Petar Popovic, coach di Andrea Petkovic, ne è sicuro. “E’ nel nostro destino”. Dopo sfortune inenarrabili, la tedesca è al terzo turno a Miami. “Ho capito che gli allenamenti non sono solo quantità”. 
Le lacrime di Andrea Petkovic nel giorno dell’ultimo infortunio
 
Di Riccardo Bisti – 22 marzo 2013

 
Un brivido ha percorso la schiena. Accanto al risultato del match tra Andrea Petkovic e Marion Bartoli è comparso il termine “ret.”. “Vuoi vedere che la tedesca si è fatta male di nuovo, e stavolta deve alzare bandiera bianca sul serio?”. Stavolta le è andata bene: sul 6-3 4-1, la Bartoli si è ritirata per un dolore al piede sinistro. Finalmente un colpo di fortuna per la giocatrice più sfigata degli ultimi 10 anni. Andrea Petkovic, “Petkorazzi” come ama farsi chiamare, è la più simpatica del tour. Spiritosa da morire, gira alcuni video spassosi. E poi li mette su Youtube. Nel 2011, a 24 anni, ha trovato equilibrio e maturità. E’ stata l’unica giocatrice a raggiungere i quarti di finale in tre Slam su quattro, conquistando gli appassionati con il suo mitico balletto post-match, la “Petko-Dance”. Nell’ottobre di quell’anno è salita al numero 9 WTA, ma poi il destino ha deciso di massacrarla. A gennaio 2012 si è dovuta fermare per una frattura da stress alla schiena. Addio Australia, Indian Wells e Miami. E’ tornata ad aprile, nel suo torneo preferito, Stoccarda. Al secondo match si è fracassata il legamenti della caviglia. Altro giro, altro stop. E’ tornata in autunno e si è presentata nel 2013 con la voglia di spaccare il mondo. Al primo match, durante la Hopman Cup, si è rotta il menisco del ginocchio. Non era solo lei a piangere, ma anche papà Zoran. “Durante i miei stop, tante persone mi hanno detto che forse avrei dovuto smettere. Mi conoscono, sanno che ho altri interessi. Ma dentro di me sentivo che questo capitolo non è ancora terminato”. La pensa così anche il suo coach, il serbo Petar Popovic, che ha iniziato a seguirla perché l’ex allenatore (Glenn Schaap) non aveva la possibilità di seguirla a tempo pieno nel circuito. Secondo questo giovane coach (è classe 1982), oggi il tennis femminile ha tre giocatrici nettamente più forti delle altre (Serena, Azareka e Sharapova) e poi c’è un calderone, in cui la Petkovic può tranquillamente inserirsi.
 
Ci vorrà tempo, perché la classifica è scesa al numero 162 e non c’è la possibilità di giocare col ranking protetto. “Per questo ringrazio gli organizzatori di Miami che mi hanno concesso un wild card – dice la tedesca, che si è un po’ raccontata – in passato trovavo fiducia con gli allenamenti. Non mi interessava la qualità degli allenamenti, piuttosto la quantità. Forse i continui infortuni erano l’avviso che dovevo cambiare metodo, ma non vi ho dato la giusta importanza. Adesso presto più attenzione alla qualità, mi sono resa conto che non si può essere al 100% in ogni sessione di allenamento. In questo è stato fondamentale il mio coach, ma anche il team Adidas. Ho anche trascorso un periodo a Las Vegas con Steffi Graf e Andre Agassi. Sono stati fondamentali”. La Petkovic è cambiata anche nella mentalità. Prima era super-competitiva, voleva spaccare il mondo a ogni torneo. Adesso prende quello che viene e si gode ogni attimo. “In precedenza si allenava tutti i giorni – dice Popovic – adesso alterniamo i giorni di allenamento e quelli di riposo. I carichi di lavoro si sono ridotti del 30-40%”. Al prossimo turno ha un match tutt’altro che proibitivo contro la croata Ajla Tomljanovic, che ha impedito un derby tutto tedesco contro Julia Goerges. Sarà importante mettere in cascina più punti possibile, perché con un ranking deficitario è dura fare una programmazione a lungo termine: dopo Miami, giocherà Charleston, Stoccarda e Strsburgo, mentre per Roma e Madrid spera di ottenere una wild card (più probabilmente, giocherà le qualificazioni).
 
Tanti anni fa, Francesca Schiavone disse. “Prima o poi uno Slam lo vinco”. Pochi le diedero ascolto, ma sappiamo com’è andata. Francesca e Andrea sono molto diverse, come carattere e come tennis, ma le parole di coach Popovic non lasciano spazio a dubbi. “So di avere l’oro tra le mani – dice con gli occhi che brillano – vincere uno Slam è il nostro destino. Ad essere sincero, ci penso ogni giorno e so che prima o poi diventerà realtà”. Non ammette repliche, lo dà per certo. Meno di due anni fa, la sua Andrea era tra le prime 10 e si era tolta sfizi importanti, come battere la Sharapova all’Australian Open. Gioca bene su tutte le superfici e fisicamente è una delle più preparate. “Può sicuramente tornare tra le prime 10 e migliorare il suo best ranking” sottolinea il coach. Per fare suo il sogno-Slam, tuttavia, deve migliorare nella capacità di gestire i match. Non sempre è lucida, non sempre fa la cosa giusta. Non è un caso che abbia vinto appena due titoli WTA, peraltro di secondo piano (Bad Gastein 2009 e Strasburgo 2011). Ma tra un video e l’altro, il desiderio di fare politica attiva (anni fa disse che avrebbe voluto creare un partito per tutelare gli interessi dei giovani), non è detto che non possa migliorare anche lì. A patto che il fisico la lasci in pace. Sarebbe una storia meravigliosa.