Leibnitz. Uno degli slogan preferiti di tanti gruppi ultras è: “Se il destino è contro di noi…peggio per lui”. Si addice perfettamente a Muster. Per un attimo pensò al ritiro, è vero. Ma poi progettò una panca speciale che gli consentisse di allenarsi anche con la gamba ingessata. “Il giorno più notevole della mia vita è stato quando ho messo Thomas sul campo su questa sedia – racconta Ronnie Leitgeb, che poi fu fondamentale nella crescita del nostro Gaudenzi – poteva tirare dritto e rovescio da seduto. Due settimane prima, appena uscito dall’ospedale, mi disse che non avrebbe più corso in vita sua. Ne aveva abbastanza di allenarsi. Ma aveva gli occhi tristi. Appena ha visto quella sedia, è riapparso il sacro fuoco dell'agonismo”. La storia è nota: sei mesi dopo era già in campo e si è costruito la carriera che conosciamo, culminata nella vittoria al Roland Garros e nel raggiungimento del numero 1 ATP. Muster non ha mai mostrato amarezza o rancore per quell’episodio. E non si è mai domandato dove sarebbe potuto arrivare senza quella terribile sfortuna. “Non sono arrabbiato. Sobie era un povero ragazzo, gli avevano già ritirato la patente un paio di volte. Queste cose possono succedere in pochi secondi. Ovviamente ho pensato alla mia carriera, ma avevo fiducia nei medici”.
Subito dopo l’incidente, avvenuto poco prima della mezzanotte, Sobie provò a fuggire. Dopo l’impatto, fece inversione e scappò via. Fu la fuga più breve del mondo: dopo meno di 200 metri è andato addosso a un muro e ha perso il controllo. La corsa della sua Lincoln Continental 1983 si è fermata contro un albero, ironicamente davanti al Miami Shopping Mall dove Muster aveva intenzione di comprarsi un sandwich. Un dannato sandwich. Ma se l’ubriaco cubano provò a scappare, Muster non si è mai tirato indietro. Ha continuato a giocare a Miami come se niente fosse, anche se il cemento era diventato una superficie ostica per i suoi legamenti ricostruiti artificialmente. Vinse tutto quello che desiderava, ma gli mancava la chiusura ideale del cerchio: un trionfo a Crandon Park, laddove avevano provato a tranciargli i sogni. L’occasione è arrivata nel 1997: via Stafford, Haas, Corretja, Bjorkman e Courier. Dopo la semifinale, evitò di andare a caccia di un fast food e fu aiutato dalla sorte: Sergi Bruguera mandò a casa Pete Sampras e si fece maciullare in finale: 7-6 6-3 6-1 e titolo ATP numero 44. L’ultimo. Chissà se Robert Norman Sobie era davanti alla TV, quel 30 marzo 1997.
Grazie Rafa, modello di talento e intelligenza
Un campione unico, buono, intelligente, amato da tutti, fan e avversari, anche il suo più grande foto Ray Giubilo...